Lo spazio dell’education è uno spazio aperto

L’ education* è una azione complessa. Essa si articola nei seguenti quattro interventi: 1) contestualizzazione, 2) scolarizzazione, 3) formazione, 4) decontestualizzazione.

Questi quattro macrointerventi sono stati rappresentati in un diagramma ciclico, riportato in Figura 1, dove è posta evidenza sulla natura delle rispettive quattro transizioni da un macrointervento all’altro: quella dall’infanzia alle elementari, dalle elementari alle medie e dalle medie alle superiori (escludendo per ora quella in uscita dalle superiori alla società civile e/o mondo del lavoro), quindi all’adulto, e poi, di nuovo (con una transizione più o meno lunga a secondo dei casi) dall’adulto all’infanzia.


Figura 1. Lo spazio dell’education: le quattro aree dell’education. Ogni attività “educational” è rappresentata dal rombo irregolare, l’area del rombo definisce il peso che le quattro componenti hanno sull’attività complessiva.

La Figura 1 è stata introdotta per la prima volta in “L’Arte della Progettazione Formativa” dove aveva lo scopo di mostrare come fosse possibile classificare i progetti svolti nel contesto scolastico in funzione della loro finalità educativa (A. M. Allega, “L’Arte della Progettazione Formativa”, Spaggiari 2010). Attualmente, con la riforma dei cicli abbiamo il primo ciclo per i primi due macrointerventi e il secondo ciclo per gli ultimi due, riducendo le transizioni da quattro a due. Sottolineo la parametrizzazione in transizioni perché ritengo che è proprio durante le transizioni che avvengono gli scollamenti più responsabili dell’attuale precarietà e criticità di sistema. E, forse, una delle criticità è dovuta al fatto che, nonostante la riforma dei cicli, le transizioni siano rimaste quattro. La recente aggregazione di scuole d’infanzia, elementari e medie inferiori o secondaria di primo grado in istituti comprensivi potrebbe semplificare la complessità delle transizioni, ma non se resta solo formale. Vediamo perché.

L’azione dell’education sull’individuo è circolare: essa prende l’avvio dalla contestualizzazione, cioè l’inserimento dell’individuo nel contesto scuola (dell’infanzia) e si chiude con l’uscita dell’individuo dal contesto (per entrare in quello più generale della vita e della società). Le dinamiche scatenate dai diversi quadranti dello spazio dell’education in Figura 1, nell’interazione tra sistema e individuo, sono rappresentate con l’area del trapezio irregolare. È inevitabile che in ogni area dell’educazione si ha l’inscindibile compresenza delle quattro azioni in quanto il sistema scuola non è costituito solamente dagli individui che ne usufruiscono ma da tutte le componenti scolastiche che ne sono protagoniste e ripetutamente, ognuna per ragioni diverse, coinvolte: il docente è in formazione continua come soggetto-oggetto della contestualizzazione e della decontestualizzazione per se stesso e per gli altri e la funzione educativa della componente genitoriale spesso è la prima a dover essere scolarizzata (basti pensare all’abbandono di ogni forma di partecipazione agli organi collegiali). Il trapezio definisce il peso degli interventi lungo un qualunque segmento dell’education: per esempio, il caso punteggiato rappresenta un maggior peso dell’azione educativa rispetto alla formazione, ma anche rispetto sia all’istruzione che alla ricerca, mentre per il caso tratteggiato è maggiore il peso dell’azione simultanea dell’istruzione e della ricerca (e sottolineo simultanea).

La principale abilità dell’insegnante della scuola primaria (materna ed elementare) consisterebbe nel capire, anche solamente percepire, quando un alunno rimane estraneo alle proprie “lezioni”, se il bambino è coinvolto nell’azione educativa: l’espressione attonita degli “alunni” è un tipico messaggio non-verbale inconfondibile. Molti insegnanti, volutamente, ignorano questi segnali perché sarebbe troppo laborioso ricominciare da capo la lezione o inventarsene una diversa alla ricerca di un nuovo approccio al tema (Area della contestualizzazione in Figura 1). D’altronde, il bambino è ricco di stimoli che gli vengono semplicemente dall’esterno ed è spontaneamente pronto ad accogliere “forme complesse” per la sua istintiva curiosità e predisposizione all’indagine. Apparentemente, l’adulto sarebbe semplicemente necessario all’assistenza al bambino piuttosto che alle dinamiche di apprendimento. Semmai, il fondamento dell’apprendimento in età prescolare, appunto, sarebbe semplicemente quello di assimilare un sistema di regole scandito da orari e bisogni. La relazione è semplicemente casuale. Il contesto in cui l’individuo “inizia” lo sviluppo sociale, cioè sviluppa coscientemente le proprie relazioni sociali, è quello dell’istituzione scolastica, definibile come una sorta di ecosistema centrato intorno a equilibri formativi. In questa fascia d’età, educare significa principalmente ascoltare l’alunno e fornire all’alunno i mezzi per formare equilibri di carattere, di comportamento e di vita di gruppo. In altri termini, l’ambiente educativo della scuola elementare ha come scopo primario la socializzazione (il passaggio dall’Area della contestualizzazione all’Area della socializzazione in Fig. 1). La situazione comincia a cambiare, dal punto di vista dell’istruzione, nella scuola media inferiore. La socializzazione apre le porte alla scolarizzazione. L’istruzione diventa prioritaria, più selettiva. Se negli anni precedenti la socializzazione era il veicolo per educare, ora la scolarizzazione è la base primaria per l’insegnamento disciplinare. In questa fascia la scuola lavora per sviluppare la sua funzione principale: l’istruzione. Le discipline compaiono alle medie con l’obiettivo dell’Esame di Stato posto alla fine del primo ciclo. Questo traguardo è ovviamente un palese retaggio dell’obbligo scolastico sancito dalla Carta costituzionale, rimosso e traslato a 16 anni da una legge ma, naturalmente, senza una riprogettazione dell’intero impianto. Con la riforma dei cicli, quindi, questo traguardo resta una “esplicita anomalia di sistema”.

È così opinione diffusa che l’“ambiente educativo” della scuola media inferiore crei quei precedenti che esploderanno, poi, nella scuola superiore: il seme della dispersione e dell’abbandono scolastici si forma e si sviluppa nel delicatissimo passaggio dalla socializzazione alla scolarizzazione. Questi fenomeni devianti si manifestano quando l’ambiente educativo non riesce a “organizzarsi” con un progetto di scolarizzazione che affronti sistematicamente la delicata transizione (Area della scolarizzazione in Figura 1). La formazione di una personalità composita e socialmente positiva dipende, anche e soprattutto, dallo sviluppo di quelle competenze acquisibili con l’istruzione (e, fra esse, le competenze disciplinari). Nel caso contrario, la scuola diventa ostile alla formazione.

Alle secondarie superiori, la scuola assume che lo studente sia scolarizzato (almeno è quel che assumeva) e si concentra principalmente sugli aspetti formativi dei livelli d’istruzione. In questo “ambiente d’istruzione” si sviluppa un complesso di attività che costituisce la formazione di base della personalità dello studente. La formazione al lavoro (orientamento, flessibilità del lavoro, centralità delle competenze…) e la formazione superiore (universitaria e non universitaria) sono i due percorsi attraverso i quali si evolve la formazione di base dell’individuo. La formazione alla “vita attiva” è indicata in Figura 1 dall’Area della decontestualizzazione. Naturalmente, il ciclo si chiuderebbe in modo virtuoso se la formazione continua e permanente portassero di nuovo l’adulto a valorizzare la propria crescita attraverso una costante collaborazione e partecipazione con l’ambiente “scolastico”, inteso come “ambiente di apprendimento per tutta la vita”, proprio in quanto aperto a tutte le partnership disponibili sul territorio. In tale senso, il processo di decontestualizzazione consisterebbe nel ricominciare dalla contestualizzazione, o semplicemente capire che non si lascerà mai il contesto, in un vortice costruttivo alla Vico, dove l’esperienza pregressa non si ripete, ma si accresce del legame imperituro con l’ambiente di apprendimento (che ovviamente non è più circoscritto alla struttura scolastica).

La forzatura concettuale posta dagli “standard” con i quali la scuola è stata considerata finora, ha spinto il legislatore a diverse riforme, perché l’impianto appena descritto, purtroppo, non funziona e non ha mai funzionato. Indagini di vario tipo, dalle prove Ocse-Invalsi-Pisa allo studio macrostatistico dei dati Ocse su scala quasi secolare (A.M. Allega, “Analfabetismo: il punto di non ritorno”, Herald Ed. 2011), mostrano la difficile condizione dell’istruzione a livello planetario. In particolare, per quel che ci riguarda, quella italiana si colloca al di sotto dei livelli medi per ogni fascia di età. La necessità di cambiare il modo di concepire l’“ordine gerarchico” dello schema dato sopra è palese dalle criticità emerse nel tempo e sempre più focalizzate dai diversi tentativi di riforma.

PER APPROFONDIRE:
Modelli e Strumenti per un’architettura dei percorsi didattico-formativi nel riordino dell’istruzione

* Nei paesi anglosassoni, e per adozione in altri paesi europei, come Francia, Germania e Spagna, esiste un solo vocabolo, “education”, per indicare istruzione, educazione, formazione, ricerca, ma anche apprendistato e avviamento al lavoro, recupero, reinserimento e transizione scuola-lavoro. Un quadro fortemente critico e propositivo dell’insieme di definizioni di questi termini si può trovare nel saggio di G. Bertagna, in “Il futuro della scuola”, a cura di B. Brocca, Laterza 1995, pag. 91; e nella discussione della scuola simultaneamente aperta “dentro” ed aperta “fuori” di F. Frabboni, “Manuale di didattica generale”, Laterza 1996, pag. 82.

Arturo Marcello Allega