Apprendistato o apprendere facendo?

Alcuni anni fa, prima dei terremoti avviati con la Moratti, quando nel nostro sistema di istruzione si procedeva passo dopo passo a un rinnovamento della didattica, era un luogo comune sostenere il metodo del “se faccio, imparo”. Soprattutto nella scuola dell’obbligo, laddove avevamo abolito voti e pagelle e avviato un nuovo modo di insegnare/apprendere e di valutare, la didattica per obiettivi comportava quel tipo di attenzione. L’obiettivo era pur sempre un fare, una abilità semplice o articolata che fosse – non si parlava ancora di competenze a tutto tondo, anche perché si era nella scuola dell’obbligo. Si trattava, ovviamente, di una strada non facile, se non proprio un rovesciamento della didattica di sempre, un suo concreto adattamento ai livelli di crescita e di sviluppo di ciascun alunno: era l’individualizzazione dell’insegnamento, che è ben altra cosa rispetto alla personalizzazione perseguita dalla Moratti.

E fu proprio il “punto e a capo” della Moratti a confondere le acque, il suo rifiuto della progettazione educativa didattica e del concetto stesso di curricolo, in vista di una chimerica personalizzazione dei cosiddetti piani di studio, in forza dei quali veniva polverizzato l’hardcore di saperi e abilità terminali essenziali e a tutti comuni, finalità che, invece, fin dal ‘62 perseguivamo per garantire a ciascun alunno… non uno di meno, quei livelli culturali di base su cui innestare le scelte future.

Con Fioroni si è cercato di mettere qualche riparo, ma poi, con il ministro Tremonti le cose sono precipitate! Insomma questo primo decennio del Terzo Millennio lo stiamo vivendo all’insegna dell’approssimazione e della confusione: un primo ciclo ancora senza una sua identità, un biennio obbligatorio che in molte scuole ancora non si sa bene che cosa sia, un cosiddetto riordino del secondo ciclo che sta provocando più preoccupazioni che attese certe. Un decennio, quindi, in cui il “se faccio, imparo” è solo uno strano adagio di cui non si capisce il significato e non se ne ha neanche il ricordo.

In questo vuoto della didattica riemerge il problema di sempre, quella dispersione scolastica che tocca ancora livelli che vanno oltre il 20%, ben al di là dell’auspicato 10% indicato da Lisbona, edizioni 2000 e 2010. E in mancanza di una didattica mirata, la causa prima della dispersione è sempre degli alunni: non hanno voglia di studiare, non si impegnano, non sono portati… e via dicendo! Quando, invece, prima dei disastri del Terzo millennio abbiamo sempre ritenuto che ci fosse una precisa responsabilità delle istituzioni, e non solo quelle scolastiche, nell’assumere iniziative mirate di decondizionamento socioeconomico e culturale.

Ne è conseguito che, in mancanza di una scelta complessiva delle istituzioni in materia, l’attuale governo ha ripiegato verso l’apprendistato, o meglio lo ha deliberatamente scelto! Si sono detti: non hanno voglia di studiare? Abbiamo questo strumento, rinnovato anche dalla legge Biagi: perché, quindi, non utilizzarlo? È inutile tenere sui banchi ragazzini che dello studio non ne vogliono affatto sapere; liberiamo gli istituti secondari di questa sorta di zavorra e, dopo un primo anno di studio fallito, apriamo loro le porte dell’apprendistato! Una scelta coerente per una logica di un governo che non si vuole far carico del disagio altrui, perché… chi è causa del suo mal, pianga se stesso!

La scelta, invece, dovrebbe essere un’altra, e Berlinguer la esplicita chiaramente nella sua intervista. Nulla contro il “fare con le mani” – ma anche con i piedi, con il corpo tutto, ovviamente! È proprio il fare il grande assente delle nostre scuole, ancora inchiodate “per disposizioni ministeriali”, potremmo dire, alle strutture di sempre, le aule, i banchi, le cattedre, gi orari spezzatino, le lavagne, ora anche le Lim! Scuole dove si parla, si parla, si scrive, si scrive, dove il fare è vietato! Dice chiaramente Berlinguer che la pratica del parlare/ascoltare attiva – quando ci riesce – solo l’emisfero sinistro del nostro cervello e ignora od ottunde quello destro: perché è qui che hanno luogo, soprattutto nell’età evolutiva, la curiosità, l’emozione, la motivazione, il piacere di mettersi in gioco, di fare, e non solo con le mani… ma su queste questioni ormai da anni sono stati versati fiumi di inchiostro – da Dewey a Bruner, a Gardner, a Goleman, a Morin, finanche allo stesso Delors, tra i primi che mi vengono in mente, ma… il nostro Miur ne ha consapevolezza? Mah!

Il che significa che non ho nulla da dire contro quell’apprendistato manuale che del resto è la prima fonte del pensare, del riflettere e dell’apprendere – lo dice la parola stessa! Ma la questione è un’altra: che questa forma di “apprendistato”, con tanto di virgolette, dovrebbe costituire la materia prima dell’insegnare/apprendere in un sistema di istruzione “normale” di base che si proponga veramente di far conseguire ai cittadini tutti quelle competenze di cultura e di cittadinanza che oggi sono quanto mai necessarie per accedere al sociale e al mondo del lavoro! Altrimenti che cosa sarebbe quel “successo formativo” che dalla fine del secolo scorso (vedi il dpr 275) ci siamo impegnati a garantire a tutti?

Maurizio Tiriticco