Lo Stato “from provider to commissioner”
Gli elementi discutibili di valore prospettico presenti nelle proposte contenute nel disegno di legge dell’on. Valentina Aprea si riferiscono a un modello di Stato che passa da “provider” a “commissioner”. Quale che sia l’opinione che si può professare in merito, il riferimento “salta una fase” storica fondamentale.
La tradizione amministrativa italiana è infatti quella dello “Stato producer”, che organizza e gestisce in proprio il servizio di istruzione attraverso la padronanza fondamentale di tre strumenti: il controllo delle risorse finanziarie, la titolarità di “datore di lavoro” delle risorse umane, la titolarità della normazione sull’ordinamento e sui contenuti dell’attività formativa. Il passaggio da “Stato producer” a “Stato provider” rappresenta già un salto di qualità non esperito nell’assetto della Pubblica Amministrazione, anche se inserito, “logicamente”, nel percorso di riforma della Pubblica Amministrazione intrapreso dall’inizio degli anni ’90 e che ha una tappa fondamentale nelle “bassanini”. In quella prospettiva lo Stato dovrebbe, dismettendo il ruolo del producer, concentrarsi e qualificare il proprio intervento nelle capacità di regolazione e controllo (monitoraggio, valutazione, service scientifico-tecnico). Un traguardo già di difficile accostamento.
Lo Stato commissioner rappresenta un “modello” attualmente “fuori contesto” rispetto alle stesse prospettive generali di riforma della Pubblica Amministrazione che correttamente si richiamano nella premessa al disegno di legge (la Legge 59/97 e il nuovo Titolo V). Tale modello, infatti, coinvolge radicalmente le modalità e i criteri di gestione della spesa pubblica per i servizi pubblici. In sostanza in tale modello:
– Lo Stato si configura come “compratore” del servizio pubblico alla cittadinanza, per conto dei cittadini, rispetto a una pluralità di “produttori” con larghissimi ambiti di autonomia operativa. Tale “acquisto” avviene sulla base di una rigorosa definizione delle specifiche del “prodotto” acquistato (presidiato da una rigorosa definizione degli obiettivi “terminali” del sistema di istruzione e di un congruente sistema di valutazione) e da un sistema rigoroso di controllo del rapporto qualità/prezzo (modello di quasi mercato). Il finanziamento è di carattere pienamente “budgetario”.
– Il produttore (l’istituzione scolastica autonoma) gode di un livello di autonomia gestionale amplissimo. È tenuto a rispettare le specifiche di prodotto “richiesto” attraverso il sistema di valutazione, ma ha la piena disponibilità e padronanza dei suoi “costi”. Dunque ha piena disponibilità di quello fondamentale del lavoro (in tutti i sistemi formativi il costo del personale è quello prevalente: si tratta di “imprese” ad alta intensità di lavoro), di quelli relativi a impianti fissi e attrezzature e di quelli relativi allo sviluppo organizzativo.
Tale padronanza dei propri costi (tutti i costi) è la base del rapporto di quasi-mercato. La tensione al miglioramento della produttività, a parità di qualità di prodotto, sottoposta a rigorosa valutazione, si riflette nella produttività generale del sistema (questa è la sfida del New Public Managemenet), ma comporta una “remunerazione” dei costi del singolo produttore: chi sa produrre a parità di qualità e a minor costo, trattiene il differenziale come risorsa propria per migliorare ulteriormente la produttività, remunerare differenzialmente gli operatori, selezionarne la qualità professionale ecc.
Se il modello di riferimento è questo, il “salto” logico e storico tra il contesto reale della P.A. italiana e tali implicazioni (quale che sia l’opinione a proposito della pertinenza di tale modello dell’operare pubblico) si offrono come spazio fecondo di sviluppo di profonde riflessioni che si proiettano anche sui mutamenti delle funzioni e del ruolo dello stesso Ministero dell’istruzione.
Franco De Anna