Istruzione tecnica: l’evoluzione e lo stato attuale – Prima parte
Nota di redazione
La prima riunione della cabina di regia del PNRR ha avviato i lavori a partire dal capitolo Missione 4 (Istruzione,formazione e ricerca), segnale positivo che sembra voler indicare, vogliamo sperarlo, la centralità di scuola/università (18 miliardi) e della ricerca (6 miliardi). Le parole del Ministro Bianchi danno il senso di questo impegno: giovani e donne sono il futuro del Paese, stiamo segnando l’Italia di domani. Queste buone intenzioni appaiono esplicitamente espresse sotto il rassicurante ombrello del Next Generation EU, che il governo presenta come garanzia di un programma di lavoro complesso, ma ineludibile , volto ad avviare processi di riforma ormai non più rinviabili nel difficile contesto attuale. Nell’indicare questi processi, dai progetti per università e ricerca, dall’ampliamento e qualificazione dell’offerta formativa rivolta ai bambini 0-6, al sostegno ai comuni per l’edilizia scolastica ecc, hanno un ruolo centrale le proposte di interventi di ri-qualificazione e ampliamento dei percorsi di istruzione tecnica e professionale dalla secondaria superiore fino agli ITS, ai percorsi di alta formazione., volti a promuovere modalità di specializzazione di alto livello entro l’istruzione post diploma non accademica. Iniziamo quindi con questo primo intervento di Mario Fierli ( cui seguiranno altri contributi) una serie di approfondimenti che, a partire dall’esperienza del passato, affrontino i nodi cruciali di un settore della formazione importantissimo, ancora troppo limitato e negli ultimi tampi fortemente ridimensionato nel nostro Paese.
In questo articolo si propone, a grandi linee, una analisi dello stato e della funzione dell’Istruzione Tecnica come si presenta oggi dopo una lunga evoluzione. Richiamare l’evoluzione nel tempo è utile per comprendere meglio il presente. In un prossimo articolo si discuterà delle prospettive.
L’Istruzione Tecnica è quasi una singolarità nell’ambito dei sistemi scolastici europei. Mentre nella maggior parte di essi vige un sistema duale, con i due percorsi della formazione generale (liceale) e di quella tecnico-professionale, nel nostro caso l’Istruzione Tecnica si è inserita fra questi due percorsi. Da dove nasce questa singolarità? L’origine lontana è a metà ‘800 quando sorsero i primi Istituti Tecnici [1], che all’inizio erano Conservatòri di Arte e Mestieri, ispirati a quelli francesi, e avevano lo scopo di diffondere la cultura della tecnica. Includevano officine, raccolte di strumenti scientifici e tecnici, ma crearono anche le prime scuole tecniche. Vi furono varie fasi evolutive, ma all’inizio del ‘900, dopo la riforma Gentile, l’Istruzione Tecnica trovò una configurazione stabile e nazionale. Si discusse se collocarla alle dipendenze del Ministero dell’Economia o quello dell’Istruzione. I conservatori liberali, in particolare Gentile, sostennero la prima ipotesi per mantenere l’esclusività dei Licei come istituzione formativa di valenza generale, canale di formazione delle classi alte, e marcare una separazione netta con la scuola rivolta al lavoro. Giuseppe Lombardo Radice definì l’Istituto Tecnico ‘un intruglio’. La collocazione nell’ambito dell’Istruzione, che prevalse, fu chiaramente una scelta politica: creare un canale di formazione utile allo sviluppo economico del Paese, meno prestigioso dei Licei, ma comunque partecipe della cultura e dei valori nazionali, nel quale si potesse identificare la classe media. Della quale in effetti i diplomati dell’istruzione tecnica (ragionieri, geometri , periti) sono stati per molti decenni la sostanza. Gramsci criticò questa scelta da punto di vista opposto, contestandone la pretesa natura democratica, perché di fatto confermava in forma nuova, con una maggiore stratificazione sociale, la natura di classe della scuola e affossava l’idea di una scuola unitaria capace di unire, per tutti, cultura e professione.
Il quadro dell’offerta formativa dell’istruzione è completato dai percorsi di Istruzione e Formazione Professionale (FP) di competenza delle regioni, che uniscono il conseguimento di una qualifica professionale con l’assolvimento dell’obbligo scolastico. Una parte di questi corsi sono affidati a scuole statali, generalmente a Istituti Professionali.
Evoluzione della funzione sociale dell’Istruzione Tecnica
Ragionare sulla funzione sociale dell’Istruzione Tecnica e sui suoi cambiamenti è complesso. Il nostro approccio è dichiaratamente schematico e possiamo aiutarci partendo da alcuni dati relativi alle iscrizioni.
Il primo dato è la crescita della percentuale di ragazzi iscritti alla Secondaria Superiore. Nel 1960/61 è ancora del 19%, sale al 40% nel 1969/70, al 52% nel 1981/82, al 65% nel i990/91, all’83% nel 1999/2000 per raggiungere il 92% nel 2008/09. È quella che si chiama scolarizzazione di massa.
Il secondo dato è il livello di alfabetizzazione del Paese negli stessi anni. Limitandoci alla percentuale di persone dotate di diploma di Scuola Secondaria Superiore, ma non di laurea, erano 4% nel 1961, 7% nel 1971, 12% nel 1981, 18% nel 1991, 26% nel 2001.
Il terzo dato riguarda il modo in cui le iscrizioni si sono ripartite nel tempo fra Licei, Tecnici e Professionali. La tabella che segue mostra la ben nota crescita dei Licei e la discesa dei Tecnici e dei Professionali.
Tabella 1 Iscrizioni al primo anno della Secondaria di Secondo Grado. Percentuali per tipo di scuola.
1980 | 1990 | 2000 | 2010 | 2021 | |
LICEI | 34,2 | 35,0 | 37,2 | 40,2 | 52,8 |
TECNICI | 41,6 | 42,2 | 37.0 | 32,1 | 32,0 |
PROFESSIONALI | 24,2 | 22,8 | 25,8 | 21,7 | 15,6 |
Il calo percentuale dei Tecnici è dovuto principalmente ai Tecnici Economici. Fino al 2000, le iscrizioni agli Istituti Tecnici erano ripartite in parti quasi eguali fra i due settori. Successivamente, mentre le iscrizioni ai Tecnici Tecnologici si sono mantenute agli stessi livelli (circa il 20% del totale delle secondarie), quelle del Tecnici Economici sono diminuite fino alla metà (poco sopra il 10% del totale).
Il quarto dato è il modo in cui, oggi, sono ripartite le iscrizioni in dettaglio per i diversi percorsi. Questo dettaglio fornisce anche indizi sulla natura socio-culturale dell’evoluzione della domanda di istruzione secondaria.
Tabella 2 Iscrizioni alla prima classe per l’anno scolastico 2021/2022
Indirizzi di studio | Numero degli iscritti | Percentuale |
Liceo Classico
Liceo Linguistico Liceo Scientifico Liceo Scientifico-Scienze Applicate Liceo Scientifico-Sezione Sportiva Liceo delle Scienze Umane Liceo delle Scienze Umane-Economico-sociale Liceo Musicale Liceo Artistico Licei Europei/Internazionali
Totale Licei
Tecnico-Economico (con 3 indirizzi) Tecnico-Tecnologico (con 10 indirizzi)
Totale Tecnici
Professionale- Vecchio ordinamento (incl IeFP) Professionale-Nuovo ordinamento
Totale Professionali
Totale
|
33163
44119 77187 51225 6750 33990 17134 3687 29156 2348
298759
62017 118884
180901
9640 76659
86299
565959 |
5,86
7,79 13,63 9,05 1,19 6,00 3,03 0,65 4,62 0,41
52,79
10,96 21,00
31,96
1,70 13,54
15,58 |
Elaborazione dal Focus “Principali dati della Scuola”- Gestione Patrimonio Informativo Statistica -12 Settembre 2021- Ministero Istruzione
La domanda che tutti si pongono è: perché l’iscrizione ai Licei ha sorpassato quella ai tecnici e ai professionali? Una risposta frequente è che non funziona l’orientamento nella Scuola Media e questo è vero. L’altra è che la causa è la ‘licealizzazione’ dei Tecnici. Occorre anzitutto domandarsi cosa si intende per licealizzazione e a questo cercheremo di rispondere fra poco. Ma siamo sicuri che queste siano le ragioni di fondo? Ne discuteremo più avanti, ma forse è necessario farsi qualche domanda di tipo più generale sul rapporto fra scuola e struttura della società.
Una prima domanda è: si può ancora dire che l’Istruzione Tecnica è la scuola della classe media o che dà l’accesso ad essa?. Certo c’è ancora la stratificazione sociale e i Licei e i Tecnici in qualche modo la rappresentano. Ma il tutto è molto meno netto che nel passato. Lo dimostrano in particolare i numerosi tipi di Licei diversi dal Classico e dallo Scientifico che testimoniano una ricerca di collocazioni intermedie. Il caso più evidente è il Liceo delle Scienze Umane-Economico Sociale che costituisce una vera ‘invasione di campo’ nei confronti degli Istituti Tecnici Economici. L’Istruzione Tecnica ha funzionato, notoriamente, come ‘ascensore sociale’. La cosa risulta chiara fino agli anni ’60, quando si iscrivevano alla secondaria superiore poco più del 15% dei ragazzi e la scolarizzazione complessiva della popolazione era ancora molto bassa: diventare ragioniere era un salto. Ancora oggi l’Istruzione Tecnica può essere un canale di riqualificazione sociale per una parte della popolazione, ma non nella misura e con la evidenza del passato. Avere un diploma dell’Istituto Tecnico Economico non è la stessa cosa di prima. Per la verità l’Istruzione Tecnica ha avuto anche una funzione di ‘dislocatore trasversale’: il trasferimento dai settori del commercio, della piccola rendita agraria e simili ai servizi amministrativi e, soprattutto, all’industria. Questa funzione è probabilmente ancora abbastanza attiva.
L’altro aspetto che qualifica la funzione sociale dell’Istruzione Tecnica è il rapporto con il mercato del lavoro. Di questo si dovrà parlare più a lungo discutendo di prospettive. Ma conviene fin da ora segnalare un’apparente contraddizione. Vari studi, prevalentemente provenienti dal mondo delle imprese, denunciano il fatto che una vasta domanda di tecnici rimane inevasa. D’altra parte, anche secondo le analisi di Almadiploma, che per altro non hanno valore campionario essendo condotte su Istituti che aderiscono volontariamente, non tutta l’offerta di diplomati viene assorbita dal mondo del lavoro. Excelsior, la banca dati e elaborazione di analisi sull’incontro fra domanda e offerta di Unioncamere permette in parte di entrare meglio nel problema. E permette di scoprire che è vero che c’è una domanda di tecnici inevasa, ma in molti settori (per esempio l’informatica) le imprese si aspettano che i giovani abbiano almeno un livello universitario o postdiploma e molto spesso qualche anno di esperienza.
Rientra in questo quadro il progressivo aumento delle iscrizioni all’Università. Alcuni la considerano una fuga in avanti, ma in molti casi è in realtà indispensabile per accedere a professioni tecniche intermedie. Oggi è a questo livello che si cerca un salto sociale. Anche se solo alcuni studi, non a caso i più lunghi e selettivi, sono un vero ascensore. È l’ovvia conseguenza della maggiore complessità delle tecniche, dell’organizzazione del lavoro e dei rapporti sociali. Del resto i confronti internazionali mostrano da tempo che la formazione terziaria è in Italia seriamente deficiente. È anche vero che in tutti i Paesi una parte di questa formazione tecnica superiore non è universitaria/accademica e che questo settore in Italia, affidato agli Istituti Tecnici Superiori è asfittico. Infatti l’applicazione di PNRR prevede un forte investimento in questo settore.
Il principio formativo
È interessante farsi una domanda: qual è il principio formativo, o progetto culturale, degli Istituti Tecnici e come si è evoluto nel tempo? Un modo immediato per rispondere a questa domanda è di vedere quali fossero i diversi tipi di discipline, quale spazio hanno avuto in tempi diversi.
Tabella 3 Evoluzione della presenza percentuale delle aree disciplinari nei trienni di Istruzione Tecnica Industriale.
Aree disciplinari
|
Riforma Bottai 1936 | Riordino 1962 | Sperimentazioni assistite. Anni 80 | Progetto
“Brocca” 1990 |
Riforma Gelmini 20 |
Area Comune (1) | 15.0 | 21.0 | 29.9 | 37.2 | 37.5 |
Discipline organizzativo-giuridiche | 2.5 | 3.5 | 3.7 | 2.9 | (5) |
Discipline scientifiche | 2.5 (3) | 8.8 (3) | 9.3 (3) | 23.5 (4) | 9.4 (3) |
Discipline tecnologiche (2) | 52.0 | 56.7 | 57.4 | 39.2 | 53.1 |
Discipline tecnico-pratiche (6) | 28.0 | 10.0 | 0 | 0 | 0 |
Note: 1-Italiano, Storia, Lingua Straniera ( a partire dagli anni ’80), Educ.Fisica, Religione o insegnamento alternativo
2- Per es. Elettrotecnica, Sistemi automatici, Informatica ecc. Una parte dell’orario è di laboratorio in co-presenza con un insegnante tecnico-pratico
3- Solo Matematica
4- Matematica, Fisica, Chimica
5- Collocate nel Biennio
6- Affidate a insegnanti Tecnico-Pratici Diplomati
Il principio originario era chiaramente e semplicemente riassunto nel modo in cui il fondatore e primo direttore dell’Istituto Tecnico Toscano, a metà 800, ne definì lo scopo: «Introdurre il lume della scienza nella pratica del lavoro». Aggiungere, cioè, a una base di formazione al lavoro un insegnamento tecnico-scientifico (o tecnologico).
Fino alla riforma Bottai e in parte fino al riordino del 1962, come mostra la tabella, gli Istituti Tecnici mantengono questo principio, anche se progressivamente attenuato. Infatti negli Istituti Tecnici le attività di addestramento professionale convivevano con lo studio delle tecnologie. Nei tecnici industriali, per esempio, le discipline di indirizzo erano divise in due aree. Le discipline tecnologiche e le scienze applicate, insegnate in aule scolastiche tradizionali, e le discipline tecnico-pratiche, insegnate in officine (o reparti di lavorazione), laboratori di misura e collaudo, aule da disegno, cioè in ambienti di lavoro simili a quelli delle industrie. La formazione del diplomato includeva dunque una formazione/addestramento al lavoro, in parte a livello operaio e in parte a livello più qualificato (per esempio il disegno e le misure). La situazione negli Istituti Commerciali era simile: la dattilografia e la stenografia, per esempio, erano le basi del lavoro di segreteria. A questo si aggiunse un’area di formazione generale che qualificava l’Istruzione tecnica anche come scuola di formazione generale.
Le cose cambiano totalmente negli anni ’80. Era l’epoca delle sperimentazioni, alcune dettate da almeno tre considerazioni:
- alcuni insegnamenti tecnico-pratici, per esempio le lavorazioni meccaniche tradizionali, la dattilografia e la stenografia nei Commerciali, erano diventati
- l’insegnamento pratico, e in particolare quello che usa metodi puramente addestrativi, non risultava adatto alle competenze complesse delle nuove tecnologie.
- una forte integrazione fra teoria e pratica permetteva un metodo didattico basato sulla circolarità fra i due momenti. In realtà questa ipotesi, come gran parte delle innovazioni metodologiche, non ha avuto grande successo.
È evidente che nel nuovo assetto la pratica del lavoro, in senso stretto, era quasi totalmente scomparsa.
La stessa strada fu tentata, con il progetto ‘Brocca’, per anticipare una riforma complessiva della Secondaria Superiore. In questo caso l’ampliamento dell’area comune fu anche maggiore, con l’introduzione della filosofia in tutti i tipi di scuola. E l’insegnamento delle scienze era anche nel triennio. L’assorbimento dei tecnici nell’area liceale sarebbe stata completa. La sperimentazione Brocca fu adottata ampiamente nei Licei, ma sostanzialmente rifiutata dagli Istituti Tecnici che, in molti casi, la scelsero solo per aggiungere ai loro corsi anche un percorso di Liceo Scientifico.
Le cose sono andate in modo diverso per l’Istruzione Professionale con il Progetto 92. Anche qui si usò il canale della sperimentazione assista con un riassetto che per molti versi era anche una rifondazione. I nuovi curricoli agganciati , per i primi due anni, al progetto Brocca erano in parte discutibili. Ma la dimensione del lavoro venne invece rafforzata con la formalizzazione dell’alternanza scuola-lavoro: un pacchetto di ore da spendere in imprese per attività coerenti con il corso di studio.
Gli attuali programmi dell’Istruzione Tecnica sono il risultato terminale di un percorso che ha visto il tentativo di riforma dell’intera secondaria di Berlinguer, la proposta di riforma Moratti che includeva tutti i tipi di Secondaria Superiore, la decisione, nel 2006, di separare il percorso di riforma del Tecnici e dei Professionali e di un loro rafforzamento. La apposita Commissione costituita dal Ministro Fioroni produsse uno schema di riforma accolto poi, ma non interamente, dalla legge Gelmini. Come si vede dalla tabella i nuovi curricoli hanno accettato l’aumento di ore dell’area comune secondo il modello Brocca, hanno riformulato le discipline tecnologiche, ma hanno sostanzialmente confermato lo spazio a esse dedicato.
Uno dei problemi dell’Istruzione Tecnica in tutte le sue versioni storiche, a parte il tentativo Brocca, è quello dell’esaurimento della formazione scientifica generale nel primo biennio. Solo la Matematica è studiata fino al quinto anno. È vero che le tecnologie dei vari indirizzi sono anche scienze applicate e che, dal punto di vista metodologico, anche in esse si può coltivare il metodo della scienza. Ma questo può avvenire solo nel settore prescelto e comunque tende a prevalere inevitabilmente la finalizzazione applicativa, a volte ridotta a procedimenti standard. Questo si è realizzato forse negli indirizzi Chimici e, per esempio, in un indirizzo in teoria nato morto, quello Nucleare, che non solo proseguiva lo studio della Fisica, ma che prevedeva un percorso politecnico che venne apprezzato anche da imprese estranee al nucleare. Questa idea venne in qualche modo ripresa in una sperimentazione promossa dal Ministero, l’Indirizzo Tecnologico. Questa prevedeva il prolungamento delle discipline scientifiche al triennio e un percorso politecnico nel terzo e quarto anno, mentre nel quarto anno e quinto la specializzazione era affidata a due discipline opzionate dalle singole scuole, che venivano da un catalogo nazionale.
Il modello curricolare. L’autonomia
L’Istruzione Tecnica ha adottato il modello curricolare a due cicli molto semplice 2+3: biennio propedeutico – triennio specialistico/applicativo. Inizialmente anche il secondo ciclo era un biennio. La formula è quella delle facoltà di Ingegneria. Nei tentativi di riforma e nei riassetti dopo il 2000 è spuntata l’idea di una diversa articolazione, il 2+2+1. Ma a questa è rimasta una soluzione solo formale: nei programmi vigenti non c’è alcuna qualificazione funzionale che renda l’ultimo anno diverso dai due precedenti. È solo ovvio che le tecnologie studiate nell’ultimo anno siano in genere più complesse.
La legge sull’autonomia scolastica, varata nel 1997, prevedeva, fra l’altro un dispositivo di flessibilità dei curricoli, consistente nel riservare alle scuole una quota del monte ore per modulare differentemente le discipline esistenti o nell’introdurne di nuove. La Commissione Fioroni propose quote di autonomia del 20% per il primo biennio e maggiori per gli anni successivi. In pratica, a causa di vincoli normativi, problemi di gestione del personale e, va detto, una scarsa tendenza delle scuole a impegnarsi in questa direzione, questa opportunità è rimasta sostanzialmente ignorata.
La Commissione Fioroni propose una razionalizzazione degli indirizzi riducendoli a 9 nei Tecnici Tecnologici e a 2 nei Tecnici Economici. In realtà, in sede applicativa, ogni indirizzo fu articolato in
due o tre sub indirizzi. Probabilmente una applicazione reale della norma sull’autonomia avrebbe potuto evitare questa ulteriore articolazione. Il fatto è che, a causa principalmente della rigidità nella gestione del personale, l’amministrazione ha bisogno di garantire la massima prevedibilità e uniformità della gestione. E questo è il principale ostacolo all’attuazione dell’autonomia.
L’organizzazione e la Governance
Un aspetto importante è quello della Governance e dell’organizzazione.
BRANO SULLA AUTONOMIA AMMINISTRATIVA
Gli Istituti Tecnici hanno goduto per primi di Personalità Giuridica. Storicamente e fino ai primi anni ’70 gli Istituti Tecnici, in particolare quelli industriali, avevano modi di governo e risorse fortemente segnati dalla vicinanza con il mondo del lavoro.C’era un consiglio di amministrazione presieduto da un esponente del mondo industriale, nelle commissioni degli esami di Maturità sedeva anche un rappresentante dell’Ordine Professionale dei Periti, dei Geometri o dei Ragionieri. Il preside, in genere laureato in discipline tecnologiche , aveva la possibilità di erogare assegni speciali ai docenti di discipline tecniche, vigeva la pratica del lavoro per conto terzi. Tutto questo nasceva anche dalla necessità di amministrare strutture tecniche laboratoriali e operative talvolta identiche a quelle del mondo del lavoro. Si pensi ai reparti di lavorazione, ai laboratori specialistici dei Tecnici Industriali e alle aziende agricole degli Istituti Agrari. Non a caso gli Istituti Tecnici godevano, a partire dai primi anni ’70, di personalità giuridica.
L’art.21 della legge Bassanini, n. 59 del 1997, estese poi la personalità giuridica a tutte le altre scuole di ogni ordine e grado, incidendo così in maniera determinante sulla loro capacità giuridica, sia nell’assetto organizzativo e gestionale, sia in quello didattico. Nell’ordinamento scolastico quel cardine avrebbe poi permesso la nascita dell’autonomia, assunta nel 2001 al rango costituzionale.
D’altra parte, i Decreti Delegati degli anni ‘70 avevano creato una governance uniforme per tutti i tipi di scuola, ispirata anche a principi di osmosi con l’intera società e in particolare alle famiglie, che portò anche alla scomparsa di quasi tutte le singolarità nell’Istruzione Tecnica. Non a caso, come vedremo meglio nella seconda parte del saggio, nel dibattito in corso sulle prospettive c’è una richiesta di recuperare alcune delle vecchie pratiche, per esempio il lavoro per conto terzi.
[1] Gli Istituti Tecnici nacquero nei territori più sviluppati industrialmente, come la Lombardia, dove i governi locali perseguivano una politica illuministica di progresso. Anche nel centro Italia nacquero due importanti Istituti: l’Istituto Tecnico Toscano, la cui eredità è stata accolta da una fondazione e l’Istituto Tecnico di Fermo, tutt‘oggi attivo come scuola, che ospitano musei di strumenti e installazioni di archeologia industriale. www.fstfirenze.it , www.istitutomontani.edu.it/museovirtuale
Mario Fierli