Il dimensionamento della rete scolastica
La legislatura che si concluse nel giugno 2001, vide tra le principali innovazioni educative, tuttora operanti, l’attuazione dell’autonomia didattica e organizzativa delle istituzioni scolastiche e il processo di trasferimento dei poteri agli enti locali e, nella sua fase finale, realizzò un programma di razionalizzazione della rete scolastica su tutto il territorio nazionale con una riduzione di circa quattromila unità, in un quadro operativo che coinvolse il Ministero della Pubblica Istruzione e le regioni. Il sensibile calo demografico, registrato soprattutto nel decennio precedente, aveva evidenziato, infatti, l’elevamento dei costi della rete e l’eccessiva capillarità del servizio scolastico: si passò da oltre 14.000 unità scolastiche alle attuali 10.700.
Il DPR n. 233/98 dettò puntuali norme per l’attuazione dei piani provinciali di dimensionamento che prevedevano l’unificazione orizzontale tra scuole dello stesso grado e l’unificazione tra scuole di diverso ordine, con i conseguenti effetti sulle operazioni di stato giuridico del personale della scuola. Il programma di dimensionamento e i relativi piani provinciali non hanno solo realizzato, pertanto, una sensibile modificazione quantitativa, ma anche una modificazione qualitativa attraverso le scuole comprensive (in Italia sono il 45% circa gli istituti che comprendono un circolo didattico e una scuola media) e le aggregazioni di tipologie di indirizzi di istruzione tecnica e di istruzione professionale in parte convergenti, ma anche in diversi casi non coerenti con la complessiva offerta formativa delle varie istituzioni coinvolte. Comunque la nuova identificazione della struttura, scuola autonoma sufficientemente dimensionata e dotata di personalità giuridica, è stata un’importante occasione per un complessivo ammodernamento della rete scolastica. È stata anche un’occasione e il primo banco di prova per le disposizioni della legge n. 112/98 sul trasferimento dei poteri agli enti locali, il c.d. federalismo amministrativo, una partita, com’è noto, tutt’altro che conclusa.
Ora l’art. 64 della legge n. 133/08 ripropone in un ampio quadro di contenimento della spesa per l’istruzione, attraverso la “revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico del sistema scolastico”, un ulteriore ridimensionamento della rete scolastica. Il successivo decreto legge del 7 ottobre 2008 n. 154 ha evocato la figura del commissario ad acta nei confronti di quelle regioni ed enti locali che non adempiano alla realizzazione dei piani di ridimensionamento della rete scolastica. La partita peraltro, in questa fase, è tutt’altro che conclusa, perché le vere coordinate del piano dovranno essere date da un D.P.R. (il raggiungimento degli obiettivi del precedente intervento fu, come detto, reso possibile dal D.P.R. n. 233/98) che assicuri un certo grado di condivisione da parte degli Enti Locali.
Da quanto sinteticamente accennato appare evidente come i margini per un’ulteriore manovra appaiono non solo oggettivamente molto ristretti (in alcune regioni è ripresa una crescita demografica dovuta non soltanto alla presenza di alunni stranieri), ma c’è il concreto rischio di un notevole deterioramento dell’offerta formativa della secondaria superiore, soprattutto dell’istruzione tecnica e professionale, se un ulteriore programma di dimensionamento non è preceduto dall’attuazione del nuovo assetto costituzionale (art. 117) sul federalismo scolastico.
Gli impatti degli interventi finanziari e amministrativi sul contesto educativo impongono anche questa volta, com’è stato alla fine degli anni Novanta, una stretta coerenza nei tempi dei processi necessari e nelle loro finalità, impongono, quindi, una strategia condivisa tra Stato e Regioni che solo l’attuazione del dettato costituzionale può consentire pienamente in un quadro di governance rispettoso delle diverse prerogative.
Un accenno finale sui nodi della rete scolastica deve esser pur fatto per la chiarezza del discorso: se è vero che sono poco più di diecimila le unità scolastiche in Italia è anche vero che gli edifici impegnati sono circa quarantaduemila. Un contenimento della spesa in quest’ultima direzione è certamente nell’interesse dei comuni (che forniscono gli edifici per la scuola primaria) e delle province (che forniscono gli edifici per la scuola secondaria) specialmente al Sud, è quindi condivisibile un contenimento che derivi da interventi di razionalizzazione e che non penalizzi la fruibilità del servizio scolastico e il diritto all’istruzione e alla formazione, principalmente nelle situazioni di maggiore disagio economico e sociale. Una sensibile riduzione delle unità scolastiche ha invece l’effetto di rivedere nei suoi nodi essenziali l’offerta formativa, che indubbiamente non ha caratteristiche di staticità, ma che attende, per i settori della secondaria superiore, interventi di profilo riformatore da attuare nel breve periodo.
Giuseppe Fiori