Il PCI e la scuola –  Rodari, la scuola, i genitori

Quando Gianni Rodari inizia ad occuparsi teoricamente di scuola lo fa come giornalista del quotidiano “l’Unità”, è il 1947. La sua esperienza di maestro si è infatti esaurita nei primi anni della Seconda guerra mondiale, è poi venuto l’impegno come giornalista che l’ha portato a riprendere, appunto, l’argomento scuola, ma in una prospettiva ormai completamente diversa. In Italia, infatti, è stata instaurata una repubblica democratica e anche il PCI, a cui Rodari ha aderito fin dal 1943, è stato chiamato a prendere parte al dibattito pubblico. Un bel cambio di paradigma, al quale il partito inizia a pensare in modo organico intorno al dibattito della costituente. Il 1947, l’estromissione dei partiti di sinistra dalla compagine governativa, il ripiegamento della  politica conseguente alle elezioni del 1948 non fermano una discussione messa in moto dalla scelta istituzionale. La scuola ha bisogno di una grande riforma, che insieme agli aspetti materiali e strutturali derivanti in buona parte dalla catastrofe bellica, metta mano anche alle questioni morali che pone una scuola immaginata durante il fascismo,  ora inserita entro il quadro democratico e repubblicano e regolata, nei suoi principi fondamentali, della Costituzione.

La lezione di Makarenko

Rodari, così, come tutti i comunisti, guarda alla nuova situazione storica ispirandosi agli scritti da poco pubblicati di Antonio Gramsci e soprattutto di Anton Semënovi? Makarenko, che, con il suo Poema pedagogico e i suoi Consigli per i genitori, diviene fondamentale per la formazione di una nuova coscienza educativa nei primi anni Cinquanta. Nel Poema è centrale il rapporto tra individualità e collettivo; quando Makarenko scrive, infatti, da un lato ha in mente Tolstoj e il suo programma pedagogico improntato sulla libertà, e, dall’altra, i problemi di gestione di una colonia per ragazzi difficili nella Russia dei primi anni Venti. Le riflessioni del maestro Makarenko scavano profondamente nella coscienza di molti maestri italiani che si domandano come tenere insieme quel ‘fatto nuovo’ che è la democrazia e l’educazione delle classi più povere. Educare cittadini, insomma, e non sudditi.

La ricezione di Makarenko in Italia è un capitolo appassionante della storia dell’educazione del dopoguerra: forse solo la Lettera a una professoressa ha provocato altrettanto fermento e discussioni, non solo a sinistra. Il Poema diventa presto la chiave di volta su cui i comunisti italiani costruiscono le basi di una critica all’attivismo di stampo deweyano, attivismo che si diffonde nel dibattito pedagogico italiano nei primi anni Cinquanta, soprattutto nelle ‘scuole nuove’.

Giornali e organizzazione democratiche per la scuola

Contemporaneamente un gruppo di maestri e maestre decide di associarsi in cooperativa per scambiare esperienze e provare a diffondere anche in Italia le tecniche del maestro comunista Celestine Freinet. Nel 1951, a Fano, il gruppo prende vita e nel giro di pochi anni diventa un punto di riferimento ineludibile per chiunque voglia occuparsi della riforma della scuola: quando nel 1955 Mario Alicata, in una celebre nota, afferma che il PCI deve iniziare a occuparsi di scuola in modo più organico, il movimento nato a Fano è preso a punto di riferimento.

In quello stesso anno, nel quale nasce anche la rivista Riforma della scuola, Gianni Rodari inizia a frequentare come inviato i convegni del movimento che prende nome di Movimento per la Cooperazione Educativa (MCE), traendone infiniti spunti per le sue storie e filastrocche ma soprattutto per le sue riflessioni sulla scuola, che diventano sempre meno teoriche e sempre più concrete, confrontandosi con l’esperienza che in classe fanno i maestri e le maestre che conosce.

Rodari coglie il solco che si va maturando entro il PCI tra una linea più strettamente legata alla questione del cosa si insegna a scuola con una più interessata al metodo, che vede in personalità come Giuseppe Tamagnini e soprattutto Bruno Ciari un termine di riferimento che diventerà costante, soprattutto quando scrive: «Tutti nel mondo della pedagogia e della scuola, sembrano esser d’accordo sull’esigenza di ‘partire dal fanciullo’, di prendere atto dei suoi bisogni di base e dei suoi interessi, delle forze che si muovono in lui. Questa esigenza è agli occhi di tutti così ovvia e scontata che appare superfluo e tedioso metterla di nuovo in evidenza. La cosa, invece, non è poi tanto ovvia. L’accordo è nella enunciazione verbale e non nel profondo delle convinzioni. In verità purtroppo (parlo per la prima classe e le mie considerazioni valgono naturalmente anche per le successive) non si parte affatto dal fanciullo; il maestro, in vista del primo giorno di scuola, ha già pronto, se è diligente, tutto un programma di esercitazioni; ha in testa il suo ‘metodo’ per l’apprendimento della lingua, globale o no, con tutti i suoi passaggi; ha pronti i cartelloni, magari le bustine col materiale più minuto. Dal primo istante in cui il fanciullo varca la soglia dell’aula il meccanismo, più o meno razionale, si mette in moto. Come vedremo, anche nei casi migliori il ragazzo diventa subito schiavo del ‘procedimento’; la sua vera personalità, la sua esperienza di vita, è rimasta fuori, e probabilmente, se non entra in principio nella scuola, non vi entrerà più»[1].

L’esperienza di Reggio Emilia

In questo clima di profondo ripensamento di cosa significhi essere dalla parte del fanciullo il comunista Gianni Rodari entra in contatto con altre due esperienze che lo arricchiranno ancora di più: quella di Ada Gobetti da un lato, e quella di Loris Malaguzzi dall’altro. Entrambe queste esperienze porteranno al centro della riflessione di Rodari la centralità del coinvolgimento dei genitori come forza sociale determinante nella trasformazione della scuola.

A Reggio Emilia la mobilitazione dei genitori nella gestione della scuola nasce grazie all’impegno dell’UDI che apre e gestisce 60 scuole materne nella provincia, di cui 8 nel comune capoluogo. Sono gli asili del popolo, un’esperienza originale di scuole autogestite in modo laico: non dobbiamo dimenticarci infatti che negli anni del dopoguerra l’assistenza all’infanzia è delegata a organizzazioni cattoliche o all’ex opera maternità e infanzia di memoria fascista.

La città partecipa attivamente all’ideazione di questo progetto, anzi scuola e città diventano un binomio inscindibile: sono i comuni democratici che rivoluzionano la scuola in questo decennio. Reggio, Bologna, Modena diventano un modello da seguire a livello nazionale e così infatti accade destando una certa preoccupazione da parte di chi nel governo pensa al fanciullo tutto intuizione e fantasia da proteggere e tenere lontano da progetti scolastici troppo rivoluzionari.

I diritti dei genitori di partecipare attivamente, e con libera adesione, ai principi statutari, alle esperienze di crescita, cura, formazione dei propri figli vengono loro affidati dall’istituzione pubblica. Rodari guarda con entusiasmo a questo modello, a questa pedagogia del collettivo che rimanda alla lezione di Makarenko ma in un contesto democratico. Per questo accetta di buon grado di prendere il posto di Ada Gobetti nella direzione de Il Giornale dei genitori,  quando la fondatrice muore nel 1968. Rodari  è convinto infatti che solo il coinvolgimento di tutti nella scuola potrà consentire all’istituzione di abbandonare il suo status di «riformatorio ad ore», come scrive nel 1973 e di avvicinarsi al modello virtuoso di Reggio anche nei gradi superiori.

Arrivano i decreti delegati

L’esperienza si esaurisce però, paradossalmente, in seguito all’approvazione dei decreti delegati che svuotano le proposte di partecipazione della comunità nate a Reggio Emilia trasformandole in una delega spesso vuota di senso, visto che per educare i genitori alla partecipazione occorre una discussione costante di un soggetto collettivo che non può che essere la classe.

La speranza è che gli organi collegiali possano annullare queste differenze nella partecipazione, ma nessuno dice come. Rodari è drastico: i genitori eletti negli organi collegiali si muovono a disagio, non hanno armi per battersi contro la burocrazia, le circolari ministeriali piovono imprevedibili sulle loro teste; molti i presidi e i direttori che boicottano la legge tuonando contro l’assemblearismo, troppi i professori che, pur accogliendo la riforma, continuano a usare la scuola come strumento di selezione, bocciando. Appare necessario rilanciare Il Giornale dei genitori, adesso più utile che mai: «nel ’74 ci fu un incontro al Pci con Napolitano, Chiarante e Codignola per rilanciare la rivista», ha scritto Lidia De Grada della redazione del giornale, «mi promisero che avrebbero liberato Rodari dal lavoro a Paese Sera, in modo da potersi dedicare esclusivamente a Il Giornale dei genitori. Rodari ci aveva creduto e fece un piano per rilanciare il giornale. Senonché i due partiti coinvolti nella realizzazione della rivista, Pci e Psi, ignorarono completamente quegli impegni». Rodari, ricorda De Grada, aveva creduto molto alla gestione sociale della scuola e «mi sembrò di capire che non fosse precisamente entusiasta di come il Partito non avesse pensato al ruolo che avrebbe potuto svolgere uno scrittore come lui in questo movimento. Rimase deluso»[2].

Deluso dell’impegno venuto meno nel partito rispetto all’educazione dei genitori: «Il mestiere di genitore di cui parlava Makarenko, e di cui parla con tanta passione tra noi Ada Marchesini Gobetti, si impara e si pratica a braccio, a orecchio. L’idea che per allevare bene i bambini occorrano, oltre agli assegni familiari, e ai maestri, conoscenze complesse, che ci si debba mettere addirittura a studiare, per commettere il minor numero possibile di errori, è molto meno diffusa dei vecchi precetti e pregiudizi dell’educazione familiare» G. Rodari, Chi scrive per i bambini, in «Rinascita», 22 dicembre 1962, p. 3.[3]. E ancora, ci sembra, è così.

 

[1] B. Ciari, riportato in G. Rodari, Bruno Ciari e la nascita di una pedagogia popolare in Italia, Atti del Convegno su Bruno Ciari, Certaldo, 5 feb. / 18 mar. 1971, a cura del Centro Studi e Iniziative Bruno Ciari.

[2] Le citazioni sono riprese dal mio Lezioni di fantastica. Storia di Gianni Rodari, Laterza 2020.

[3] G. Rodari, Chi scrive per i bambini, in «Rinascita», 22 dicembre 1962, p. 3.

Vanessa Roghi *Storica  della scuola. Autrice , fra le altre cose, di La lettera sovversiva. Da don Milani a De Mauro, il potere delle parole (Laterza 2017) e di Lezioni di Fantastica. Storia di Gianni Rodari (Laterza 2020). Attualmente sta lavorando a un volume sulla figura di Mario Lodi.