Uscire dalla crisi con la formazione e la ricerca
La Commissione Europea ha alla fine approvato, non senza difficoltà, la scelta del Governo Italiano di utilizzare in quantità rilevante il FSE (Fondo Sociale Europeo) per gli ammortizzatori sociali; l’Italia è l’unico Paese della UE che destina quote così elevate a questo scopo, la commissione mette quindi alcune condizioni: alle risorse per gli ammortizzatori riferiti a ciascun lavoratore dovranno corrispondere e dovranno essere adeguatamente rendicontate, risorse almeno di pari entità per le politiche attive del lavoro. Del resto chi opera sul campo sa bene quanto sia difficile convincere i lavoratori dell’efficacia delle azioni formative, quando queste non risultano collegate a prospettive di futura occupazione, specie quando le azioni formative appaiono molto lontane dalla realtà dell’azienda in cui lavorano.
L’Accordo Governo-Regioni del 12 febbraio 2009 è lo strumento che permette di realizzare nelle Regioni e Province Autonome il collegamento tra politiche attive e ammortizzatori sociali in deroga; tuttavia lo sviluppo di queste azioni non avviene in forme omogenee, questo per la mancanza di linee guida condivise a livello nazionale e per la complessità delle procedure previste.
Per ovviare a molte difficoltà, non ultima la motivazione dei lavoratori, molti dispositivi regionali prevedono che per ogni lavoratore, o almeno per quelli che devono affrontare un periodo di cassa integrazione più lungo, l’azione formativa parta da un colloquio o in alcuni casi da un bilancio di competenze, che sia in grado di analizzare le conoscenze e le abilità del lavoratore in modo da orientarlo a percorsi formativi efficaci, volti a ridurre la mancanza di competenze e a indirizzarlo verso prospettive di riconversione professionale. Ma quali sono le strumentazioni possedute dai soggetti che gestiscono questa prima fase di colloquio di orientamento?
I servizi per l’impiego in alcune regioni sembrano essere i soggetti più adatti a svolgere questi compiti, dovrebbero infatti essere attrezzati in questo senso, ? anche se in molte realtà così non è ?, in altre regioni sono gli enti attuatori delle attività formative, e sicuramente non tutti questi sono preparati per tale delicatissima funzione.
Infine, e forse questo è il problema più rilevante, la concentrazione di tante risorse (il 50% del FSE degli assi adattabilità e occupabilità di ogni Regione, per i lavoratori “in deroga”) riduce drasticamente i finanziamenti regionali disponibili per le politiche attive rivolte ai disoccupati o ai target che non hanno diritto a forme di sostegno al reddito.
Qui si evidenzia come siano assenti scelte politiche generali, che il Governo non attua: la riforma generale degli ammortizzatori sociali, le nuove forme di sostegno al reddito di chi è senza lavoro, il potenziamento dei servizi per l’impiego come soggetti decisivi per accompagnare la persona disoccupata o dipendente di aziende in crisi verso nuove situazioni occupazionali e, infine, degli indirizzi seri di politica industriale, con adeguati incentivi alla ricerca, innovazione e formazione che diano al Paese alcuni scenari perché l’uscita dalla crisi ci trovi più pronti.
In un quadro così drammaticamente complesso le Regioni, Province, Parti sociali, il sistema formativo pubblico e privato devono trovare modalità di lavoro comune su alcune priorità, anche sulla base di alcune indicazioni contenute nel recente accordo tra Ministero del Lavoro, Regioni e Parti Sociali del 17 febbraio . Le elenchiamo brevemente:
• il rafforzamento delle sedi di confronto regionale e provinciale. Se in tutti i territori fosse presente un tavolo con le parti sociali sul ruolo della formazione nella crisi, i temi legati alla gestione della relazione tra politiche attive e ammortizzatori in deroga potrebbero estendersi all’insieme delle imprese e dei lavoratori coinvolti nella crisi, utilizzando le diverse risorse disponibili (FSE, leggi quali la 236/93, e la 53/2000, Fondi interprofessionali), individuando percorsi più adeguati per i diversi target e rafforzando gli interventi che riguardino l’insieme dei lavoratori e delle imprese di un dato territorio (distretti, filiere ecc.), comprese quelle oggi non formalmente in crisi, ma dove pure esiste un grande bisogno di azioni di formazione (e di ricerca) per uscire in piedi alla fine di questa pesantissima stagione.
• l’attenzione prioritaria agli accordi aziendali, territoriali e settoriali, che pressoché in tutti i dispositivi regionali costituiscono la prima sede che dovrebbe dare gli indirizzi delle attività da sviluppare.
• un’attenzione specifica al ruolo e alle competenze necessarie ai servizi per l’impiego e alle strutture pubbliche e private che devono analizzare le competenze di tutti e accompagnare verso nuove possibilità di lavoro soprattutto i lavoratori che si trovano nelle situazioni più critiche. Si devono investire risorse aggiuntive, anche con quel poco che resta del FSE, per rafforzare le professionalità e favorire le prospettive occupazionali degli operatori perché siano in grado di dialogare concretamente con i singoli lavoratori, costruendo percorsi capaci di valorizzare le straordinarie competenze, sono largamente presenti tra i lavoratori e le lavoratrici italiane, ma che restano inerti se questi non ne sono consapevoli.
• un impegno più determinato di Regioni e Parti Sociali teso a individuare sinergie possibili tra dispositivi Regionali e avvisi dei Fondi interprofessionali, evitando complicazioni procedurali e confusioni di ruoli, sulla base di una strategia condivisa che individui le tipologie di imprese e i target di lavoratori da coinvolgere.
• la valorizzazione di alcune esperienze che, soprattutto per i lavoratori in mobilità, puntino a sostenere il conseguimento di un titolo di studio o di una qualifica per chi è disponibile, utilizzando questa fase di crisi anche per recuperare, dal punto di vista formale, il deficit formativo di migliaia di lavoratori italiani.
• la individuazione di forme di premialità per quei percorsi che accompagnano i frequentanti all’acquisizione di una certificazione riconosciuta; in alcune Regioni, che hanno un ordinamento che riconosce esplicitamente una qualifica, questo già avviene, ma sarebbe possibile realizzarlo dappertutto per diverse certificazioni informatiche, per italiano per stranieri, per inglese o altre lingue straniere, rispetto alle quali esistono certificazioni valide in tutta l’Unione Europea, anche a conclusione di moduli brevi, che possono essere integrati con successivi percorsi formativi.
Roberto Pettenello