La scuola come sovrastruttura sempre più debole?!
Franco De Anna, commentando il mio ultimo pezzo (“Scuola e società: sì, ma, però…”) sul rapporto che io considero attualmente “malato” tra scuola e società, esordisce con questa considerazione: “Tra le righe dell’intervento di Tiriticco spira un’aria di delusione e tristezza che mi spingerebbe, per l’affetto che provo per lui, ad usare il registro della ‘consolazione’ e dell’incoraggiamento. Ma il giovane Maurizio ha tale mobilità intellettuale e culturale, passione generosa, curiosità scientifica, che mi parrebbe improprio tentare di consolarlo”.
Devo rispondere che il giovane Maurizio non è né deluso né triste! Si è limitato a considerare che, mentre “ieri”, negli anni Sessanta e Settanta, la scuola poteva attingere da una società – alludo a quella del nostro Paese, ovviamente – valenze educative per certi versi positive (le istituzioni pubbliche, un mondo del lavoro in espansione sia sotto il profilo della occupazione che della innovazione, il repertorio artistico ecc.: tutti fattori tenuti insieme da un collante che definirei “democrazia in sviluppo”), “oggi”, invece, si deve difendere (un mondo del lavoro aggredito sia per ciò che… non produce o rischia di non produrre più, casse integrazioni a iosa, precariato, fenomeni Marchionne e Fincantieri, una Pompei che crolla, un teatro Valle occupato, una “democrazia a rischio”). Mi sembra che siano dati di fatto, scoraggianti indubbiamente, ma che lasciano intatti – almeno penso – il mio spirito critico e il mio ottimismo… non solo della volontà, ma anche della ragione.
Nel mio pezzo mi sono limitato a denunciare una situazione difficile che indubbiamente fa male alla scuola e alla società nel suo insieme! Si tratta di un male reso più grave dal fatto che chi la scuola la governa non è assolutamente all’altezza di comprendere il fenomeno e di agire conseguentemente! Anzi! Contribuisce al suo declino! Il quindicennio del berlusconismo può essere paragonato – mutatis mutandis ovviamente – a un ventennio che certamente alla nostra scuola non ha portato nulla di bene! L’allora Ministero dell’Educazione Nazionale si occupava soltanto di fare dei ragazzi dei giovani fascisti disposti a credere, obbedire e combattere! L’attuale Miur finge di perseguire le eccellenze, ma di fatto produce soltanto disaffezione, incertezze e una sempre più diffusa ignoranza. Il fatto è che regimi autoritari – perché anche quello attuale a suo modo lo è – fanno sempre male alla scuola!
Mi sono limitato, quindi, a una pura, anche se amara, constatazione! Ma Franco mi sollecita indirettamente un’altra considerazione, ancora più amara, ma che non rende me amaro più di tanto: fare delle analisi, buone o cattive che siano, non significa esserne emotivamente coinvolti! Ci eravamo illusi, a partire dai “gloriosi” anni Settanta che la scuola, avviatasi ormai a diventare sistema – dal “non uno di meno” di Don Milani all’obbligo formativo di Berlinguer – e a coinvolgere tutti i cittadini anche con le forti suggestioni dell’apprendere per tutta la vita (la società cognitiva di Delors!) fosse anche in grado di acquisire una sua autonomia, talmente forte e diffusa da mettere in crisi quel rapporto classico che, secondo certe analisi di matrice marxiana, l’aveva sempre allocata al ruolo di una semplice sovrastruttura, la fotocopia della struttura sociale! Mi spiego meglio: in un sistema sociale possiamo distinguere una struttura portante (l’assetto materiale, i concreti rapporti economici, il lavoro) e una sovrastruttura (la politica, le leggi, la cultura, le ideologie, le morali, le religioni) che sarebbe un prodotto della struttura e che ha, tra l’altro, la semplice funzione di giustificare la stessa struttura che l’ha prodotta! Insomma, secondo questa accezione, tra materia e spirito è la prima che produce e condiziona il secondo, e non viceversa, come invece ritengono tutte le religioni positive.
Franco conosce meglio di me “Per la critica dell’economia politica” di Marx e gli scritti più recenti di Althusser (“Ideologia e apparati ideologici di Stato”) e di Bourdieu e Passeron (“La Riproduzione”) che analizzano con molta oculatezza questo rapporto di sudditanza della cultura, dell’educazione e della scuola nei confronti dei concreti rapporti materiali di produzione. Ebbene: proprio negli anni Settanta, quando la scuola cessa di essere l’edificio in cui vanno i bambini per imparare a leggere, scrivere e far di conto, ma comincia a diventare un vero e proprio sistema che investe tutti e per tutta la vita, il rapporto di sudditanza dalla società comincia a venir meno. In altri termini, la cultura e la scuola rivendicano una loro autonomia nei confronti delle strutture materiali nonché una loro specificità. E sono gli anni in cui in Cina esplode quella rivoluzione che non a caso fu detta culturale, e gli anni in cui da Berkley a Parigi, a Roma e a Milano matura ed esplode quel movimento studentesco che permette di ribaltare quel rapporto tra prodotti materiali e prodotti culturali che per tanti anni aveva visto il primato dei primi sui secondi.
Ho riportato semplicemente dei dati, sui quali per molti anni abbiamo lavorato in sede di ricerca e di azione proprio per rivendicare e sostenere l’autonomia della cultura – e quindi anche dell’insegnare e apprendere, e della scuola stessa in quanto sistema pervasivo e complesso – nei confronti di ciò che è materiale. Ma oggi, 2011, che cosa sta succedendo? La violenta aggressione che l’attuale classe politica dominante sta conducendo nei confronti della scuola, dell’università, della ricerca, della cultura, accompagnata e sostenuta dall’altra aggressione, quella di un sociale sempre più becero e sempre più aggressivo – oggetto, appunto, di analisi nel mio “Scuola e società: sì, ma, però…” – sembra proprio essere un’azione combinata per menare ulteriori colpi a una scuola già sotto assedio e sotto scacco.
Si combinano così scientemente due forze convergenti eversive contro il nostro “Sistema educativo nazionale di istruzione e formazione”: una da parte di un sociale sempre più povero di valori e pericoloso per i disvalori che semina a iosa; l’altra da parte di un’amministrazione che, invece di difendere il Sistema e sostenerlo, fa di tutto per mandarlo a gambe all’aria! Mi limito a riportare qualche dato, del resto sotto gli occhi di tutti: un’autonomia sempre più compressa e vanificata; una politica che gabella come riordino solo tagli indiscriminati; un precariato sempre più… stabilizzato; una normativa sempre più impasticciata ed equivoca; un ritorno ai voti contro la tendenza che invece mirava al loro superamento in funzione di una generalizzazione di una valutazione di criterio, tanto più necessaria e indispensabile se ci si intende muovere verso una scuola fondata sull’accertamento e la certificazione delle competenze; una valutazione di sistema che stenta a decollare, stando a tutto il bailamme provocato dalla recente esperienza delle prove Invalsi; la disaffezione crescente nei confronti di una scuola sempre più avvertita come parcheggio. E – in cauda venenum – l’interrogativo sempre più diffuso e a cui non è data risposta: a che serve studiare, se poi il sapere non è premiato, anzi umiliato da una precarietà sempre più crescente e che appare senza ritorno?
Nella misura in cui il lavoro intellettuale non è premiante e non è premiato, tutti i mostri dell’incultura e del pressappochismo la fanno da padroni! Quali resistenze opponiamo a un sociale vacuo e privo di valori sempre più aggressivo? E qui è doveroso un altro interrogativo: il voto degli ultimi referendum è veramente il segnale di una svolta? O meglio… della svolta? Sarà in grado la parte migliore del Paese di coglierne la lezione? Vorrei, voglio essere ottimista! Però… diamoci tutti da fare!
Maurizio Tiriticco