È dal basso che si può cambiare la scuola
L’osservazione più penetrante sul “riordino” della scuola secondaria superiore testé approvato l’ha fatta sull’Unità Benedetto Vertecchi (non a caso fra le voci più acute e autorevoli della cultura educativa non solo italiana). Egli afferma che “per quanto riguarda il modello organizzativo, siamo di fronte alla riproposta di una nozione ottocentesca dal servizio scolastico, centrata sulla coincidenza tra orario della scuola e orario delle lezioni”. Propongo che Education 2.0 riprenda questo che è uno dei temi essenziali della definizione della nuova idea di “scuola”.
Può oggi l’education limitarsi al solo quadro orario scolastico, ridursi alla sola lezione-interrogazione? Alle sole ore “curriculari”? Alla sola attività gnoseologica (peraltro necessaria, ma non sufficiente)? Può ancora pensarsi un ambiente didattico ridotto esclusivamente a cattedra e banchi? Dove si colloca oggi il tempo da trascorrere in biblioteca, o nel laboratorio scientifico o in quello musicale, o in palestra, o nello spazio di teatro, nel rapporto con musei, ambienti di lavoro, il cinema, e così via? Continuano, tutti questi luoghi della cultura, a essere fuori, a non esser come dovrebbero parte integrante della vera scuola, estranei cioè rispetto all’attività educativa, formativa, di istruzione, di costruzione della personalità colta e sociale dell’individuo.
La politica, in larga misura, neanche percepisce ahimè questa tematica, non pensa, non vede una scuola nuova. Rinuncia a perseguire l’obbiettivo di integrare educativamente e culturalmente curriculum ed extra-curriculum, mattina e pomeriggio, di comprendere nel tempo scuola vero, educativo, un’articolazione dell’offerta formativa che arricchisca l’orizzonte disciplinare con i tanti contributi formativi oggi esistenti nello scenario informativo, educativo culturale moderno. Perché ignora che questo è uno dei punti cruciali di una scuola della centralità dell’apprendimento, learner-centered. Ma è pensabile che il tempo educativo sia ancora costituito solo dal “monte ore” arcaico? Quale è quindi la vera “giornata scolastica” dei nostri ragazzi? E quale è la vera “stagione scolastica”, o meglio, esiste una stagione dell’imparare limitata, rispetto a tutto l’arco della vita? In una parola, come fa l’istruzione formale a non incontrare quella informale, a non cimentarsi con essa, che oggi rappresenta il 70% delle informazioni e della formazione di un cittadino?
Si aggiunga che l’aver affrontato il “riordino” attraverso il primo e condizionante approccio finanziario, dettato da logiche di bilancio e risparmi pesa come un macigno, e non ci porterà lontano. Al contrario, è sul terreno dei contenuti di metodo e culturali, disciplinari, curriculari, di organizzazione didattica, che si costruisce una scuola nuova, adeguata ai tempi. Questa è la priorità, questo il compito attuale, su questo ci si deve cimentare, cercando gli spazi nello stesso “riordino” (che pure esistono), scoprendo e sfruttando le novità che si affacceranno, sia pure con difficoltà.
Su questo si devono sfidare la politica e le istituzioni, l’amministrazione, per costringerle a consentire, sostenere, aprire veramente all’autonomia scolastica, per innovare profondamente l’attività, il modello educativo. Education 2.0 fruga da un anno nelle esperienze innovative di tante scuole e nella dottrina più illuminata per cogliere come un’impostazione tutta nuova di questa tematica possa contribuire (e forse qua e là già contribuisce) a cambiare la scuola. Non è il quadro orario il primo problema, ovviamente oltre una certa soglia. Io stesso, da ministro, avevo proceduto a ridurre l’orario scolastico nella secondaria, avevo perfino eliminato un intero anno (che tuttora considero superfluo) nel ciclo primario. Ci ha pensato la Moratti a cancellare tutto quel che si fece allora, in un clima di restaurazione conservatrice e damnatio memoriae. Oggi un contrattacco politico esclusivamente affidato a conservare il vecchio quadro orario, e con esso inevitabilmente la vecchia scuola, la parcellizzazione incomunicante dei saperi, è sbagliato. È l’intero modello educativo che si deve cambiare: per questo ci si deve battere, non per conservare il vecchio. Certo, con gradualità, in progress, con realismo riformistico, ma per cambiare l’istruzione dalle fondamenta. A cominciare dalla struttura della giornata scolastica, dell’ambiente didattico, dalla stagione di apprendimento dell’intera vita.
E bisogna farlo dal basso, dalle scuole, in autonomia, integrando spazi e tempi educativi, arricchendo in tal modo l’offerta formativa e affermando il protagonismo di chi apprende. La scuola dell’inclusive education dura tutta la vita, copre un arco giornaliero più ampio ma non strettamente e formalmente “scolastico”, e diventa in tal modo coinvolgente, incontra bisogni giovanili di cultura e di vita autentici, differenziati; è stimolante, ricca di rigore ma di curiosità, emozioni, creatività. La politica in Italia è lontanissima da tutto questo. È dal basso, dalle esperienze innovative, da nuove conquiste autonomistiche autentiche che si può cambiare la scuola.
Per approfondire:
• Benedetto Vertecchi, Altro che Finlandia: così la scuola torna al modello del 1800, sull’Unità del 5 febbraio 2010.
Luigi Berlinguer