Licei quadriennali, ma è questo il problema?
L’argomento che va per la maggiore a proposito della ‘quadriennalizzazione’ della secondaria superiore è che i nostri diplomati sarebbero svantaggiati nell’accesso al mercato del lavoro, perché ne escono a 19 anni, un anno più tardi rispetto ad altri Paesi europei. Ma è un argomento semplicistico. Premesso che non è vero che in Europa il diploma si consegua ovunque a 18 anni e che ci sarebbero comunque altri modi per farlo più razionalmente coincidere con l’ingresso nella maggiore età, non è affatto scontato che lo svantaggio dei ragazzi italiani derivi da questo e non da come è fatta la nostra scuola.
È noto che le criticità più acute sono altrove: in una scuola media in cui sono troppi, tra dispersione esplicita e implicita, i ragazzi che restano molto al di sotto delle competenze previste e in cui non c’è spazio per lo sviluppo degli interessi e dei talenti individuali e per di più con un esame di Stato collocato assurdamente due anni prima della conclusione dell’obbligo di istruzione (con la scelta del percorso successivo da farsi ancora prima); in bienni iniziali della scuola superiore, poco dedicati al rafforzamento delle competenze di base e troppo alla caratterizzazione di indirizzo, che causano insuccessi e ostacolano i passaggi da un indirizzo a un altro; in risultati finali medi indubbiamente mediocri, ancorché mascherati dalle pochissime non ammissioni alle prove di maturità e dall’altissimo tasso di buone ed eccellenti votazioni. È soprattutto per questo, per quel che si dice e per quel che si tace,che non convince che la sola modifica ordinamentale oggi all’ordine del giorno, sia pure velata dalla sperimentalità, debba essere la riduzione di un anno del percorso quinquennale. Non convince, quindi, il recente decreto (questo è il link) con cui la sperimentazione della ‘quadriennalizzazione’ dei licei e dei tecnici (e, dal 2023, anche dei professionali ) viene estesa a 1.000 classi prime . Un salto quantitativo così vistoso – dalle 192 attuali – da cui traspare una precisa intenzionalità politica. Ma se è così sarebbe meglio dichiararla e discuterne apertamente.
Questa volta il parere negativo del Consiglio Superiore dell’Istruzione, rimasto peraltro inascoltato, è condivisibile. Che senso ha una decisione di questo peso adottata senza l’ombra di un monitoraggio scientifico della sperimentazione precedente, quella attivata ufficialmente nel 2018-19 che ha coinvolto le 192 scuole( 144 i licei e 48 i tecnici, di cui ben 65 gli istituti paritari) e che si concluderà solo a giugno 2022? Cosa si vuole ottenere, se non la pressione oggettiva dei numeri, con il precipitoso bando per le nuove 1.000 classi a partire dal prossimo anno scolastico (la scadenza è il 4 gennaio, la graduatoria sarà pubblicata entro il 22 per avere l’avvio a settembre 2022; il punteggio massimo è 100 ma per qualificarsi ne bastano 50), in cui è tra l’altro incomprensibile la non considerazione della pur annunciata revisione del comparto tecnico- professionale? Il problema non sta, come sostengono più sigle sindacali, nell’eventualità ,ove si passasse a regime, di consistenti tagli degli organici, ma nella richiesta alle scuole di procedere a occhi bendati verso un’importante modifica di assetto senza aver messo sotto osservazione un elemento fondamentale per la sua sostenibilità. Non basta, infatti, che dalle rilevazioni Invalsi finora condotte si possa dedurre l’assenza di differenze tra i risultati di apprendimento degli studenti che concludono in quattro anni e quelli degli studenti che concludono in cinque. Occorre almeno accertare se, e in che misura, a un eventuale esito di questo tipo contribuisca la connotazione sociale e soggettiva della popolazione scolastica coinvolta, nonché la tipologia degli istituti che si sono candidati alla sperimentazione. Da un lato la motivazione e le capacità individuali degli studenti, dall’altro le risorse strutturali, organizzative, professionali, finanziarie delle scuole.
L’attenzione a questo aspetto non è solo per l’evidente sovrarappresentazione, nell’esperienza finora condotta, delle scuole paritarie. È un fatto che molti dei progetti dei 192 istituti (la sperimentazione, si sa, non deve intaccare né i traguardi formativi né l’ordito disciplinare dei curricoli, ché anzi nel nuovo bando si affollano STEM, transizione digitale, sostenibilità ambientale, educazione civica e quant’altro), oltre a prevedere l’ ‘essenzializzazione’ dei contenuti formativi e la riorganizzazione delle sequenze didattiche, recuperano parte del tempo scolastico ridotto con incisive misure di estensione del calendario annuale (come l’inizio l’1 settembre e la conclusione a fine giugno ), di aumento dell’orario settimanale e giornaliero (34 e anche 36 ore su 5 giorni con almeno un rientro pomeridiano ), di spostamento dei PCTO (percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento) in orario extracurricolare e in estate, anche all’estero. Aggiungendo in più casi allo svolgimento on line di parte della didattica e a tempi accorciati da utilizzi innovativi ed efficienti delle tecnologie, un ricco pacchetto di attività, talora on demand, di mentoring, tutoring, apprendimento cooperativo, laboratori in fascia pomeridiana . Il che presuppone mense, scuole aperte in orario pomeridiano, disponibilità e impegno aggiuntivo di energie professionali interne all’istituto o esterne, spiccata flessibilità organizzativa, risorse economiche speciali (anche delle famiglie o di altri stakeholders). Ma presuppone anche, sul lato studenti, una forte e costante motivazione a un impegno denso e pressante nonché l’assenza di impedimenti , come quelli solitamente determinati dal pendolarismo (frequente nei tecnici e nei professionali), a una frequentazione scolastica particolarmente intensa. Condizioni indubbiamente ottimali che però, nel quadro attuale anche di tipo contrattuale e per numeri alti come quelli previsti, comportano una selezione delle autocandidature sia degli istituti scolastici che degli studenti. È di una secondaria superiore ulteriormente polarizzata che abbiamo bisogno nei prossimi quattro-cinque anni?
Fiorella Farinelli Politica e saggista, docente esperta di istruzione e formazione, componente dell’Osservatorio nazionale per l’Integrazione degli alunni stranieri