Apprendere è come comporre i pezzi di un mosaico?
Mi sono imbattuto casualmente nel racconto degli anni della giovinezza di Mark Rupnik, gesuita, famoso artista e mosaicista di fama mondiale, fondatore del centro Aletti di Roma che è atelier che coniuga la maestria, l’antica saggezza e sapienza, alla manualità del lavoro nella creazione dei mosaici. In un breve documentario racconta che un giorno c’era un bambino che amava la neve e i colori e impensieriva le psicologhe della scuola perché invece di parlare preferiva disegnare. Abitava nel paesino di Zadlog, sulle Alpi slovene, dove d’inverno il manto bianco raggiunge anche i due metri di altezza[1]. Nella neve profonda tra la casa di famiglia e il capanno della legna, racconta , «con le mie sorelle costruivo un tunnel: da qui per me è iniziato il mistero del colore, da quella massa spessa, luminosa, che filtrava i raggi del sole». Allora non aveva gli strumenti per dirlo, ma oggi, a 64 anni, Marko Rupnik sostiene che quell’esperienza gli ha «fatto capire che il colore rende testimonianza alla luce, perché senza luce non c’è più colore e anche la neve diventa nera». Prima del mestiere, dice Rupnik, bisogna fare l’iniziazione alla vita nuova: «Quando avrai questa esperienza di vita sarà facile esprimerla. Se non ce l’hai, devi inventarla ed è un’operazione di cosmetica, non è una cosa completamente seria, ma necessaria. Bisogna essere abitati da qualcosa, affinché questa cosa fluisca attraverso di te. La relazione è il luogo della conoscenza, della fede e della creatività»[2]. Queste parole mi hanno acceso la luce su ciò che artificiosamente cercavo di costruire proprio a livello di “cosmesi”, un’attività superficiale, non sentita, non vissuta fino in fondo. Sugli aspetti cognitivi della metacognizione, sulle basi teoriche a livello psicologico e culturale, sappiamo molte cose. Dagli studi di Flavell sui processi di conoscenza e controllo dei processi di memorizzazione,sui meccanismi di regolazione e controllo del funzionamento cognitivo[3] fino al concetto di modificabilità cognitiva[4].
Il ruolo del mediatore Dalle esperienze di Freinet, Lorenzo Milani, Mario Lodi, Olinto Marella abbiamo imparato che l’apprendimento è strettamente connesso al ruolo del mediatore tra gli ambienti di apprendimento e il soggetto che apprende perché il mediatore è il vero e proprio agente del cambiamento che ha la funzione di pre-strutturare, pre-organizzare, filtrare, interpretare la realtà esterna che lo studente cerca di padroneggiare, facilitando la progressiva messa in atto di meccanismi di controllo del funzionamento cognitivo (pianificazione e controllo dell’attività). I deficit cognitivi sono originati spesso da una deprivazione culturale perché, ove manchi un apprendimento mediatizzato, l’allievo viene privato delle conoscenze e dei valori della sua cultura. Il ruolo essenziale del mediatore é quello di permettere al soggetto di appropriarsi delle conoscenze insite, all’ ambiente culturale di riferimento di colui che apprende. L’esperienza educativa e pedagogica dagli anni sessanta ad oggi rileva chiaramente che bisogna educare i soggetti ad autovalutare le proprie strategie, per questo infatti i metodi volti a migliorare la memoria mediante l’insegnamento di strategie mnemoniche estranee ed esterne sono un fallimento. L’apprendimento consiste proprio nel trasferimento dei processi di controllo, di pianificazione e di esecuzione/ produzione dall’esperto allo scolaro[5] : l’esperto deve sempre tendere a promuovere l’autonomia cognitiva dello studente perché l’intelligenza è sempre educabile. “Espirit de finesse”, “spirito infinito che si dibatte nel finito. ambiguità che si snoda lungo tutta la storia” diceva B.Pascal[6].
Per venire all’oggi, parlare di attivare processi metacognitivi nella comprensione di un testo , in un tempo e in un luogo ( l’Italia) in cui il 49% egli studenti sotto i 16 anni legge, ma non capisce cosa legge[7], significa fare i conti con un impegno di ricerca che prima di tutto è ricerca di senso , perché si tratta di prendere consapevolezza di se stessi e soprattutto degli altri: che pensano gli altri? che sotto-intendono i testi? cosa anticipano? cosa nascondono? e molto altro ancora. Questi “altri” sono i testi che leggono i nostri studenti, che si trovano alle prese con una mutazione genetica del corpo dei testi, spesso smaterializzati, e di tipologie sempre diverse e nuove. Per muovere dal riconoscimento delle diverse tipologie di testo alle inferenze ,necessarie per svelarne i contenuti, credo che la prima abilità necessaria da acquisire e da far acquisire, sia il porsi e disporsi di fronte al testo con un atteggiamento di umiltà e di sospensione di giudizio.
Questo è un processo che ha bisogno di TEMPO, perché quale che sia il modo in cui quel testo si presenta come corpo unitario, elegante, goffo, diretto, complicato, allegro, malinconico o tecnico-specialistico, cerebrale o emotivamente caratterizzato che sia, però è comunque la personificazione di quella parola altra di cui abbiamo bisogno, che cerchiamo , solo dopo aver fatto esperienza di non bastare a noi stessi quando cerchiamo di muoverci nel campo delle emozioni o della fantasia o nell’ambito della chimica o dell’ingegneria. Il lettore, e qui lo studente, impara quando scopre che in ogni parola si nasconde quella parola diretta , di cui ha bisogno e che sta aspettando.
Un corpo, proprio il testo, che nella sua unitarietà si esprime, attraverso tessere capaci di riflettere la luce in modo differente, nella prospettiva del mosaicista, in ordine alla posizione in cui sono state sistemate, ma ancor di più per la loro stessa natura: una pietra calcarea, l’arenaria o la vulcanica riflettono la luce in modo diverso così come un sostantivo, un verbo o un aggettivo. La relazione tra testo e lettore nasce da un’affinità che può essere elettiva o meno, ma deve mettere chi legge a suo agio o quanto meno non innescare ansie. Questo è il ruolo del docente,/ mediatore: preparare gli studenti alla comprensione di un testo significa scoprire e quindi tener conto della parola conosciuta, di quello che U. Eco chiamava “biblioteca concettuale”, gli script che ciascun allievo porta con sé[8].
[1]Nei boschi di questa zona sono tristeme noti eccidi ai danni di militari e civili, in larga prevalenza italiani della Venezia Giulia e della Dalmazia, avvenuti durante la seconda guerra mondiale e nell’immediato secondo dopoguerra (1943-1945), da parte dei partigiani jugoslavi e dell’OZNA. Il nome deriva dai grandi inghiottitoi carsici dove furono gettati molti dei corpi delle vittime, che nella Venezia Giulia sono chiamati “foibe”.
[2]Il Colore dell’Amore. Centro Aletti Lipa DVD, 2008.
[3] . Secondo Brown la metacognizione è la conoscenza che il soggetto ha del proprio funzionamento cognitivo e di quello altrui, la maniera in cui può prenderne coscienza e renderne conto. Brown, A., Bransford, R., Ferrara R. Campione J.C (1983). Learning, Remembering, and Understanding. Significativi anche gli studi di Ellis e Spitz sui problemi incontrati dai bambini con difficoltà di apprendimento sui livelli di utilizzo e di generalizzazione delle strategie di memorizzazione e sulle loro competenze di base. “Albert Ellis Institute for Rational Emotive Behavior Therapy” di New York City.
[4] R. Feuerstein, Y. Rand, M.B. Hoffman, R. Miller, Instrumental Enrichment: Intervention Pro-gram for Cognitive Modifiability, University Park Press, Baltimora, 1980.
[5]BrowneFrench,1979;ChildseGreenfield,1980
[6]Adriano Bausola, Introduzione a Pascal, Laterza, Bari, 1996.
[7] Dati Pisa e Piaac; Tra gli adulti la percentuale dell’analfabetismo funzionale e strumentale supera ampiamente il 50%. L’incapacità di comprendere semplici testi di uso quotidiano mina le basi della democrazia in tutta Europa. www.oecd-ocde.org
[8] Il lettore costruisce la fabula attraverso i propri “script” personali. Sulle inferenze, Lucia Lumbelli, in Fenomenologia dello scrivere chiaro distingue le inferenze logicamente necessarie, oggettivamente possibili e le proiezioni evocate.
Antonello Marchese (Centro Ricerca sperimentazione e Sviluppo-Piemonte)