L’ossessionante ripetizione dei test sulla comprensione della lettura
Uno dei soggetti più valutati e più scrutati nelle valutazioni internazionali sul profitto degli allievi, da quelli piccoli della quarta e quinta elementare agli studenti quindicenni del campione dell’indagine PISA, è la comprensione dei testi scritti, ossia la lettura. Non c’è dubbio che questa ossessionante focalizzazione sulla lettura che ha perfino indotto l’IEA (International Association for Evaluation of Educational Achievement) a modificare il significato dell’acronimo usato per designare l’indagine sulla lettura (PIRLS che ora vuol dire “Indagine sul PROGRESSO registrato sul piano internazionale nelle competenze in lettura”; mentre nel 1991 PIRLS significava “Indagine del PROGETTO internazionale sulle competenze in lettura” e prima ancora, negli anni Settanta non era nemmeno un progetto a sé stante) abbia permesso di perfezionare considerevolmente i test di comprensione della lettura, di mettere a punto una procedura metodologica per queste indagini comparate, di applicare nuove tecniche statistiche come l’IRT (l’“Item Response Theory”), e non è finita qui, sia per quel che riguarda la formulazione delle domande dei test (i cosiddetti items) sia per quel che concerne i questionari di accompagnamento dei test con i quali si raccolgono informazioni essenziali sul profilo degli studenti, sui loro gusti, sulle loro inclinazioni, sui modi con i quali preferiscono studiare. I ritocchi e i perfezionamenti saranno incessanti per cui la ripetizione di questi test è senz’altro un bene almeno dal punto di vista metodologico e della conoscenza.
Ma non si testano solo i bambini e gli adolescenti, o non ci si occupa solo delle loro competenze in lettura che si suppone vengano acquisite a scuola, ipotesi questa rarissimamente verificata, perché infatti ci si può chiedere se nelle società totalmente alfabetizzate come quelle dell’emisfero Nord non si impara magari a leggere anche fuori dalla scuola, per immersione completa in un bagno di testi, di messaggi scritti, di annunci pubblicitari di ogni genere. Forse, se non ci si intestardisse sui calendari d’apprendimento della lettura (l’età mediana per iniziare ad apprendere sarebbe grosso modo a 6 sei anni e l’età mediana per concludere l’apprendimento della lettura e per iniziare a servirsi della lettura per apprendere sarebbe grosso modo a 9 anni), si apprenderebbe a leggere in altro modo, con altri ritmi.
Dunque non si testano più solo le competenze in lettura dei bambini e degli adolescenti ma anche quelle degli adulti. Una quindicina d’anni fa, nel 1994-95 sono iniziate a livello internazionale (in Svezia e negli Stati Uniti erano già state fatte molto prima) le indagini sulle competenze in lettura della popolazione adulta, ossia di coloro che non frequentano più la scuola dell’obbligo ma altri tipi di scuola o magari non frequentano più nessuna scuola. Si è cominciato con il progetto IALS (“International Adult Literacy Survey”) poi nel 2003 si è svolta sempre con la popolazione adulta l’indagine ALL (“Adult Literacy and Lifeskills Survey”) e adesso è in cantiere l’indagine PIACC all’OCSE (“Programme for the International Assessment of Adult Competencies”). Le sigle mutano, ma la sostanza è pressoché la stessa.
COSA VUOL DIRE QUEST’ INTERESSE OSSESSIONANTE PER LA LETTURA?
Non è certamente un caso che ci si interessi talmente alle competenze in lettura. Non si può rispondere a questa domanda in modo semplicistico argomentando che le competenze in lettura sono un obiettivo fondamentale della scuola, una competenza di base indispensabile per accedere alla conoscenza, per imparare da soli, per il funzionamento di una società democratica e per creare pari opportunità di fronte all’istruzione, per cui occorre verificare che la scuola faccia bene il suo mestiere e insegni almeno a leggere a tutti e se non ci riesce che si sappia il perché per prendere i provvedimenti correttivi appropriati, né ci si può accontentare di un altro insieme di argomenti che invece tiene conto degli adulti come per esempio il fatto che la lettura è un fattore indispensabile della società della conoscenza, è un parametro fondamentale della crescita economica, è indispensabile per accedere al mercato del lavoro e per imparare nel corso di tutta la vita (lifelong learning). Tutti argomenti di per sé inappuntabili, ma “pro domo sua”. Forse si può sospettare che ci sia qualcosa d’altro in ballo e ci si potrebbe chiedere se magari non siamo entrati in un’epoca che dura ormai da almeno cinquant’anni (se non forse di più), contraddistinta da una crisi della lettura, da fenomeni per ora ancora poco chiari e poco comprensibili di trasformazione del senso della lettura, del valore dell’imparare a leggere e del modo di leggere. Mi limito a queste domande e non mi inoltro nel mondo della ricerca delle neuroscienze dove sono in corso, grazie anche a nuove attrezzature di osservazione e di registrazione del funzionamento neuronale nel cervello, studi affascinanti sull’apprendimento della lettura.
COSA È LA LETTURA?
È l’estrazione di certi significati, di certe informazioni da un testo. Quando si legge ci sono molteplici rappresentazioni mentali che interferiscono tra loro e per di più a diversi livelli. La lettura non è affatto un atto semplice. Mette in moto una vasta gamma di strategie e implica l’articolazione di svariate operazioni metacognitive. L’apprendimento della lettura quindi non si riduce soltanto all’acquisizione di riflessi che generano connessioni tra suoni o tra vocali e sillabe. Orbene, si può supporre che sia tutto questo marchingegno mentale, più o meno regolamentato dalle autorità scolastiche e dalla cultura ufficiale, che sia in subbuglio, anzi in ribellione. La scatola di Aladino della lettura è stata aperta dalle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Nel corso di questi ultimi decenni si è capito che i lettori sono autonomi e sono capaci d’inventare usi trasgressivi della lettura, di adattare le loro reazioni conoscitive ai contesti e alle domande che si aspettano si rivolgeranno loro; un lettore può leggere un testo da molteplici punti di vista; un testo può essere interpretato diversamente in funzione delle letture precedenti. Non c’è dunque un solo modo legittimo di leggere, una soluzione giusta e una sbagliata. Alla luce di queste considerazioni verificate da moltissime ricerche si impone una riconcettualizzazione della lettura, un nuovo quadro teorico che non è più quello della scuola ottocentesca. L’ossessione per la lettura testimoniata dalla moltiplicazione degli studi internazionali sulla comprensione della lettura forse non serve ad altro che a verificare la realtà e la profondità di queste modifiche, ma di per sé è già una bella cosa verificare la validità della rappresentazione del modo di leggere.
LA LETTURA È IN CRISI?
Certo è in crisi ma la crisi non si trova laddove si crede che sia, ossia la crisi non è nel calo della lettura, nella diminuzione delle capacità di lettura o delle competenze nella comprensione dei testi scritti, nella crescita dell’illettrismo (brutto neologismo ormai usato in Italia). Non disponiamo di nessuna indagine diacronica sull’evoluzione della lettura per cui non si può dire nulla di sensato sulla capacità di lettura e le competenze di comprensione dei testi nella popolazione, ma si può supporre senza tema di sbagliare che il numero dei lettori è cresciuto rispetto a un secolo o a due secoli fa. Sappiamo anche con certezza che il sistema scolastico non riesce a insegnare a leggere correttamente a tutta una fascia di età, ossia a leggere in modo relativamente agiato, veloce, e a capire testi relativamente semplici. Le indagini dell’OCSE e dell’IEA dal 1991 in poi hanno costantemente confermato questo insuccesso scolastico; le indagini IALS e ALL hanno a loro volta indicato che molti adulti apprendono a leggere quando sono giovani e poi disimparano con il passare degli anni. In ogni modo il problema della crisi della lettura non sta qui con buona pace degli insegnanti e dei responsabili scolastici.
La storia della pedagogia della lettura è un mezzo fallimento dunque nonostante la simpatia che si possa provare per i libri di lettura scolastici dell’Ottocento, gli abecedari illustrati per i piccoli (conservo ancora i miei), per l’evoluzione dei metodi di lettura, per le battaglie omeriche a cui hanno dato luogo e che continuano a essere vivacissime in certi sistemi scolastici come per esempio negli USA.
La crisi della lettura nella seconda metà del ventesimo secolo non è imputabile né al prolungamento dell’obbligo scolastico né alla massificazione dell’insegnamento secondario di primo grado. Le divergenze d’opinioni sulla lettura tra gli insegnanti della scuola primaria e i professori della scuola media sono assai spiacevoli ma sono quisquiglie scolastiche, pasticci intrinseci all’apparato scolastico (ce ne sono molti altri, del resto). Null’altro di più.
COME SVILUPPARE UNA STRATEGIA FLESSIBILE DI COMPRENSIONE DELLA LETTURA?
In un’intervista concessa il 15 gennaio di quest’anno al quotidiano francese “Le Monde” l’attuale direttore della biblioteca universitaria di Harvard, Robert Darnton, specialista di fama mondiale della storia del libro, nato a New York settant’anni fa, afferma che il libro elettronico non segnerà affatto la scomparsa del libro cartaceo ma al contrario ne sarà la salvezza. Questo vuol anche dire che la lettura sarà sempre indispensabile, che non si affievolirà, che occorrerà fare in modo di apprendere a tutti a leggere perché senza lettura, come lo si è constatato per esempio nell’indagine PISA, non si riescono a risolvere né gli items del test di matematica né quelli di scienze. Occorre essere buoni lettori per capire i problemi scientifici e quelli matematici. Certo ci sono eccezioni, perché la matematica è una lingua a sé, ma la regola è raramente contraddetta (so perfettamente che le ragazze leggono meglio dei maschi e che nei test di matematica e di scienze che sono per il momento usati conseguono punteggi inferiori a quelli dei maschi, il che sembrerebbe contraddire la mia tesi, ma se si confrontano maschi con maschi o ragazze con ragazze la tesi è confermata).
Tanto per mettere i puntini sulle i preciso che la biblioteca di Harvard è la prima biblioteca universitaria al mondo: nel 1638, quando fu creata, possedeva quattrocento libri, oggi ne ha 17 milioni, senza contare 400 milioni di manoscritti e i fondi di numerosissimi archivi. Il libro non è scomparso nonostante le vicende storiche, l’evoluzione economica, le trasformazioni industriali, i cambiamenti tecnologici.
Specialista del 18º secolo, dell’illuminismo e della rivoluzione francese, autore di numerosi studi sul 700 francese, Robert Dranton ex professore di Princeton, grande erudito, dotato di una eloquenza straordinaria, ha pubblicato nel corso dall’autunno scorso due articoli di grande rilievo sul futuro delle biblioteche universitarie e della lettura nella rivista “New York Review of Books” (il 4 ottobre 2010 “A Library Without Walls” e il 23 novembre “The Library: Three Jeremiads”).
LA RIVOLUZIONE CIBERNETICA
Va da sé che la rivoluzione cibernetica è ormai un dato di fatto, ha affermato il professore di Harvard. Non si può più fare marcia indietro. Vi siamo immersi fino al collo. I libri elettronici che nel 2010 hanno rappresentato il 10% delle vendite di libri in tutti gli Stati Uniti, arriveranno ben presto a una parte di mercato del 15% o forse addirittura del 20%. “Il libro elettronico non farà scomparire il libro cartaceo, al contrario lo salverà” afferma convinto Darnton. Almeno per un certo tempo. Tutte le case editrici fanno la stessa constatazione. Più si comprano e si leggono libri elettronici, maggiore è la vendita di libri cartacei. Come a dire che l’appetito vien mangiando. Ben presto si stamperanno quasi un milione di libri nuovi all’anno. “Quando sento dire che il libro è morto allora rispondo: che bella morte!”. Sarà dunque sempre più facile leggere. I libri saranno alla portata di tutti e si potranno sfogliare e consultare in qualsiasi posto e in qualsiasi momento come non è il caso oggigiorno. Non è dunque il momento di preoccuparsi né della fine del libro né del calo della lettura. Certamente si legge e si leggerà diversamente da un tempo ed è questo quanto preoccupa gli insegnanti. Il libro non è più una rarità, non è un lusso (non lo è più da tempo, da quando si sono inventati i tascabili). L’accesso ai libri diventerà però sempre più democratico grazie alla cibernetica la quale permetterà un uso dei libri diverso da quello contemporaneo. Si fabbricheranno anche libri diversi, non solo elettronici ma anche cartacei. Il passaggio del Rubicone per i libri, per la stampa è vicinissimo: il libro di Gutenberg (come composizione, come rilegatura, formato e impaginazione) tra poco, un paio di decenni, sarà definitivamente alle spalle. La scuola dovrà fare i conti con questo universo ed è per questa ragione, credo, che in modo piuttosto goffo ci si occupa ossessivamente di lettura nei test scolostici.
“UNA BIBLIOTECA UNIVERSALE GRATUITA”
L’espansione di Internet entusiasma Darmond che l’interpreta come una possibilità di democratizzare il sapere e di creare infine quella repubblica delle lettere che fu il sogno di tutti gli illuministi. “Vi immaginate quale rivoluzione sarà la creazione di una biblioteca universale gratuita?” chiede Darnton al “Monde”.
Nondimeno, Darnton considera preoccupante la prospettiva di lasciare a Google, un’impresa dopotutto a scopo lucrativo che deve produrre benefici per i propri azionisti, l’iniziativa di masterizzare tutte le biblioteche del mondo nonché quella di assegnare a Google il monopolio dell’accesso all’informazione. Questo è stato il senso dei suoi articoli pubblicati nell’autunno scorso nella “New York Review of Books”. Per questo motivo il direttore dell’Università di Harvard ha preso l’iniziativa negli Stati Uniti di un colossale progetto di biblioteca elettronica nazionale. Lo specialista riconosce che l’iniziativa è un po’ tardiva perché è stata presa a contropiedi da aziende private ed è stata formalizzata soltanto nell’ottobre 2010 in occasione di una riunione dei rappresentanti delle grandi istituzioni culturali americane come per esempio la biblioteca del congresso, gli archivi nazionali, le principali biblioteche universitarie, i giuristi più importanti del paese nonché i leader delle grandi fondazioni private le quali hanno accettato di finanziare questa enorme operazione. “Avremmo dovuto cominciare vent’anni fa, siamo in ritardo ma possiamo ancora farcela. Non dobbiamo più perdere tempo, fallire questa svolta storica”. Se così stanno le cose anche per i sistemi scolastici e per la lettura nelle scuole la musica cambierà ben presto, indipendentemente dai risultati delle indagini internazionali comparate. Purtroppo in Italia, dove ci sono giacimenti bibliotecari straordinari e numerosissime biblioteche di grande valore, con fondi molto più vecchi di quelli delle biblioteca di Harvard, ma spesso, ahinoi, inaccessibili tranne a pochi privilegiati, nessuna iniziativa del genere è ancora in vista.
Per approfondire:
• Il sito di Norberto Bottani http://www.oxydiane.net/
Norberto Bottani