Un’enfasi inutile e un adempimento mancato
Per un obbligo decennale senza tentennamenti
Stagione d’esami nella scuola media, o meglio nella scuola secondaria di primo grado! Due concetti diversi con i quali ci gingilliamo fin dal lontano 1962 quando, con l’istituzione della scuola dell’obbligo ottonale, riadottammo la definizione di scuola media istituita da Bottai (che cancellò i primi tre anni del ginnasio!), ma aggiungemmo che si trattava pur sempre del primo grado dell’istruzione secondaria. Guai a mettere in crisi la corporazione dei “professori”, da sempre abituati a insegnare ad alunni già “selezionati”! Il fatto è che negli anni Cinquanta ancora sapevamo poco o nulla di curricolo e ancora credevamo ai sacrosanti gradi ben distinti di un processo di apprendimento. E non avemmo il coraggio di ragionare in termini di percorso continuo, progressivo, verticale e unitario. In effetti anche la Moratti e Fioroni, la prima con il varo delle Indicazioni nazionali, il secondo con il varo delle Indicazioni per il curricolo, pur dando vita a percorsi di fatto in continuità, non rinunciarono alla definizione di sempre di scuola secondaria di primo grado. Così il bisticcio semantico per cui un qualcosa sta in mezzo, ma segna anche un inizio, è perennemente irrisolto! E chi insegna non può fare a meno di soffrire di strabismo! Quale collocazione deve privilegiare? Quando avremo il coraggio di dar luogo a un percorso obbligatorio decennale, continuo, verticale e unitario, quando ancora non siamo riusciti a costruire un percorso unitario ottonale? Ma riflessioni di questo tipo, a cui il pedagogista attende da anni – pur se non passa giorno che non venga accusato di essere responsabile di tutti i mali della nostra scuola – è lontano mille miglia da chi governa oggi il sistema di istruzione. Sembra che il dìvide et impera sia sempre il modo migliore per… Così, di ogni grado di istruzione si sottolinea la sua specificità e guai a metterla in discussione! Se poi i nostri ragazzi vanno male e se l’Ocse continua a bacchettarci – sono anni che lo fa e sono anni che facciamo orecchie da mercante – la colpa è sempre loro, che non studiano, e soprattutto dei pedagogisti, che sono buonisti, e degli insegnanti, troppo infarciti di pedagogismo! Occorrono sempre capri espiatori, quando non si è capaci di mettere in discussione, a livello politico, legislativo e amministrativo, un ordinamento scolastico ancora saldamente ancorato al passato e che non si vuole assolutamente cambiare! Miopia politica e incapacità amministrativa!
Un esame da superare e un obbligo da realizzare
Questa ottica ostinatamente conservatrice – anzi, addirittura restauratrice di un passato che pensavamo di aver liquidato per sempre (il ritorno al voto nel primo ciclo è la punta avanzata di questa restaurazione) – si è manifestata chiaramente con il perseguimento ostinato di due obiettivi. Il primo è stato quello di rendere “più severo” l’esame di terza media – pardon! di fine dell’istruzione secondaria di primo grado o di primo ciclo di istruzione – che invece dovrebbe assolutamente perdere di senso e di importanza, se si tratta non di un “termine”, ma di un “passaggio”. Il secondo è stato quello di liquidare consapevolmente l’operazione innalzamento dell’obbligo di istruzione a cui siamo giunti appena due anni fa, dopo anni di discussione e – perché no? – di fallimenti! Si pensi alla disinvoltura con cui la Moratti liquidò la legge 9/99 che innalzava l’obbligo di due anni ed inchiodò tutti i nostri quattordicenni a scegliere liberamente – si fa per dire – se procedere nell’istruzione o nella formazione professionale. E si pensi a quanto sancito dalla legge 133/08 con cui l’attuale maggioranza ha stabilito che “l’obbligo di istruzione si assolve anche nei percorsi di istruzione e formazione professionale”. Un ritorno chiaro e tondo alla scelta della Moratti! In tal modo ai nostri ragazzi è stato negato il diritto a essere “istruiti” fino a sedici anni! Siccome la tesi ricorrente nella attuale maggioranza è che “non tutti sono portati per lo studio”, si vuole generosamente offrire ai “non capaci” e ai “non meritevoli” una opportunità di riserva! E la formazione professionale continuerà ad essere considerata come un percorso di risulta! La scuola del “merito” implica e sanziona l’esistenza del “demerito”! Avremo così i demeritevoli per legge!
Un obbligo decennale per tutti è irrinunciabile!
L’innalzamento dell’obbligo di istruzione avrebbe dovuto impegnare il Paese, la scuola, il governo in una gigantesca operazione di riordino dei tre gradi di istruzione. Il decreto istitutivo dell’obbligo decennale indica anche con estrema precisione quali sono le competenze culturali e di cittadinanza che tutti i nostri sedicenni debbono raggiungere. E tale finalità trae la sua legittimità anche e soprattutto da indicazioni che ci vengono dall’Unione europea, che raccomanda a tutti i Paesi membri di adoperarsi perché i giovani europei che hanno atteso agli studi di base possano vantare un repertorio di conoscenze, abilità e competenze, di cultura e di cittadinanza, largamente comuni. Se oggi nel nostro Paese non parliamo più in termini di Toscani o di Siciliani, domani sarà difficile in Europa parlare in termini di Italiani o di Francesi! A questa prospettiva, che ci suggerisce l’Unione europea e che ci è sollecitata dalla storia stessa, una risposta autorevole non c’è, e il provincialismo del nostro governo è veramente imperdonabile. La nostra amministrazione parla di competenze in tutti i documenti e non sa dove stanno di casa, che cosa sono e come si certificano. E per il primo ciclo se le devono inventare le scuole! Lo suggeriscono chiaramente le recenti CM 50 e 51. E il “fai da te” è pericoloso su di un terreno che invece, su scala nazionale, dovrebbe rendere leggibili competenze nazionalmente adottate! L’amministrazione non ha capito, o non vuole capire, che le uniche competenze con cui dobbiamo far misurare i nostri giovani – che poi sono scritte nel dm 309/07 – sono quelle che concludono l’obbligo di istruzione. È a partire da queste che, a ritroso, avrebbe dovuto lavorare l’amministrazione per dare indicazioni concrete alle scuole. In effetti, le Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione non parlano mai di competenze in senso stretto, ma di traguardi di competenza. E non si tratta di un gioco di parole! Ma di aprire una porta a ulteriori elaborazioni!
Si rafforza un esame che, invece, va in liquidazione
A questo punto è opportuno ricordare che le Indicazioni – qualunque ministro le emani – costituiscono il clou delle “norme generali”, di cui ha competenza lo Stato, e che, invece, è competenza delle scuole la loro traduzione in concreti percorsi curricolari: si vedano l’articolo 117 del Titolo V della Costituzione e l’articolo 8, comma 2 del dpr 275/99. Il che significa che le istituzioni scolastiche, nella loro autonomia per la progettazione e realizzazione dei curricoli non sono tenute a “inventarsi” competenze, ma ad adoperarsi perché i loro alunni perseguano le competenze terminali dell’obbligo, ovviamente lette, condivise e curvate ai diversi livelli di età. Il discorso sulle competenze è troppo serio perché ci si possa “divertire” a trovare quali sono quelle che un bambino di sei anni o di dieci debba raggiungere! È così serio che la stessa Amministrazione non osa metterci le mani! Incapacità? A quando, allora, un discorso che sia serio e scientificamente fondato sulle competenze? Forse mai, con questa amministrazione! E il pedagogista non può suggerire nulla, data la sua vocazione sessantottina allo sfascio perenne! Se questi sono i problemi di fondo, che senso ha fare i severi rafforzando un esame di Stato di terza media – chiamiamola anche secondaria di primo grado – che invece dovrebbe soltanto agevolare il passaggio da una “ottava classe” obbligatoria ad una “nona classe” anch’essa obbligatoria? È facile fare i severi con i quattordicenni e creare pasticci negli insegnanti! È invece difficile adoperarsi perché – a livello centrale – si costruisca una traccia, a livello di “norma generale”, di curricolo progressivo, verticale e unitario finalizzato a quelle competenze culturali e di cittadinanza che sono chiaramente scritte nel dm 309/07. O si ha paura della resistenza dei “professori” del biennio, che da sempre sono abituati a insegnare ad alunni già selezionati? Una volta, ai fini dell’ingresso nella vita e nel lavoro, valeva la licenza di quinta elementare; poi quella della scuola media. Oggi, con l’innalzamento dell’obbligo, l’unico documento valido è la certificazione delle competenze acquisite alla fine del decimo anno di studi obbligatori! Se così è, che senso ha insistere sulla licenza media?
Mancano coraggio e idee forti!
L’obiezione a questo discorso è scontata: mi si dirà che è la Costituzione che stabilisce all’articolo 33 che al termine di un ciclo di istruzione sia previsto un esame di Stato! Ma non occorre cambiare la Costituzione! Occorre soltanto che si abbia il coraggio di accettare che un primo ciclo di istruzione è costituito dall’intero percorso obbligatorio, ovviamente con tutta l’attenzione che occorre avere per gli stadi di sviluppo di un soggetto cha procede dall’infanzia a una adolescenza matura. Ciò sembrerebbe, comunque, avveniristico, stante il fatto che tutto il riordino dell’istruzione secondaria di secondo grado – sarebbe meglio chiamarla superiore – parte proprio dal quattordicesimo anno di età. Il che, comunque non escluderebbe affatto che negli ultimi due anni dell’obbligo, attorno a un percorso curricolare forte e comune, finalizzato alle competenze di cui al dm 309/07, si affiancassero i percorsi scelti dal quattordicenne in ordine alle offerte del sistema dei licei, dell’istruzione tecnica e di quella professionale. Il timore è che, nel momento in cui si riordina l’intero secondo ciclo – che partirà con l’anno scolastico 2010/11 – il biennio caratterizzante dell’indirizzo schiacci il biennio caratterizzante dell’adempimento dell’obbligo. Comunque, un’accorta ingegneria istituzionale sarebbe in grado di armonizzare i due percorsi, quello terminale e quello propedeutico. Senza pensare che il tutto sarà ulteriormente complicato quando ci decideremo a fare uscire i nostri ragazzi dal sistema di istruzione a 18 anni e non a 19, come avviene in quasi tutti i Paesi europei. Dovremo pur deciderci che cosa fare di questo quinto anno ballerino successivo ai due bienni! Mah! Discorsi avveniristici?! So bene che non si tratta di un discorso semplice e che il tutto deve procedere con la gradualità che è necessaria. Ma a monte di tutto dovremmo essere tutti d’accordo su un punto fermo: che la scuola non è una variabile dipendente da un sistema socioistituzionale più complessivo, ma una variabile indipendente che si pone come motore di un sistema, e come sistema essa stessa, come Sistema nazionale educativo di istruzione e formazione, che è deputato appunto, ad educare, istruire e formare tutti suoi cittadini, per garantire loro il successo formativo (dpr 275/99, art. 1, c. 2) non solo nella loro esperienza di studi obbligatoria, non solo almeno fino al conseguimento di una qualifica entro i diciotto anni di età, ma per tutta la vita. Si tratta di un Sistema trainante e indispensabile allo sviluppo civile, economico e sociale dell’intero Paese. Un Sistema, quindi, che deve essere innovato nelle sue singole parti solo con un’ottica di sistema, appunto, perché ciascuna di esse è parte di un tutto!
Qualcuno ci ha ricordato che occorre intervenire localmente, ma progettare sempre globalmente! E la nostra classe politica, la nostra amministrazione, hanno un compito immane!
Maurizio Tiriticco