La Consulta si pronuncia sui docenti di sostegno
È innegabile che la legge quadro n. 104 del 5.2.1992 contenga un corpo normativo in materia di assistenza, integrazione sociale e diritti delle persone handicappate tra i più evoluti e avanzati rispetto a quelli di altri Stati europei. Con specifico riguardo al diritto all’istruzione, la legge citata assicura l’integrazione del disabile in classi comuni, non soltanto attraverso l’assegnazione di un docente di sostegno per un certo numero di ore, ma anche con altri mezzi: si pensi all’istituzione di classi ordinarie in strutture ospedaliere per minori ivi ricoverati quali sezioni staccate di scuole statali (art. 12, comma 9); alla programmazione coordinata dei servizi scolastici con quelli sanitari e socio assistenziali (art. 13, comma 2); alla dotazione alle scuole di attrezzature tecniche e sussidi didattici appropriati (art. 13, comma 1 lett. a); all’obbligo per i comuni di garantire figure di sostegno (art. 13, comma 3); allo svolgimento di attività didattiche con piani educativi individualizzati (art. 13, comma 5).
I soggetti cui fanno capo detti interventi sono molteplici e vanno dallo Stato attraverso il proprio personale scolastico, alla Regione attraverso il personale medico e paramedico delle ASL, ai Comuni per il tramite dei servizi sociali.
Ne consegue che il livello di soddisfazione degli interessi dei disabili e in particolare del diritto all’istruzione risente del concorso di tutti questi soggetti e dell’attività che tutti insieme mettono in campo. D’altra parte, è indiscutibile che la qualità di tutti i servizi alla persona in astratto è sempre migliorabile, ma in concreto risente della disponibilità/limitatezza delle risorse finanziarie che vengono all’occasione destinate.
Fatta questa breve premessa basata su considerazioni fin troppo ovvie, e come tali difficilmente non condivisibili, conviene soffermarsi sulla normativa più recente introdotta con i commi 413 e 414 della legge 24.12.2007, n. 244 (finanziaria per il 2008), con cui lo Stato è intervenuto a disciplinare la sua azione nella materia che ci occupa: l’impiego dei docenti di sostegno e la loro quantificazione (organici).
Per anni, l’istituzione nell’organico di fatto di posti in deroga per casi gravi sopravvenuti era diventata quasi una regola, tanto che, nell’a.s. 2007-08, quasi la metà dei posti di sostegno era annualmente in deroga e coperta da docenti con contratti a tempo determinato che non potevano assicurare alcuna continuità didattica.
La legge 244 del 2007 fu salutata con favore tanto dalle famiglie dei disabili quanto dai docenti di sostegno poiché introduceva sostanzialmente 4 principi per dare stabilità al settore: limite massimo dei posti di sostegno, cancellazione dei posti in deroga, equiparazione territoriale del rapporto alunni disabili/docenti di sostegno pari a 2/1, trasformazione del 70% dei posti di sostegno in organico di diritto nell’arco di un triennio (dall’a.s. 2008-09 all’a.s. 2010-11).
Non può passare sotto silenzio la circostanza che le disposizioni legislative in esame siano passate indenni dalla “falcidia” degli organici del personale docente prevista dall’art.64 della legge 133 del 2008 nell’intento di razionalizzare la spesa statale per l’istruzione nel triennio 2009-2011. È evidente che il Governo in carica ha condiviso la scelta del precedente esecutivo, anche se di diverso colore politico, di individuare il giusto equilibrio tra la maggiore spesa per l’incremento dell’organico di diritto e l’esigenza di assicurare un livello qualitativo più elevato all’attività di sostegno assicurata così da docenti di ruolo.
Ebbene, investita della questione sollevata a seguito di un ricorso proposto dai genitori di un disabile grave al quale l’Amministrazione scolastica non aveva riconosciuto il sostegno nella misura massima (rapporto 1/1), la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 413, della legge 244/2007 nella parte in cui fissa un limite al numero dei posti degli insegnanti di sostegno nonché del successivo comma 414 nella parte in cui esclude la possibilità, già contemplata dalla legge 27 dicembre 1977 n. 449, di assumere insegnanti di sostegno in deroga in presenza nelle classi di studenti con disabilità grave, “una volta esperiti gli strumenti di tutela previsti dalla normativa vigente”.
Sul piano strettamente logico-giuridico, la pronuncia della Corte Costituzionale è ineccepibile, laddove si assume che il diritto all’istruzione del disabile grave non può essere compromesso o sacrificato dall’esaurimento delle risorse professionali predeterminate in sede legislativa.
Tuttavia sarebbe riduttivo iscrivere questa decisione nella categoria delle sentenze “abrogative”; non si darebbe giusto peso alla parte finale del dispositivo in cui si pone una condizione fondamentale per l’istituzione del posto in deroga e cioè l’aver prima esperito gli strumenti di tutela previsti dalla normativa vigente. Trattasi di una condizione che dimostra quanto la Consulta sia ben consapevole, da una parte del forte vincolo degli oneri di bilancio, dall’altra parte, della molteplicità dei mezzi di tutela previsti dalla normativa vigente per la tutela del diritto all’istruzione del disabile e della pluralità dei soggetti pubblici deputati a intervenire, sicché l’istituzione del posto in deroga rimane l’ultimo mezzo, quello a cui dovrà farsi ricorso quando non è possibile fare diversamente. La Consulta, dunque, dopo aver articolato la parte motiva, integra la normativa che disciplina la materia.
Questa nuova disciplina è vincolante per l’Amministrazione scolastica, che ora è chiamata ad applicarla. Ma sul piano operativo cosa si richiede? Il previo esperimento degli strumenti di tutela previsti dalla normativa vigente costituisce “condizione sospensiva” dell’istituzione di posti in deroga? Se così fosse, a parere di chi scrive, ciò equivarrebbe a una prova diabolica da dare.
Si pensi, per esempio, alla distribuzione nazionale dei posti di sostegno, che risulta tutt’altro che uniforme. E invero, uno degli obiettivi della legge finanziaria n. 244 del 2007 era quello di equiparare la difforme distribuzione territoriale per portarlo al rapporto medio di un docente ogni due disabili.
L’esame delle singole regioni dimostra che ve ne sono 8 con un rapporto superiore a quello medio e ben dieci con un rapporto inferiore, che, pertanto, dovrebbero cedere posti alle prime. A quest’ultima categoria appartengono quasi tutte le regioni insulari e del sud, dalla Campania, alla Sicilia, Puglia, Calabria, Basilicata, Sardegna. E quello che deve far riflettere ancor più è che il contenzioso per ottenere il riconoscimento del rapporto pieno di 1 a 1 e quindi in definitiva un maggior numero di posti si riscontra proprio in queste regioni. Non è un caso che il ricorso nel quale è stata sollevata questione di legittimità costituzionale è stato promosso in Sicilia.
Le precedenti considerazioni conducono a un duplice livello di indagine. Il primo attinge all’eziologia di una maggiore percentuale di disabili gravi in alcune zone geografiche anziché in altre; eziologia che potrebbe essere di natura “clinica” ovvero “burocratica”, collegata a un anomalo funzionamento delle commissioni mediche deputate agli accertamenti.
Il secondo livello riguarda il funzionamento delle strutture sanitarie e/o dei servizi sociali che fanno capo agli enti locali: la carenza o l’inadeguatezza di detti servizi, dei quali v’è un preciso coinvolgimento nella legge quadro n. 104 del 1992, scaricherebbero il peso finanziario dell’integrazione scolastica del disabile esclusivamente sulla figura del docente di sostegno, al quale si finisce per richiedere prestazioni che non sono ascrivibili alla sfera dell’istruzione, quanto piuttosto dell’assistenza, a volte anche infermieristica.
E che dire della permanenza degli studenti degli istituti superiori per dieci anni (almeno due anni per ogni anno di corso) fino all’età di circa trenta anni per mancanza di percorsi di istruzione professionale per ritardi nella predisposizione di un’offerta di formazione professionale da parte della competente Regione? Certamente tale tipo di formazione sarebbe più idoneo all’inserimento di molti disabili nel mondo del lavoro e alla realizzazione di un progetto di vita… oltre che alla riduzione dei posti di sostegno nella scuola superiore.
Le brevi considerazioni che precedono inducono a ritenere che la deliberazione della Consulta non abiliti il singolo ufficio scolastico a istituire sic et simpliciter posti di sostegno in deroga in presenza di disabili gravi, ma imponga, piuttosto, ai vari livelli territoriali, un’articolata attività organizzativa e, ancor prima, l’adozione di linee guida da assumere con un’intesa nazionale – se mai in sede di Conferenza Unificata Stato-Regioni – tra tutti i soggetti pubblici tenuti ad apprestare mezzi per il diritto all’integrazione scolastica del cittadino, in consonanza con il nuovo quadro istituzionale introdotto dalla riforma dell’art.117 della Costituzione.
Ora, non resta che attendere la risposta della Minerva alla pronuncia della Consulta.
Corrado Nappi