Oltre la crisi: avviare un percorso coerente fatto di piccoli passi
Ho spesso criticato in passato quegli studiosi/esperti (anche autorevoli) che, nella foga del loro argomentare, introducevano elementi di separatezza tra loro e i destinatari dei loro messaggi. La mia critica è stata ancor più forte quando tra sorgente e destinatario del messaggio correva anche un minimo legame logico, se non addirittura di natura fisica e/o strutturale.
Esempio da me più volte citato è quello del dott. Cipollone (ex Presidente INVALSI) che a un convegno nazionale di dirigenti scolastici rimarcava la loro esclusiva responsabilità nell’ultimo chilometro del servizio scolastico. Questo senza tener in minimo conto che anche in “quell’ultimo chilometro” possono coesistere responsabilità di diversa provenienza remota (anche romana e non solo trasteverina), a volte autonome e/o concorrenti tra loro.
Di ragioni per una separatezza, nella scuola italiana, se ne possono contare molte, articolate poi su tutti i tipi d’atteggiamento della vita scolastica. Una di quelle “più di moda” è quella tra i cultori del “valutiamo tutto” in antagonismo con i “no-val(utazione)” Per trovare un motivo di divisione basta solo affermare un’idea. Immediatamente ci sarà una replica, secca, di senso contrario.
Sia che si parli d’innovazione tecnologica, oppure che si parli di riduzione di un anno del percorso di studi e sia – se parliamo di questioni più soggettive – di partecipazione attiva. L’ultima voce che ho avuto il piacere di annotare riguarda la guerra di “religione” dell’orario scolastico suddiviso in 5 o 6 giorni settimanali? Insomma, si è sempre pronti a scavare una trincea, ideologica se non, addirittura, a difesa di posizioni di comodo.
Se poi dovesse accadere che, per qualche fortuito motivo, si venissero ad incontrare due soggetti con la stessa idea, accade che si forma, nella maggior parte dei casi, una specie di comunità esclusiva in cui vige il convincimento che nella posizione assunta dalla micro-comunità si vengono a risolvere tutte le possibili rappresentazioni di una categoria di pensiero.
Queste premesse preludono ad alcune domande.
C’è quella scontata: “a chi giova tutto ciò?”, a quella, a cui mi piacerebbe trovare e condividere una risposta “come superare lo stato attuale, come trovare percorsi convergenti?”
A mio parere una risposta potrebbe essere formulata se si provasse a cambiare il senso prospettico delle varie questioni. Come è doveroso riconoscere la diversità d’opinione, al tempo stesso è necessario chiedersi se vi siano, e in cosa consistano, quegli elementi che possono accomunare due soggetti tra loro apparentemente e/o inizialmente in contrasto.
Per provare a dare l’idea di una nuova percezione di “continguità” o di riscoperta di una “comune appartenenza” ricorrerò a un esempio da me utilizzato durante un convegno sul “benessere lavorativo”: visto dall’esterno, il sistema scolastico potrebbe essere rappresentato come una tela. All’occhio di un utente le possibili diversità tra gli operatori scolastici (es: di opinione … o di partecipazione) sfumano davanti allo scenario complessivo del servizio offerto. La scuola viene vista e generalizzata comunque come una trama unica, con una maglia che si interconnette in ogni caso con un’altra, a prescindere dagli elementi soggettivi diversificanti di ognuna.
Applicato al tema del convegno citato, che riguardava il burn-out, l’esempio si traduceva nell’idea in cui la “crisi” di un operatore corrispondeva alla “lesione” di una maglia del tessuto. Alla lesione veniva associato il possibile effetto di mandare in tensione anche le maglie limitrofe con il rischio della probabile propagazione della lesione fino alla “lacerazione” di tutto l’ordito.
Ne deriva che ogni maglia deve preoccuparsi della propria connessione con quelle limitrofe; ciò che accade nella maglia attigua non può risultare indifferente.
Più che una scoperta si può parlare di una ricerca, di un rinnovamento di un legame comune che passa nella rivisitazione di un “lessico familiare”, in cui la messa in evidenza dei caratteri omogenei può costituire la base per un’attualizzazione del codice deontico di un sistema-scuola capace di esprimere i suoi valori fondanti anche in questi momenti di crisi (economica, d’identità, e di collocazione sociale).
Seguendo questa linea di ragionamento, proverò a citare un altro esempio vissuto in cui io, genitore (docente, impegnato nei Piani nazionali di diffusione delle tecnologie nella didattica… correva l’anno 1997), incontrai l’insegnante della scuola dell’infanzia di mia figlia, all’ultimo anno di servizio. L’incontro avvenne davanti a un disegno alla lavagna… meraviglioso… evocativo dei miei primi ricordi di scuola, disegnato con la stessa tecnica usata da Alberto Manzi nei suoi disegni a carboncino, fu un emozionante tuffo nel passato.
Davanti al mio stupore la maestra ebbe modo di sottolineare che lei non era solita interagire con le colleghe “tecnologicizzate”, quasi con il timore di risultare inadeguata ai tempi, convinta dell’impossibilità di qualche forma di rapporto collaborativo.
Replicai alla sua posizione, esortandola a compiere un passo nei confronti della sue colleghe, senza scimmiottare una competenza non posseduta ma cercando, senza nascondere i propri limitati, di evidenziare, invece, le proprie eccellenze/abilità, mettendole a disposizione di tutti: in questo modo il suo disegno, fino ad allora goduto da una stretta cerchia di fruitori, avrebbe arricchito, con l’ausilio delle tecnologie della comunicazione, la fantasia di un numero molto più elevato di bambini e d’insegnanti.
L’idea è quella che ognuno debba compiere i propri passi lungo una linea convergente con quella degli altri attori della scena.
Non importa se è distante il punto di partenza, l’importante è quello di arrivo e, in questi giorni complessi, è fondamentale avere l’idea che si stia percorrendo un cammino convergente.
L’attenzione a una convergenza sostenibile o, quanto meno, contribuire a che una convergenza sia possibile, dovrebbe diventare una tensione trasversale di tutti gli operatori scolastici, dei partecipanti ai gruppi di ricerca e alle comunità professionali che riflettono sullo stato e sullo sviluppo del sistema formativo.
La “scuola di applicazione” delle idee, il confronto con il reale, l’abituarsi a cogliere anche nelle critiche quegli elementi comuni d’appartenenza, possono rendere possibili queste convergenze.
In molti casi le divergenze (vedi quelle che riguardano le questioni sui diversi aspetti della “valutazione”) vengono risolte nella carenza del quadro normativo, comodo alibi assolutorio utilizzato a garanzia dei propri limiti operativi.
In realtà ciò che serve è invece prendere atto delle divergenze, sforzarsi di verificare la difformità in termini di valore, individuare in ogni attività percorsi di fattibilità anche in contesti diversi da quello che si sta vivendo e con soggetti, al momento non presenti. Nella fattibilità rientra anche la capacità di saper azionare tutte le leve normative e organizzative a disposizione. Ognuno dovrebbe avere il dovere di conoscere tutte le proprie e un po’ quelle degli altri.
Ri-orientare in modo consapevole e sostenibile le rotte? Forse. Intanto occorre dichiarare di volerlo fare e avviare un percorso coerente fatto di piccoli passi possibili.
Buona strada a tutti!
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Tonino Proietti