Alternanza scuola-lavoro: non solo periti!
La cultura del lavoro che non c’è! E si deve chiarire che purtroppo non c’è, prima di tutto, proprio nel mondo del lavoro dove, invece, vige solamente una chiara ed esclusiva “cultura del profitto”.
Stiamo tutti assistendo al proliferarsi di un “mare magnum” di contraddizioni alle quali nessuno è in grado di porre rimedio. Alcuni esempi sono i numeri sui periti che non si trovano, e la colpa non si sa di chi sia.
E di colpa ne dobbiamo parlare (purtroppo, e sempre purtroppo) in un momento in cui il lavoro non c’è! Che non ci sia poi è un problema apertissimo… (decreto per la crescita).
Le “teste mal fatte”, quelle diciamo dotate di un sistema neuronale piuttosto lineare, con la semplicità che li distingue, attribuiscono la responsabilità del “perito che non c’è” all’apparente causa principale: la scuola, che appunto non sa più formare i periti del futuro.
Confindustria parla di dati, ma orienta i finanziamenti di Fondimpresa esclusivamente dove decide la sua oligarchia. Le aziende chiedono periti ma preferiscono farsi la formazione da sé (come e per chi non si sa). Alla scuola non dice e non dà nulla nessuno (dal privato), ma tutti sembrano sapere cosa pretendere da essa.
Ma quale formazione?
Le aziende non sanno quale formazione realizzare e neppure su quali profili. Non sono organismi professionali di formazione e pertanto non sanno neppure quale dovrebbe essere la natura costitutiva di un profilo. Si escludono, ovviamente, le qualifiche di basso livello dove sono necessarie alcune specifiche competenze (far semplicemente funzionare una macchina non complessa).
Non dimentichiamo che la natura delle imprese italiane è costituita quasi esclusivamente da “microimprese”, quindi da piccolissime imprese di ordine familiare con pochissimi dipendenti la cui cultura si limita a quella di un diploma di scuola media (55,5% nel Rapporto Isfol 2011 da fonti Istat).
E se teniamo conto della dealfabetizzazione più volte ricordata (A.M. Allega “Analfabetismo: il punto di non ritorno”, Herald 2011), questa percentuale si attesta al 66%.
Della serie, due terzi della popolazione italiana non è in possesso di un livello culturale che sia almeno pari all’obbligo di istruzione imposto dalla nostra Costituzione. Due terzi della popolazione italiana dai 16 ai 64 anni viola la condizione minima richiesta dalla Costituzione. Però, ciò nonostante, questi stessi due terzi della popolazione (un po’ meno dai 18 anni in su) possono violare la Costituzione, per un verso, e possono accedere al voto in virtù della nostra stessa Costituzione. Povera Costituzione, raggirata e vilipesa!
Che dire?
Com’è a tutti noto, l’INDIRE ha predisposto un documento per la redazione delle indicazioni nazionali sulle attività dell’alternanza scuola-lavoro, a suo tempo richieste dal D.Lgs. 77/2005, e il Dipartimento per l’Istruzione ha invitato tutti i soggetti interessati e che hanno svolto in precedenza esperienze dedicate o affini ad esprimersi su di esso.
I dati raccolti da INDIRE mostrano un sempre maggior coinvolgimento delle scuole e delle aziende nell’alternanza scuola-lavoro.
L’obiettivo del MIUR è introdurla come attività di sistema come apertamente recitato dal DPR 88/05 e seguenti per la Riforma in corso.
Nel contempo, l’USR del Lazio ha avviato i lavori di un gruppo di scuole, con maturata esperienza sul versante dell’alternanza scuola-lavoro, in collaborazione con Unindustria e alcune aziende, rispettivamente, per i diversi settori dell’istruzione tecnica (principalmente), con un interessante obiettivo: realizzare una codificata raccolta di profili professionali necessari alle aziende e costruire dei percorsi che conducano dalle scuole ai bisogni delle aziende. Ovviamente, come ben espresso dall’intervento della Presidente dei giovani imprenditori, al fine di eliminare il vuoto di periti, più volte richiamato nel corso degli ultimi anni.
Sul primo versante – quello dell’INDIRE – si è constatata la incredibile crescita dell’interesse e del coinvolgimento delle scuole e delle aziende su progetti specifici di alternanza (fino a triplicare numericamente rispetto a due/tre anni fa).
Sul secondo versante, in seguito ai primi incontri svolti, si è invece constatata la complessità della problematica, che purtroppo vede una limitata capacità della partecipazione aziendale e soprattutto una difficile individuazione dei profili aziendali.
Questa seconda constatazione dovrebbe far riflettere sulle criticità meno apparenti della prima.
Vediamo la questione in maggior dettaglio.
I profili aziendali non li può dare nessuno. Forse sì, se si tratta di grandi o medie imprese. Ma noi abbiamo a che fare con microimprese in continua sofferenza e in continuo cambiamento. Oggi le aziende fanno delle cose e domani delle altre.
Non è più come una volta, l’azienda non può dire “Mi serve un tipografo” e aspettarsi, poi, che questo tipografo si aggiorni sulle nuove tecnologie. Oggi, cambia proprio il profilo della persona che ti serve, e se sa fare un po’ di tutto meglio. Stiamo parlando di livelli da diplomato (quindi da perito), non parliamo invece dei tecnici superiori (per capirsi, diplomati da un ITS).
Alcune aziende hanno riferito che il profilo della persona competente che serve è la conoscenza dell’inglese!
Siamo rimasti tutti molto stupiti. Serve per il mercato estero ovviamente, ma attenzione, non hanno chiesto una competenza da perito. E non si sono neanche accorte che invece di un profilo si erano limitate a una banale conoscenza acquisita. O non avevano capito, oppure, giravano al largo.
In altri casi, riferiti da importanti Consorzi, si è avuto che l’azienda ha definito dei profili e che le agenzie formative o gli organismi di ricerca di settore hanno avviato e concluso appositi corsi di formazione; puntualmente, al termine del corso i “formati” non sono stati assunti dall’azienda, perché nel frattempo quel profilo all’azienda non occorreva più. Almeno non esattamente così, come inizialmente definito!
Il coordinamento delle associazioni datoriali, come Confindustria e Unindustria, o associazioni di categoria, anche sindacali, non svolge il ruolo che dovrebbe.
Assistiamo a un ruolo di parata o di immagine piuttosto scontato.
Supponiamo, infatti, di avere un gruppo di aziende X disposto a produrre dei profili. Resta il fatto che questi profili sono specifici dell’azienda, e una scuola non potrebbe calibrarsi su quei profili a dispetto di altri per ovvie ragioni di frammentazione.
Al contrario, la scuola deve assicurare l’inserimento al lavoro, e le categorie associative o sindacali dovrebbero mappare i profili delle aziende e offrirne una versione di riferimento con nuclei di formazione stabili e altri, magari, variabili.
Nulla di tutto questo!
E le scuole non sanno proprio di cosa si stia parlando, perché non nascono come aziende e non conoscono le necessità aziendali, per cui non possono liberamente inventarsi cosa serve al mercato del lavoro.
La “Responsabilità sociale d’impresa” dovrebbe indurre le aziende a coinvolgere tutti i professionisti del territorio (quindi anche le scuole) nella responsabile indagine sui bisogni di mercato. Fare questo, però, all’azienda costa e non può, soprattutto quando è sola. Anche qui non sarebbe affatto male un intervento delle associazioni di categoria.
Il MIUR agisce come se i finanziamenti ci fossero (quale monitoraggio?), ma sappiamo bene come stanno le cose.
Al Sud ci sono i Fondi Europei (e sappiamo come sono spesi), al Nord qualche azienda contribuisce alle attività della scuola per la RSI (hanno una diversa mentalità), al Centro, invece, RSI o meno, si ha una povertà totale, e abbiamo visto lo scorso anno non bandire affatto gli usuali fondi (trienniali) per l’alternanza. Scesi da 33.000€ (quindi 11.000 all’anno per progetto) nel 2007 a 20.000€ nel 2011. Nel 2012 taglio totale e nel 2013 sono comparsi come possibile opzione nel progetto aree a rischio.
Quindi, la dispersione scolastica e l’orientamento al lavoro pesano allo stesso modo, come dire “se non studi, allora vai a lavorare” (alla faccia dell’obbligo di istruzione e formativo). Quale lavoro? Non certo quello del perito!
Le scuole agiscono come se i finanziamenti ci fossero. Fanno finta di averli, ma hanno solamente i contributi delle famiglie, che non sono neanche così certi, visti i tempi che tirano.
Volontariato? Eh sì, le imprese che nel tempo hanno collaborato con la scuola continuano a farlo semplicemente per forza di inerzia. Almeno finché l’inerzia c’è. E forse perché sperano di avere qualche lavoro dalla stessa scuola, che comunque si deve rifornire e deve andare avanti, nel bene o nel male.
Il problema, comunque, è che l’alternanza scuola lavoro NON È SISTEMA. Nasce e si sviluppa su un progetto che, come tutti i progetti, ha vita breve. Esaurisce una curiosità e muore raggiunto l’obiettivo.
Invece, dovrebbe essere obbligatoria nel curricolo per tutti gli indirizzi di studio, come per il tecnico anche per il liceale (chi stabilisce che un liceale sa scrivere? E se fosse uno scrittore o un giornalista di un giornale o di una casa editrice?).
Non è nelle strategie stabili del curriculo. È semplicemente un accessorio del POF.
E il lavoro di INDIRE non garantisce nessun reclutamento da parte delle aziende; anzi rende uniforme una prassi che si limita a un’esperienza specifica senza avere a monte un forte coordinamento delle aziende e delle loro richieste di profilo.
È bene ricordare che la maggior parte delle aziende chiede esperienze pregresse, in fase di reclutamento. L’alternanza scuola-lavoro è un’esperienza pregressa. E affinché una scuola possa dedicarsi seriamente all’alternanza scuola lavoro, deve poterla avere come attività curricolare. Altrimenti ci saranno sempre scuole in grado di adoperarsi al “fund raising” e, quindi, articolare una organica alternanza scuola-lavoro con il territorio, mentre altre no!
E non apriamo il capitolo sul problema della valutazione dei ragazzi che sono coinvolti nell’alternanza scuola-lavoro (perché di una classe non sempre la possono fare tutti).
Costoro, non facendo una percentuale di ore di matematica, quando vanno in azienda sono considerati alla stregua del più scaltro truffatore. Infatti, a dispetto degli altri, se la cavano più o meno come tutti nelle valutazioni classiche disciplinari, pur avendo a loro carico un numero di ore di lezione palesemente inferiore.
Ma questo è un altro problema…
Così come, un altro problema è la formazione dei docenti all’alternanza scuola-lavoro. I docenti hanno una forma mentis che non si adatta all’istruzione come formazione, alla scuola come azienda, non sanno progettare, non sanno rendicontare, non sanno relazionare…
Per concludere, e per cominciare dalla fine, abbiamo visto che serve una formazione obbligatoria a tappeto di tutti i docenti sulla progettazione e la rendicontazione di un progetto o un’attività; un inserimento nel curricolo dell’autonomia (art. 8 del DPR 275/98) dell’alternanza scuola-lavoro; una RSI in primis delle associazioni di rappresentanza, in un massiccio e capillare lavoro di coordinamento tra ISFOL, MIUR e aziende con la specifica responsabilità di indicare al MIUR i riferimenti obbligatori dei profili tanto richiesti; una RSI delle aziende stesse nella elaborazione di profili dinamici di volta in volta richiesti dal mercato (con una quota fissa e una variabile per “generare” flessibilità nelle competenze richieste) e trasferiti a Unindustria, Confindustria o all’ISFOL; una RSI delle aziende e di Confindustria nella volontà espressa attraverso la disponibilità dei propri finanziamenti “privati” (come ad esempio Fondirigenti, Fondimpresa, Fon.coop e For.te) nella realizzazione di questa strategia.
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Arturo Marcello Allega