Indicazioni a passo di gambero?
UNA STORIA DIFFICILE, CHE CI AIUTA A CAPIRE
Quando nel 1962 con la legge 1859 innalzammo l’obbligo da 5 a 8 anni, ci limitammo a unificare due cicli di istruzione, quello primario e quello secondario di primo grado. E fu una operazione intelligente anche quella di unificare orizzontalmente la scuola media, ereditata da Bottai (la Carta della scuola del 1939), e la scuola di avviamento, che lo stesso Bottai aveva cancellato, ma che con l’immediato dopoguerra restaurammo per una duplice necessità: “produrre” forza lavoro di primo ingaggio e dare una prima risposta a una nascente nuova domanda di cultura e di formazione che con gli anni Cinquanta emergeva da parte di una popolazione che cominciava ad “assaggiare” un benessere mai conosciuto nella nostra storia. Ciò in concomitanza con il boom socioeconomico di buona memoria: quel boom che in pochi anni ci permise di occupare uno dei primi posti nel mondo come Paese industriale. Potremmo anche dire che allora costruivamo un futuro, mentre oggi…
Torniamo al dunque! Allora sapevamo poco o nulla di curricoli, tanto meno di competenze. Pertanto la semplice operazione di collegare due gradi di scuola, che pure erano nati da storie assolutamente diverse, sembrava essere “naturalmente” vincente. La scuola elementare rimaneva tale, con i suoi programmi e il suo esame terminale; le due scuole successive vennero unificate come primo grado di una scuola secondaria. La Costituzione indicava che ciascun ciclo di istruzione dovesse terminare con un esame di Stato e i due esami, della scuola elementare e della scuola media, erano più che legittimi, anche sotto un profilo educativo. Infatti, nella scuola elementare gli alunni apprendevano contenuti a livello elementare, appunto, e nella scuola successiva apprendevano gli stessi contenuti a livello avanzato: lo stesso concetto di ciclo, di ritorno quindi, imponeva questo tipo di scelta. E Garibaldi te lo studiavi alle elementari, poi alle medie, conclusive dell’obbligo, e poi anche alle “superiori”, con tutte le problematiche che accompagnano il suo ruolo nel nostro Risorgimento!
Solo con il corso degli anni e dopo le prime sonore bocciature di migliaia di “nuovi” alunni cominciammo a renderci conto che qualcosa non andava nella nuova scuola dell’obbligo e – per non farla lunga – solo alla fine degli anni Sessanta, dopo le critiche di Don Milani e i primi assaggi della programmazione curricolare, i due cicli cominciarono a dare i loro frutti! E l’istruzione obbligatoria ottonnale ebbe così il grande merito di infliggere nel giro di pochi anni un grosso colpo a quell’endemico analfabetismo che nessun governo prima di allora era mai riuscito ad abbattere. Però, i vizi di origine delle due scuole non li abbiamo mai sanati. In effetti, con il correre degli anni e l’acquisizione dei concetti di curricolo e di abilità (ancora non era matura la “stagione delle competenze”) ci rendemmo conto che sarebbe stata opportuna una rivisitazione curricolare, appunto, dei due “pezzi” di istruzione che forse dovevano essere ricostruiti come un percorso comprensivo verticale, continuo, progressivo: concetti oggi ormai di uso comune. E demmo luogo a due leggi famose, per una innovazione sostanziale nella scuola dell’obbligo, la 517 e la 348 del ‘77. Con la prima abolimmo voti e pagelle (quale audacia!); con la seconda rafforzammo l’educazione linguistica, quella matematica e scientifica e quella tecnica. Per non dire dei Nuovi programmi del ‘79 della scuola media, tutti incentrati sulla strategia del curricolo!
Più tardi, con la legge 148/90, che rendeva operativi i nuovi programmi della scuola elementare dell’85, affrontammo la questione della “Continuità educativa”. Così è intitolato l’articolo 2 di detta legge, in cui si sottolinea tra l’altro la necessità del “coordinamento dei curricoli degli anni iniziali e terminali” e di “favorire opportune armonizzazioni della programmazione didattica”. In nome di tale assunto, il 16 novembre del ‘92 varammo un decreto ministeriale e una circolare ministeriale ricchissimi di suggerimenti per attuare in concreto l’auspicata continuità. Però, a ottime intenzioni non seguirono affatto i risultati sperati: in effetti la continuità educativa non si evoca né si suggerisce, la si attua rendendo effettivamente continui e progressivi i due percorsi, in primo luogo sotto il profilo ordinamentale. Ma metter mano a ordinamenti richiede tempo e fatica nonché un impegno legislativo non indifferente. La separazione tra i due gradi, quello elementare delle maestre e quello secondario di primo grado dei professori, non poteva affatto essere superata solo dalle buone intenzioni di un dm e di una cm. Tanto più che rimanevano in piedi due esami, perché la Costituzione vuole che ogni ciclo si concluda con un esame di Stato.
Ricordo che in tempi non sospetti (il mio “La scuola che progetta” è del 1990) ebbi a scrivere che forse non sarebbe stato più il caso di concludere un obbligo di istruzione con il classico esame di sempre, che vuole promossi e bocciati, ma con un documento che certificasse semplicemente – senza note di merito o di demerito – le concrete conoscenze che l’alunno avesse raggiunto! Ma i tempi non erano maturi! E forse non lo sono ancora! E non è un caso che dopo tante annose fatiche volte a superare la valutazione decimale con la valutazione di criterio, un recente improvvido provvedimento – mi si perdoni l’ossimoro – abbia restaurato i voti nella scuola primaria e nella scuola media!
Da tutto ciò che ho detto consegue che non mi meraviglia affatto che la scuola media, nel corso degli anni, sia diventata l’anello debole dell’intero sistema di istruzione! Siamo noi stessi ad averla messa all’angolo! E non è un caso che ciò si avverte ancora di più dopo che l’obbligo di istruzione è stato innalzato di altri due anni (i dm 139/07 e 9/10). Il mancato riordino dell’intero percorso obbligatorio decennale vanifica lo stesso innalzamento dell’obbligo che, com’è noto, nella gran parte degli istituti secondari di secondo grado è avvertito come un’inutile ritualità. Il fatto poi che il riordino dell’intera istruzione secondaria proceda tra mille difficoltà aggiunge un ulteriore problema alla continuità verticale – e potremmo anche dire orizzontale – dell’intero nostro “Sistema educativo nazionale di istruzione e formazione”! Ma questo è un altro discorso!
PERCHÉ SOLO UN RESTYLING?
La lunga premessa mi ha consentito di fare emergere che i mali della nostra scuola media non riguardano solo questo grado di scuola, ma l’intera catena dell’istruzione obbligatoria, di cui la scuola media costituisce l’anello debole, a fronte di altri anelli, anch’essi di fatto deboli! Sono motivi più che sufficienti per avere atteso con ansia che il Nucleo redazionale del Miur rilanciasse le nuove Indicazioni nazionali relative al primo ciclo.
Ricordo che in prima battuta si trattava di dovere “armonizzare” (dpr Gelmini 89/09, art. 1) le Indicazioni per i piani di studio personalizzati, della Moratti, con le Indicazioni per il curricolo, di Fioroni: operazione impossibile perché si tratta di documenti che discendono da due modi non solo diversi, ma contrapposti, di fare scuola: per farla breve, per il primo occorre “dare a ciascuno quello che chiede”; per il secondo occorre “dare a ciascuno quello di cui ha bisogno”! Due concezioni divergenti delle finalità che un sistema di istruzione pubblica deve proporsi! Così il Nucleo ha lavorato solo sulle Indicazioni per il curriculum di Fioroni e ha operato un dignitoso restyling, ma… È certo che il mandato affidato al Nucleo era quello che era né era possibile andare oltre, ma… penso che a tutti i membri del Nucleo sia noto che un semplice restyling non salverà il comprensivo verticale infanzia-primaria-media, proprio perché occorrerebbe un’altra logica di comprensivo: infanzia il più possibile generalizzata, percorso obbligatorio decennale continuo verticale e progressivo senza interruzioni formali per norma, ma con tutte le ovvie cesure che lo sviluppo di diverse fasce di età rappresenta e di cui chi insegna è solito tenere il debito conto. Pertanto, va dato per scontato che il lavoro prodotto dal Nucleo è valido, condotto, però, all’interno di una logica che non osa mettere in discussione il sistema complessivo né avrebbe potuto farlo, stante il mandato!
Però… ecco un però grosso così! Che cosa vietava al Nucleo di allegare alla proposta un documento che accennasse alla necessità di andare oltre un restyling e di affrontare l’intera questione in termini di riordino? Ciò avrebbe consentito di sollecitare l’amministrazione, il governo e le stesse forze politiche ad assumere, forse in tempi futuri migliori, iniziative di più ampio respiro! Il rischio è che il restyling finisca con l’essere un pannicello caldo che non cambierà di molto lo stato del nostro percorso infanzia/primaria/media. Ecco, a mio vedere, i punti deboli che la proposta contiene e i punti forti che un documento introduttivo, invece, avrebbe dovuto contenere.
1) Nella proposta, in cui l’obbligo di istruzione decennale dovrebbe essere enfatizzato e perseguito, la parola obbligo compare solo una volta e viene per di più chiamato “obbligo scolastico”, che è un’altra cosa! E in effetti è così che lo chiamano tutti coloro che a un obbligo decennale effettivo non credono affatto!
2) In apertura sono riproposte puntualmente le competenze chiave di cittadinanza quali garanzia per l’apprendimento permanente, di cui alla Raccomandazione europea del 18 dicembre 2006, fatte proprie dal dm 139/07 relativo all’innalzamento dell’obbligo (dm che non viene neanche citato), in cui sono assunte come conclusive di un obbligo di istruzione decennale Nelle Indicazioni, invece, vengono proposte come “obiettivo generale del processo formativo del sistema pubblico di istruzione”, il che non solo vanifica l’impegno che, invece, abbiamo assunto nel 2007 di far conseguire tali competenze al termine dell’istruzione obbligatoria decennale, ma sollecita le istituzioni scolastiche a non proporsele come obiettivi da perseguire, ma come generici punti di riferimento.
3) Non si capisce perché non vengano anche citate le competenze culturali, di cui al medesimo dm 139/07, alle quali i percorsi ottonnali potrebbero e dovrebbero ancorarsi per curvarle ai loro traguardi terminali. Tale carenza fa sì che le scuole medie continueranno ancora a certificare competenze da loro “inventate” – sulla base di generici traguardi di sviluppo – che già da alcuni anni costituiscono un pasticcio per quanto riguarda l’attendibilità formale delle licenze da loro rilasciate. Né si dice una parola sulla necessità di andare verso il superamento di un esame di Stato di terza media che non ha più alcuna ragion d’essere, essendo stato innalzato l’obbligo di due anni: esame che peraltro continua a essere gestito come se costituisse ancora un traguardo terminale. Sarebbe sufficiente affermare che il primo ciclo termina con la certificazione dell’obbligo decennale e l’adempimento costituzionale dell’esame di Stato conclusivo sarebbe egualmente rispettato.
4) E ancora! È notorio che una reale certificazione delle competenze è un’operazione complessa, che si progetta e si realizza in itinere, che mette in discussione la stessa progettazione curricolare, e che comunque non può essere materia di un esame finale, esame che dovrebbe essere assolutamente superato, almeno nelle forme con cui ancora oggi viene gestito. Invece, ancora si persiste nell’equivoco che si possano coniugare due eventi così diversi (esame su contenuti appresi e certificazione di competenze acquisite) con l’esame di sempre!
5) Dal documento discende una proposta tutta autoreferenziale! Sembra che tutto si debba concludere con questa benedetta terza media! Quand’è che, invece, ci proporremo di istituire un comprensivo che duri dieci anni e non otto (oppure tredici, se vogliamo generalizzare veramente la scuola dell’infanzia)?
6) Non c’è alcun cenno sulla necessità che l’obbligo di istruzione venga assolto solamente all’interno dei soli percorsi di istruzione (licei, istituti tecnici e professionali) Di fatto, con il silenzio, si riprende e si ribadisce la volontà perversa di Moratti e di Gelmini di dirottare gli “incapaci” e i “demeritevoli” all’apprendistato e alla formazione professionale regionale (come recitano le leggi 133/08 e 183/10). Ovviamente con tutto il rispetto che ho – e che si deve avere – nei confronti di questi percorsi che, invece, da decenni, vengono considerati per legge ricettacolo di quegli alunni più deboli che dieci anni di istruzione obbligatoria non sono stati capaci di rendere, invece, “capaci e meritevoli”!
7) È sufficiente continuare a giocherellare con i traguardi per lo sviluppo ecc? Nulla cambia rispetto al pasticcio che da anni costringe tutte le scuole medie e le relative commissioni d’esame ad arrangiarsi a scrivere cose generiche su diplomi che nessuno legge e che non servono a niente!
Tutte queste “belle cose”, scritte ovviamente con penna migliore e più suadente, non potevano essere scritte in un documento di premessa? Come a dire: il Nucleo obbedisce al suo mandato, ma non può fare a meno di evidenziare nodi che potranno essere veramente sanati solo con un coraggioso riordino ordinamentale! Non sarebbe stato il caso di dire: se le competenze dei sedicenni, di cittadinanza e culturali, sono quelle di cui al 139/07, quali possono essere quelle dei quattordicenni? Di qui una riscrittura a scendere! E spezzare così una lancia anche per una presa di posizione del Miur sulla necessità di certificare veramente i sedicenni e non continuare a far finta! Come in effetti sta avvenendo in quasi tutti i bienni!
Ovviamente, so bene che il documento deve avere i suoi limiti, per il mandato che è stato assegnato al Nucleo. In effetti, il documento ha una sua forte omogeneità culturale e non fa sconti alle infauste suggestioni morattiane. Ciò che lamento è il fatto che sembra che tutto finisca alla fine della terza media, come ai tempi dei tempi (interessante l’ultimo numero di “Insegnare” sui tempi andati della scuola media: ci sono pezzi interessanti di Ronchey, di Vertecchi, di Pasolini, che la scuola media obbligatoria voleva addirittura abolirla! Perché illude culturalmente e non promuove socialmente). E invece per i nostri studenti l’istruzione continua, almeno per altri due anni. Non sarebbe opportuno – e siamo ancora in tempo – un documento di premessa di ampio respiro, che dia il senso che le nuove Indicazioni lasceranno il tempo che trovano se non si punta più in alto, per costruire un percorso obbligatorio decennale senza scansioni formali se non quelle, come ho osservato più sopra, che derivano dalle fasi di sviluppo dall’infanzia all’adolescenza?
Per non dire di un altro discorso che affronti quell’interrogativo grosso come una casa che aiuti veramente a realizzare l’“equivalenza formativa di tutti i percorsi” dei bienni che succedono alla scuola media. Ovviamente, non è compito del Nucleo! Ma se certi nodi non si affrontano mai e se non si dice neanche che esistono e che sono, invece, macigni, come faremo a recuperare il biennio delle superiori a un percorso progressivo verticale, continuo, unitario, e via dicendo?
Insomma, se è necessario andare avanti, non si può stare zitti su questioni cruciali! Insomma, vorrei che la riscrittura delle Indicazioni fosse un’occasione per dire molto di più! Per evitare di procedere in avanti… segnando però il passo del gambero!
Maurizio Tiriticco