Dirigenti scolastici e la riforma del Collegio docenti – pt. 2
Sgombrato il campo dalle suggestioni dello scontro propagandistico (preside sceriffo, violazione della libertà di insegnamento e via dicendo), abbiamo il dovere di chiederci che cosa potranno produrre nelle relazioni nella scuola, i nuovi caratteri della funzione dirigenziale. Vedo che tende ad affermarsi una sorta di lettura “neutra” del processo.
L’occasione potrebbe essere a portata di mano proprio con la gestione delle deleghe in via di definizione. Se dunque il sindacato ricorre al referendum è anche perché gli è stato impedito di svolgere un qualsiasi ruolo negoziale o almeno di confronto riconosciuto. Ma è sul merito che vorrei tornare.
In fondo, si afferma, non cambierà granchè e il ds, nell’ambito della legge 107 che conferma anche la normativa previgente, potrà svolgere il suo ruolo di “costruttore di comunità” ( G.Cerini). Francamente non riesco a condividere questa lettura. Se c’è una cultura estranea alla politica di questo governo, è proprio la cultura che guarda alla comunità, al rilancio della partecipazione delle persone, alla democrazia partecipativa. E tutta la gestione, almeno quella vista finora, della legge 107, conferma questa impostazione.
Certo, volendo aggrapparsi alla marmellata del formalismo giuridico, all’incrocio tra vecchie e nuove norme, si potrebbe arrivare a sostenere che tutto sommato poco cambia. In realtà le due modifiche introdotte sul profilo del ds, sono più profonde di quanto le norme possano apparentemente indicare. Rafforzano il ruolo gerarchico ed individuale del ds e soprattutto, modificano in modo sostanziale il segno delle relazioni con il personale docente. Sia chiaro, sgombriamo anche qui il campo dalle possibili derive.
E’ vero: maggiore discrezionalità e potere possono determinare il rischio di abusi e quindi di compromissione anche della libertà di insegnamento. Ma se nelle scuole i docenti terranno la schiena dritta e le Rsu svolgeranno il ruolo di garanti della legalità, tutto ciò non si verificherà. Il punto centrale ,dunque, non è questo. E aggiungo che anche il sindacato dovrebbe con forza affermare che una più spiccata responsabilità dirigenziale non è necessariamente clientelismo o corruzione; è che con la discrezionalità di scelta del personale docente nella propria scuola e con il potere di determinare un beneficio economico in prima persona, ciò che viene a cambiare radicalmente, rispetto ad oggi , è il significato della relazione con i docenti.
Una relazione fino a ieri “disinteressata” in cui la dimensione gerarchica era relativa alla gestione amministrativa della scuola; il Ds il proprio prestigio, se lo aveva, lo giocava sul terreno della leadership educativa, della competenza a promuovere innovazione partecipata, progettualità ed esiti del lavoro. I compensi aggiuntivi erano decisi nella contrattazione di istituto e rispondevano a compiti aggiuntivi e funzioni specifiche trasparenti e perciò accolte e condivise dalla comunità. E’ dunque la relazione fiduciaria che nasce dalla condizione di “disinteresse” che poteva far giocare il ruolo della leadership. Abolita quella relazione, ogni atteggiamento e scelta del Ds assume altri significati ed è percepita con altri significati. Di riflesso, assumono segno e significato diverso, gli stessi atteggiamenti dei docenti. Si comprende allora anche la durezza dello scontro con il sindacato e la scelta della Flcgil e altri gruppi di ricorrere persino alla scelta del referendum .
Ma non credo che questo debba essere l’unico piano di intervento e di elaborazione per il sindacato. Se i nuovi poteri del Ds modificano e producono uno squilibrio delle relazioni nella scuola, noi dobbiamo porci il problema di come si possano riequilibrare quelle relazioni. Il sindacato ha sempre affrontato così il problema della conquista dei propri diritti nella determinazione dell’organizzazione del lavoro. Non si è lamentato dei poteri dei capireparto o dei padroni ma ha lottato per rivendicare uno spazio di autonomia dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro .In particolare, nel nostro caso, se le nuove caratteristiche della funzione dirigenziale minano alla base la leadership educativa con la quale la si voleva connotare, bisogna porsi la domanda con chi , dove e come va recuperata quella dimensione di leadership educativa, senza la quale non esistono pratiche di miglioramento nella scuola.
Del resto questo dato era posto da tempo perché anche nella visione del Ds leader educativo, la consapevolezza di una “distribuzione” della leadership tra i docenti o almeno in una parte significativa di essi, era già affermata come condizione dirimente.
Venendo meno la leadership educativa del Ds, è proprio sui docenti che viene a caricarsi per intero la responsabilità di diventare produttori di collaborazione e di legami significativi tra le persone. La collegialità infatti degli organi collegiali è una modalità organizzativa istituzionale che può benissimo convivere, come si è visto fino ad oggi, con l’individualismo .
Ma per realizzare la collaborazione professionale, quella di cui parla Sennett nelle sue opere, serve una relazione di fiducia tra le persone che non è più praticabile con il “nuovo” Ds. Come fare allora, quali scelte?
Un dato su tutti: a me pare lampante che con le nuove prerogative del Ds, siano venute meno le condizioni giuridiche e professionali per confermare il Ds come presidente del Collegio docenti. Quella caratterizzazione di “primus inter pares” che poteva in qualche modo dirsi confermata dai decreti delegati del 74 al Dlgs 165/01, oggi, a fronte delle novità normative della L.107/15, è del tutto improponibile.
Se dovesse permanere l’attuale profilo del Ds, bisogna dunque con forza rivendicare un nuovo statuto del Collegio docenti, chiamato a scegliere al proprio interno la figura del presidente. Una figura che potrebbe svolgere un ruolo importante per aprire un percorso di vera riforma del Collegio docenti, per troppo tempo, tabù di qualsiasi riflessione politica e professionale sulla scuola. Un organismo che ha vissuto nella suggestione consolatoria di essere “argine” a eventuali protagonismi eccessivi del Ds, rinchiudendosi sempre di più in una dinamica corporativa e burocratica. E’ tempo invece che il Collegio diventi l’organo professionale dei docenti con un docente come presidente; la sede in cui discutere di figure e ruoli dei docenti nell’ambito dell’organizzazione del lavoro.
Di discutere di strategie didattiche ed educative e di modalità e stili di valutazione del lavoro. Un luogo in cui ragionare su come ridare senso alla cooperazione professionale attraverso figure di collegamento designate dal Collegio stesso, di responsabilità specifiche, di deleghe formali a gruppi di lavoro, e singole funzioni specifiche su precisi compiti. Tutto ciò non ha nulla a che vedere con i poteri del Ds di scegliersi i propri collaboratori e squadra di riferimento per la gestione della scuola. Viene a delinearsi la trama complessa di una organizzazione di scuola in cui Ds, Collegio docenti e Rsu, possono convivere nell’ambito di un sistema di relazioni trasparenti ed efficienti, regolato da nuove norme contrattuali e legislative. Ci sono dunque nuove strade da percorrere; saranno decisive le scelte del governo e quelle che il sindacato, insieme ai lavoratori, saprà fare.
Conterà anche e non poco la parola dei diretti interessati, fino ad oggi troppo defilati nella discussione. Che ne pensano gli attuali dirigenti della situazione in atto? I dirigenti hanno possibilità di scrivere, prendere la parola, far sentire alle direzione regionali e quindi al Miur, la forza delle loro argomentazioni nel corso delle riunioni; possono essi stessi per primi sollecitare le proprie organizzazioni sindacali.
Staremo a vedere se i dirigenti scolastici sapranno gestire questa fase di inizio d’anno con gli occhi bene aperti sullo scenario della scuola.
Missaglia D., Dirigenti scolastici e la riforma del Collegio docenti – pt. 1
Dario Missaglia