Il compito irrinunciabile di tenere le scuole aperte, ripensare e rinnovare i contenuti, garantire a tutti il diritto all’apprendimento
La necessità di combattere efficacemente i rischi di una diffusione perniciosa della pandemia e i conseguenti problemi della tutela della salute hanno prospettato il bisogno di iniziative che evitino la chiusura delle scuole. Vorrei ribadire energicamente che una tale misura sia rigorosamente da evitare: siamo contrari a qualunque idea di chiusura delle scuole. Le conseguenze sulla vita familiare, sull’efficacia educativa, sulla crescita intellettuale delle giovani generazioni sarebbero perniciose e inaccettabili.
E tuttavia le iniziative per evitare il contagio e tutto ciò che questo comporta non sono rinviabili. A ciò si accompagna la necessità di affrontare realisticamente e culturalmente un’altra esigenza non rinviabile della nostra metodologia educativa dominante: la necessità di diffondere i curricoli digitali si è accompagnata un’erronea distinzione tra cultura e scienza, se pensiamo a quest’ultima come fonte fondamentale di conoscenza moderna e ricca anche di un’efficace prospettiva di orientamento. Non si sottovaluti che vi è una distinzione radicale fra innovazione tecnologica e DAD, e che l’attuale affermarsi di impropri insegnamenti a distanza ha aggravato le tradizionali disuguaglianze nella nostra popolazione discente.
È vero che la vicinanza è una importante prerogativa di una attività educativa; ma questo non basta: il salto di qualità si può infatti assicurare se si afferma il protagonismo discente, e cioè l’assoluta rilevanza che l’attività educativa sia anche il regno dell’apprendere. Di questa funzione si è parlato poco nei decenni precedenti, insufficiente è stata l’attenzione scientifica, e persino poco rilevante é stata l’attività di produzione scientifica in materia. L’attenzione accademica e culturale all’apprendere deve invece portare all’affermarsi, nella nostra scuola, di un vero e proprio diritto di apprendere, che consenta da un lato di rispettare fino in fondo la figura di chi apprende e le sue prerogative, e dall’altro la conoscenza e l’elaborazione dei vari risvolti in cui si realizza una cultura dell’apprendimento. Questo non significa demagogia ‘filo studentesca’, oppure predisposizione a priori a favore degli studenti, ma consapevole considerazione della filosofia dell’apprendere, in cui deve risultare ovvia la distinzione dei due ruoli (insegnare e imparare) e la particolare fisionomia tecnico fisico-fisiologica e culturale di un’attività come l’apprendimento. Questa presuppone infatti l’idea di un affiancamento fra chi insegna e chi impara, di una sorta di sostegno a quello sforzo, a quell’impegno; di un rapporto sereno, rassicurante, ma comunque severo, non assistenziale.
L’associazione Proteo [link Proteo-fare-sapere] ha proposto proficuamente un protocollo pedagogico, uno strumento prescrittivo e vincolante, che arricchisca la cultura pedagogica del nostro Paese di un clima educativo con elevate capacità di includere, di creare senso civico, solidarietà.
Come si vede siamo di fronte all’ambizione di arricchire l’orizzonte pedagogico, che assegna una funzione educativa anche al puro fatto di stare a scuola, di frequentare, non solo per la inevitabile e indispensabile socializzazione, ma anche per una più razionale definizione dei ruoli rispettivi di docenza e discenza. Un tale tipo di scolarizzazione, una frequenza così fatta, sono in grado di dare umanamente, educativamente, al discente sia un arricchimento sociale e un contributo formativo vero e proprio della persona, fatto insieme di componenti culturali ma anche sociali. Da qui deriva la consapevolezza che perdere tanti giorni di frequenza scolastica comporta una perdita secca dell’arricchimento educativo dei discenti, e con esso del loro arricchimento sociale. Non solo per l’effetto negativo di quell’assenza in tema di regolarità del rapporto istituzionale, ma anche per la perdita di un effettivo e concreto contributo all’arricchimento della persona, dei giovani. La perdita della frequenza è quindi non solo un elemento di disordine, che già basterebbe, ma un pernicioso elemento di carenza culturale,un elemento che resterà nella biografia di quegli studenti. In altri termini, mancando la scuola e tutto quello che questo comporta per la densità pratica e intellettuale di quelle ore scolastiche perdute a scuola, i bambini ed i ragazzi ne trarranno un documento nella loro vita. Non un semplice disagio, pertanto, ma un vero e proprio danno.
Per questo motivo trovo interessante la proposta di un ‘protocollo pedagogico’ di Proteo che per quanto un po’ roboante, rivela comunque uno sforzo di riorganizzazione del complesso dell’attività educativa in queste difficili circostanze. Non si tratta di proposte fatte soprattutto per contenere il contagio, perché rivelano l’attenzione al fatto che, mancando la scuola, si riduce la ricchezza della democrazia e di ciò che essa significa per la crescita delle giovani generazioni. Come si è più volte ripetuto, del resto, le scuole hanno continuato a lavorare, aperte, anche durante le due guerre mondiali: l’attività didattica appare qui incorruttibile e imbattibile. I genitori lo sappiano: i loro figli non dovrebbero perdere sette mesi di vita! Non va trascurato, tuttavia, che non dovrebbe essere possibile riprendere o continuare a fare scuola come prima. Ci rendiamo conto che trovare strade nuove significa aumentare il protagonismo docente e la necessità di affrontare con più responsabilità la funzione didattica, e che acquista più rilievo l’autonomia scolastica.
Luigi Berlinguer