Strage di Parigi. Cosa può fare la scuola.
Education 2.0 invita a un momento di raccoglimento di fronte a questa grande tragedia e alle tante persone che hanno perso la vita.
Ma non possiamo fermarci a questo. L’evento, per la sua dimensione e per l’organizzazione che ha richiesto, indica che siamo in presenza di un’escalation dello scontro. Anche se ciò che ci atterrisce è il terrorismo e le morti cruente, la sostanza di fondo è lo scontro di due mondi che sembra esser giunto ad un “redde rationem”: per semplificare (e me ne scuso) il mondo dei ricchi e il mondo dei poveri. Usando armi inedite come i suicidi esplosivi o i cadaveri galleggianti.
E tuttavia, senza nulla togliere al necessario e irremovibile contrasto al terrorismo, non si può chiudere gli occhi di fronte al fatto che, da un lato, una violenza così perfezionata e, dall’altro, le migrazioni di centinaia di migliaia di persone ripropongono il triste tema dell’egoismo dei benestanti, del “leghismo”, della chiusura di fronte alla disperata ricerca di una vita diversa, fuggendo dalla fame.
Che c’entra questo con Education 2.0? C’entra. Un’istruzione moderna nell’era della democrazia, nell’evo dell’uguaglianza sostanziale, un’istruzione moderna – dicevo – non può prescindere dall’intridere i contenuti disciplinari ed i saperi di una sempre più ampia illuminazione di cosa è la società di oggi e di come intanto le giovani generazioni debbano confrontarsi con questi nuovi interrogativi. E, attraverso questo, conoscere e penetrare il reale e il mondo che ci circonda, i suoi drammi e le sue speranze.
“La cosa più terrificante è constatare che la scuola ha totalmente fallito la sua missione: non ha permesso loro di sentirsi integrati, non ha trasmesso loro i suoi valori, non gli ha fornito gli strumenti critici per informarsi e per comprendere il mondo nel quale vivono” – ha scritto Jean-Pierre Gross, un insegnante francese, all’indomani della strage di Charlie Hebdo.
“Quei giovani non chiedono altro, se non che un adulto risponda alle loro domande di adolescenti, non con grandi discorsi, ma con buoni argomenti, altrimenti alcuni di loro cresceranno fino a diventare dei Merah e dei Kouachi, mentre tutti gli altri continueranno a sentirsi frustrati ed esclusi”.
Quello che viene chiamato il fallimento nella scuola, con una punta di esagerazione, è solo in questo? Mi viene da pensare al libro di François Bégadeau, pubblicato in Italia da Einaudi con il titolo La classe – Entre les murs e diventato un film che, nel 2008, ha vinto la Palma d’oro al festival del cinema di Cannes. L’autore del libro, nel film, interpreta se stesso, il professore di una classe di collège formata esclusivamente da ragazzi immigrati, provenienti da paesi molto diversi tra loro: africani, magrebini, cinesi, francesi …; una scuola dove i conflitti, prima che originarsi a causa dall’appartenenza a diverse etnie, sorgono a causa dell’incomprensione linguistica.
Il professore deve ben presto rendersi conto che anche le espressioni apparentemente più semplici, che fanno parte del linguaggio comune, non vengono comprese. Eppure François è dotato di buona volontà, non è come i suoi colleghi che già hanno deciso che quella classe sarà bocciata. E così, leggendo il libro, ci si rende conto dell’aumentare della sua frustrazione, che si riverbera, inevitabilmente, nel suo rapporto con la classe.
“Souleymane non ce la farà mai: è un caso disperato” – afferma François, nel corso di un consiglio di classe. Souleymane, figlio di un immigrato del Mali, bello e rabbioso, non parla francese e continua a sfidare il suo professore con atteggiamenti oppositivi e provocatori, fino a essere cacciato dalla classe e, forse, dalla scuola. Nel film, uno dei nodi nevralgici è la disciplina nel sistema scolastico francese, che si pone come metafora di un paese: una società che enfatizza i valori e i principi sanciti dalla Costituzione, dalle leggi e dagli ideali ma che, in pratica, abbandona al loro destino gli ultimi, espellendoli come mele marce.
E così, alla fine, perfino Sandra, la ragazza più tranquilla e studiosa, nel salutare il professore, dirà: “Io non ho imparato niente”.
E allora la scuola è chiamata a integrare non solo le varie Sandra, ma anche i Souleymane, a dare loro la possibilità di credere nel futuro e, contemporaneamente, a fornire a tutti i suoi studenti elementi di conoscenza e comprensione della realtà.
E questo vale nei due grandi “continenti”, sia pure diversamente, quello dei ricchi e quello dei poveri: quello dei ricchi, perché la conoscenza aiuta a uscire dall’egoismo, dall’autosufficienza, dal chiudersi in se stessi, per godere da soli dei vantaggi del benessere (e su questa linea istruirsi è crescere intellettualmente); quello dei poveri, perché più istruzione, più conoscenza, più crescita intellettuale sono componenti essenziali, perché non sia necessario cercare altrove il benessere e sia anche possibile costruirlo in casa propria.
immagine in testata di CEIS Roma
Per approfondire:
“Charlie Hebdo” : je suis prof. L’école a totalement failli à sa mission. Et moi aussi
Luigi Berlinguer