Merito e merito
Sembra proprio che le iniziative annunciate dal Ministro Profumo sul tema del “merito” abbiano sollevato un mare di critiche e di riserve. Le ultime dichiarazioni dello stesso Ministro sembrano tenerne conto.
Le considerazioni critiche sono nel complesso motivate: il voto “alto” in sé è espressione di tanti e diversi criteri; la evidente e direi tragica articolazione classista del nostro sistema è palese: ai licei i “più bravi” e giù a scendere fino agli istituti professionali. Ciò che resta inaccettabile è che queste “differenze” vengono solo registrate dalla scuola, non risolte o attenuate.
Ma qui il discorso muterebbe segno: come praticare “l’equità” nella scuola? Se posto in questi termini, il problema andrebbe scandagliato più a fondo. Non basta dire che servirebbero più scuole dell’infanzia (servono eccome, si intende), più flessibilità nell’organizzazione del lavoro (assolutamente necessaria) e, ovviamente, più investimenti. Dovremmo anche chiederci: quali docenti per la didattica “di frontiera”? Quanti alunni per classe (o meglio per istituto) nei licei e quanti nei professionali? Quali supporti, valutazioni e verifiche sul campo per quegli istituti con organico (magari) potenziato e specificità di modello organizzativo impegnati nella lotta contro la dispersione e la selezione scolastica?
Un elenco di problemi da brivido se consideriamo che oggi la livella dell’organizzazione e degli organici non considera nessuno di questi fattori. Le disuguaglianze continuano a riprodursi e la scuola sembra avere introiettato questa “naturale” condizione di disuguaglianza.
È evidente che ragionare di merito individuale in un simile contesto è un bel paradosso. Eppure è altrettanto vero che annunciare che parleremo di merito individuale a “equità” conquistata, è solo un alibi per non parlarne mai.
Eppure alcune occasioni per parlarne anche da subito, ci sono. Prendiamo gli alunni delle classi V che si stanno dedicando all’Esame di stato proprio in questi giorni. Per i “migliori” è prevista la possibilità della “lode”. Un riconoscimento importante (con tanto di assegno di studio) anche per il futuro dello studente. Ebbene, l’art. 20 dell’OM n°41 prevede che la Commissione d’esame potrà attribuire la lode a quegli studenti che, oltre a conseguire 100 punti all’esame senza integrazione di punteggio, abbiano conseguito il credito scolastico massimo attribuibile e che negli ultimi tre anni abbiano riportato solo voti uguali o superiori a otto decimi. Insomma un genio per un intero triennio. Penso che questa idea sia profondamente sbagliata dal punto di vista pedagogico. Chi ha lavorato con i giovani sa quanto le discontinuità siano proprie di questa fase tumultuosa della crescita. Conosce quanto siano possibili le cadute e gli improvvisi salti di qualità. È questa la condizione “naturale” della fase della crescita. Ed è proprio in questa condizione difficile che i docenti possono fare la differenza, rimotivando lo studente nei momenti di crisi e di difficoltà. Ed è proprio la ricchezza e la complessità di questo percorso che andrebbe premiata quando riesce a conseguire i migliori risultati. Ma la norma vuole ignorare tutto ciò e reclama, per il riconoscimento formale, un giovane che per tre anni consegue sempre il massimo.
C’è insomma al fondo di questa norma una cultura innatista dell’apprendimento e, di riflesso, una cultura statica dell’insegnamento. Allora forse, vorrei dire al Ministro, prima di avventurarsi su piani inclinati, sarebbe utile correggere simili storture che negano i presupposti da cui si vorrebbe partire. Sarebbe un piccolo passo, ma credo significativo e forse in grado di sollecitare una riflessione più attenta anche sul tema del merito.
Problema sul quale c’è un eccesso di preoccupazione che forse non deriva dal tema in sé, ma dalla impressione che tutta questa discussione non risolve quello che sembra un vero impasse politico di questo ministro e del Governo: trovare, anche per la breve fase che resta, un credibile programma di governo per la scuola. E non sarà il dibattito sul merito a colmare questa lacuna.
Dario Missaglia