Il boom delle lezioni private
Per l’Umbria, se dovessero rispondere al vero, le cifre accreditate dall’ADOC (Associazione per la Difesa e l’Orientamento dei Consumatori) che indicano nel 40% la quota di studenti che ricorrono alle lezioni private, saremmo in presenza di un fenomeno, sociale e culturale, di così ampie proporzioni da rendere immediata l’apertura di una riflessione. È impensabile e intollerabile che, a fronte di una crisi economica così pesante per i redditi delle famiglie, anche lo studio dei figli, non privo di costi inevitabili, debba diventare un problema di tali proporzioni da rendere sempre più grave il rischio di abbandono precoce dell’esperienza scolastica di cui purtroppo ci sono già segnali inquietanti.
Ma è soprattutto intollerabile che la scuola produca un fenomeno del genere, senza un’autovalutazione attenta sulle cause che lo determinano.
Se non vogliamo liquidare il problema con analisi semplicistiche (è tutta colpa della scuola che non sa insegnare o è tutta colpa degli studenti che non vogliono studiare), credo che il problema debba essere indagato in tutte le sue sfaccettature.
È indubbio che una parte significativa di studenti sia in difficoltà di fronte alla “fatica” imposta dallo studio. È una difficoltà che inizia a presentarsi fin dalla scuola media (ma abbiamo notizie di lezioni private anche nella scuola elementare!). E infatti, e qui avremmo bisogno di dati specifici, è da questo grado di scuola che inizia il fenomeno consistente delle lezioni private a conferma della grave crisi che la scuola media attraversa e di fronte alla quale, nelle famiglie, prevale il ricorso alla lezione privata come una sorta di “delega” alla formazione allo studio e all’impegno del proprio figlio. In realtà, dove si ricorre alla lezione privata, accade proprio il contrario: la famiglia si deresponsabilizza di fronte al compito, delicato e complesso, di seguire il proprio figlio in un cambiamento non irrilevante del proprio stile di vita; lo studente, a sua volta, si rinforza nella deresponsabilità di fronte e se stesso dal momento che la lezione privata è la sua “garanzia”. L’esito, come si può comprendere, non può essere positivo.
Questa “dimensione educativa” del problema lezioni private, è un dato di novità rispetto all’analisi classica che abbiamo condotto sul fenomeno della selezione a partire dagli anni ‘70. Una novità perché non è direttamente correlata all’appartenenza a una classe sociale ma alla crisi educativa degli adulti di fronte alla loro responsabilità di genitori. Genitori sempre più in difficoltà a “contrattare” con il proprio figlio alcune regole fondamentali per la loro crescita. Perché non fare di questo, che è il vero problema dei ragazzi e dei loro genitori, un argomento da approfondire e dibattere all’interno della scuola?
Sul versante più specificatamente didattico, la lezione privata è un intervento estraneo al contesto-classe dello studente (ovvero al suo ambiente di apprendimento ) e realizzata da una persona che, per quanto competente, difficilmente utilizzerà lo stesso metodo del docente titolare. L’esito didattico è pertanto, anche in questo caso, molto problematico e spesso fonte di contenzioso e di conflitto con i docenti della scuola.
Di fronte a queste dinamiche la scuola non può fare finta di non vedere né tantomeno in qualche modo “agevolare” il fenomeno. La scuola non può neppure limitarsi a “sconsigliare” il ricorso alle lezioni private ma deve assumere il “successo formativo” dei suoi studenti come obiettivo da realizzare con i propri mezzi. Contrastare il ricorso alle lezioni private è possibile solo se la scuola è in grado di rendere flessibile la propria organizzazione del lavoro, curando eccellenze e difficoltà; se è in grado di arricchire il proprio curricolo con attività capaci di rimotivare all’apprendimento.
Ma se nelle scuole l’organico è solo funzionale alle 18 ore di cattedra, le classi debbono essere di almeno 27 alunni e le risorse da Fondo di istituto sono esigue, quale flessibilità si può praticare? Sono domande che interrogano direttamente anche le scelte politiche del Governo e del Ministro.
Dario Missaglia