Facciamo parlare le scuole ben fatte

La discussione in corso intorno al documento del governo sulla “Buona scuola”, seppure in modi diversi all’interno di valutazioni spesso divergenti sul complesso della proposta stessa, evidenzia una difficoltà importante: la mancanza di una esplicita prospettiva politico-culturale intorno alla quale i vari temi affrontati possano essere ri-organizzati.
Da questa mancanza discende la diffusa genericità nella trattazione di alcuni temi, l’assenza di altri (il tema del processo di apprendimento lungo il corso della vita: dalla formazione iniziale alla età adulta, per fare un esempio) e la scarsa attenzione alla necessità di valorizzare, in termini non rituali, le varie professionalità che nella scuola svolgono attività importanti, ma che ancora una volta rischiano di rimanere compresse tra la retorica della missione/vocazione e la burocratica definizione di funzioni.

Nelle varie riserve e critiche che vengono espresse sicuramente non è presente né la nostalgia di predefiniti dirigismi teorico-filosofici, né la pretesa di una fluidità d’indicazioni all’interno delle quali produrre una sorta di fai da te della istruzione, ma si esprime il richiamo a un progetto culturale capace di confrontarsi con la complessità delle società attuali e delle diverse espressioni in cui la riflessione e il sapere attuale si esprimono.

Alla fine del secolo scorso Edgar Morin aggiungeva al titolo del suo libro/programma La testa ben fatta (Paris, Seuil 1999) un sottotitolo: Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero. Queste due riforme devono essere strettamente legate, perché – e lo dice molto bene Morin nella parte iniziale del suo testo – cambiare contenuti, luoghi, ambienti e relazioni in cui si apprende significa partire dalla consapevolezza della “inadeguatezza sempre più ampia tra i nostri saperi disgiunti, frazionati, suddivisi in discipline da una parte, e realtà o problemi sempre più poli-disciplinari, trasversali, multidimensionali, transnazionali, globali e planetari dall’altra”.

Non basta quindi coltivare buone teste, né quelle degli scolari né quelle dei docenti, ma bisogna farle bene queste teste, cioè accompagnarle e sostenerle in un processo di costruzione di un’attitudine generale a porre e trattare problemi per trovare soluzioni e, nello stesso tempo, di operare per definire principi organizzatori validi, coerenti, ben fondati, ma sempre aperti alla discussione e al cambiamento.

Allora sarebbe utile porre una domanda: come deve essere fatta una scuola “ben fatta”? in cui teste ben fatte producano buone idee e buone esperienze?

Il lavoro costruito negli anni da Education 2.0 ci consente di proporre alle scuole che abbiamo incontrato nel corso del nostro degli anni, o di cui conosciamo il contributo offerto alla riflessione, a ripensarsi e a raccontarsi come possibili modelli di scuole “ben fatte” facendo emergere proposte di soluzioni ai problemi fondamentali cui la scuola oggi deve rispondere, come sistema e come attività di soggetti responsabili.

Chiediamo di raccontare la vostra scuola entro lo schema che proponiamo, ma che può essere modificato se non lo ritenete adatto alla vostra esperienza:
– la capacità di essere una scuola inclusiva;
– lo sviluppo delle professionalità e le modalità di valorizzazione di queste;
– la capacità di leggere i bisogni del territorio e di produrre risposte finalizzate alla soluzione di problemi specifici;
– la capacità di essere soggetti di continua ricerca e sperimentazione di azioni ben fatte.

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Immagine in testata di Wikipedia/AIESEC (licenza free to share)

Vittoria Gallina