L’istruzione al centro: sarà la volta buona?

Anche al Ministro Giannini è toccato di andare in Parlamento a esporre le sue linee programmatiche. Come per i suoi predecessori ha indicato una serie di buoni propositi, che sono più o meno sempre gli stessi: sarà questa la volta in cui, come ripete in continuazione il premier, l’istruzione è posta veramente al centro dell’azione di governo? Ciò comporta mettere fine alle emergenze storiche per aprire una nuova stagione di progettualità e innovazione.

Se il primo riferimento è il quadro internazionale e l’orizzonte europeo non è solo una forma di opportunità politica, allora è proprio giunto il momento di dare una scossa a un sistema ormai cristallizzato che anziché intercettare sempre nuovi giovani interessati alle proposte formative perde anche quelli che ha, annoiati dallo stare a scuola e disillusi dalle prospettive di vita e di lavoro che essa offre.

Con l’Europa noi dovremmo confrontarci sia per quanto riguarda la prospettiva inter-culturale che per le opportunità nel campo dello sviluppo economico e professionale, incrementare la comunicazione e gli scambi, anche attraverso l’apprendimento delle lingue, più che temere le analisi dei risultati. La competizione è da porre nell’ottica dell’innovazione e degli investimenti e non delle sanzioni.

Le risorse in base agli esiti, dice il ministro: non può essere una minaccia, ma un incentivo ad esempio a usare meglio gli stessi finanziamenti europei che spesso non hanno nessuna ricaduta sulla didattica, ancora troppo imbrigliata dai programmi e dagli esami e quindi poco incline all’adattabilità che potrebbe generarsi da un proficuo confronto e scambio europeo. La valutazione deve accompagnarsi alla flessibilità negli indirizzi di studio, dove i docenti devono poter operare delle scelte, ma anche gli studenti devono avere parte nella definizione del loro percorso formativo.

Nel campo dell’istruzione tecnica e professionale, di cui il ministro vuole una profonda revisione, senza però tracciarne il profilo, alcuni tentativi di maggiore autonomia si scontrano con l’organizzazione degli insegnamenti, quanto a orari, classi di concorso e obblighi dei docenti. Sul modello tedesco gli istituti tecnici devono essere collegati con un terzo grado professionalizzante, ma alla questione degli istituti professionali il ministro sembra voler mettere mano attraverso l’apprendistato nelle scuole, sulla base di quello che accade in Alto Adige, che poi viene sempre dal nord.
Ma qui bisogna fare il salto decisivo andando a definire cosa contiene “l’istruzione e formazione professionale” di cui parla il nuovo titolo quinto della Costituzione, formula che è mantenuta dalla proposta di revisione di questo governo.

È chiaro che questo si collega con i problemi della governance del sistema. Per poter realizzare una vera semplificazione, sulla quale il ministro vuole impegnarsi, occorre non tanto un testo unico delle norme, almeno non prima di aver definito le competenze tra Stato ed altri livelli di governo territoriali, fino ad arrivare alle autonomie scolastiche.
Se il ministero cambierà pelle, come dice sempre la nuova Costituzione e come peraltro avevano già indicato, inascoltate, le famose leggi Bassanini, di riforma della pubblica amministrazione del 1997, allora non dovrà più occuparsi di tutte le emergenze che spesso diventano anche più gravi dall’impianto centralistico che le gestisce.

Una vera capacità di programmazione regionale e locale e la valorizzazione delle autonomie funzionali, come dice la recente legge Del Rio sugli enti locali, tra le quali a buon titolo si annoverano quelle scolastiche, potrà rilanciare anche le iniziative per l’infanzia, in regime di sussidiarietà, ma come istituzioni della Repubblica.
Anche la questione delle risorse andrà posta in relazione con i diversi livelli di prelievo fiscale e per quanto deve continuare a interessare i compiti dello Stato, con la fiscalità generale e i trasferimenti, alle scuole autonome, per quanto riguarda il così detto fondo d’istituto.

Allora nelle norme generali sull’istruzione, di cui sempre alla citata revisione costituzionale, non potranno non realizzarsi la riforma degli organi collegiali (di cui esiste già un proposta di legge passata alla Camera) e la rappresentanza delle scuole autonome come interlocutori della politica scolastica territoriale e nazionale.

L’edilizia scolastica, il primo intervento a sistema del nuovo governo, non dovrà soltanto obbedire alle norme antisismiche e della scurezza, ma anche alle indicazioni dell’innovazione didattica.
Gli esempi del nord dell’Europa dimostrano, infatti, che una buona edilizia non è indifferente rispetto a motivazioni, risultati e consenso sociale. Tale innovazione non riguarda solo la metodologia del singolo docente, ma anche l’organizzazione, i tempi (scuole aperte verso il territorio), i laboratori, le palestre, le tecnologie, ecc…

È quasi retorico affermare che per una buona scuola ci vogliono buoni insegnanti, i quali al di là della forma giuridica, sono a loro volta il risultato di ciò che esprime la cultura accademica del Paese.
Bene che l’abilitazione sia incorporata nella laurea magistrale, ma quest’ultima quanto ha a che fare con una professionalità moderna, centrata sull’apprendimento e non sulla tradizione culturale? E in modo diametralmente opposto tende a riproporsi un dirigente scolastico formato dalla scuola della pubblica amministrazione.

Per quanto riguarda, infine, il reclutamento si riproponga pure il concorso nazionale, ma per un curricolo nazionale che copra tutto l’impegno scolastico?
Se si chiede flessibilità occorre articolare la presenza dei docenti sulla base di accordi territoriali, lasciando spazi appunto all’autonomia scolastica. Un contenitore che potrebbe incrociare le due strade è da un lato l’organico d’istituto o di rete, fermo per alcuni anni, e dall’altro l’ampliamento delle classi di concorso e delle competenze professionali per aree disciplinari.

Tutti tentativi comparsi negli anni e rinvenibili negli atti parlamentari dalle dichiarazioni dei diversi ministri: sarà la volta buona?

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Gian Carlo Sacchi