Educare i giovani al lavoro: sapere o saper fare?

Chi si occupa di formazione e orientamento, oggi può trovarsi di fronte a un interrogativo: come aiutare i giovani ad acquisire le abilità necessarie per lavorare?

Ci si chiede se sia più funzionale indirizzare verso un lungo percorso di studi per l’ottenimento di titoli e qualifiche – sapendo che molte delle competenze saranno apprese altrove – o far vivere loro esperienze dirette per imparare dalla pratica: le due strade sono state spesso vissute come conflittuali e non sempre nella storia hanno trovato armonia ed equilibrio.

A partire dal Settecento si forma in tutto e per tutto la società industriale: entrano i concetti di lavoro regolamentato, di apprendistato e di formazione professionale che sostituiscono le forme precedenti dell’andare “a bottega” per imparare a diretto contatto con il mestiere o, per i più fortunati, con la presenza di un tutore.

Dalla seconda metà dell’Ottocento si struttura la formazione come fase necessaria per l’accesso dei giovani al mondo del lavoro, che ancora oggi ereditiamo: con l’aumento del fabbisogno di manodopera, è fondamentale avviare sempre più ragazzi al lavoro in tempi brevi; così le scuole, le università e i centri di formazione sono organizzati per garantirne la preparazione e un ingresso sicuro nel sistema sociale.

La qualità dell’istruzione, come molti storici hanno fatto notare, non sempre migliora proprio a causa del bisogno di avere forza lavoro specializzata e in quantità elevata. Inoltre, tali cambiamenti creano separazione tra l’attività lavorativa e l’istituzione scolastica, a causa dello slittamento nell’acquisizione di abilità dall’”imparare facendo” al “prima imparo e poi faccio”.

Negli ultimi anni è da molti percepito quanto l’istruzione sia svincolata dal mondo del lavoro, e il modello di formazione si sta lentamente modificando verso un “fare esperienze” come condizione necessaria per apprendere abilità: ad esempio all’interno di scuole e università con laboratori e tirocini e nei percorsi di formazione extra-scolastici ed extra-universitari, cercando di sviluppare legami più saldi con il mondo delle imprese e delle professioni.

I modelli di apprendimento non riescono ancora a integrare i concetti di teoria e pratica, ma oscillano tra il porre maggiore attenzione allo studio e al processo del conoscere come fase preparatoria o piuttosto all’incontro diretto con le necessità immediate e funzionali della vita quotidiana e lavorativa.

Sia la teoria sia l’esperienza diretta, anche se previste nei programmi di studio, non possono, infatti, orientare quando sono lasciate al fare e all’ideare senza quei modelli relazionali che invece devono essere, per i ragazzi, opportunità e riferimento continuo per l’imitazione e l’identificazione sociale e psicologica.

Educatori, formatori e coloro i quali operano all’interno di strutture scolastiche e universitarie, pubbliche o private, saranno dunque sempre più chiamati a uno stravolgimento di ruolo: non basterà più soltanto trasferire conoscenze, ma essere una guida per il futuro e poter rendere quelle conoscenze, se pur teoriche, già operative, così da superare il problema teoria-pratica e sviluppare, insieme ai giovani, occasioni di apprendimento che rendano il sapere un saper fare.

Alessandro Simoncini