L’anello mancante nella costruzione dei CPIA
Il sistema italiano, non solo quello scolastico, si avvale spesso di positive pratiche virtuose, che affiancano ovvero addirittura sostituiscono azioni e funzioni, che dovrebbero essere svolte dai soggetti istituzionali responsabili. Affrontare questo tema è sicuramente pericoloso perché, facendolo, si rischia di esprimere nostalgia per azioni di governo centralizzate, spesso incapaci di cogliere la complessità e la ricchezza di quanto la società nel suo insieme e gruppi di individui, nelle specifiche aree di azione, riescono ad esprimere e realizzare; è necessario tuttavia distinguere nelle varie situazioni, se ci si trova di fronte al risultato di azioni, che nascono in contesti protetti, sollecitati e sostenuti da una istituzione, capace di valorizzare e di arricchirsi di questi apporti, e quando, invece, la spontaneità e l’impegno di singoli e di gruppi svolge opera di vera supplenza, rispetto a compiti che, una istituzione distratta (?), non svolge in modi adeguati, oppure non svolge affatto.
Un conto è valorizzare l’autonomia ed anche una positiva prassi di delega di azioni a chi “è più vicino ai soggetti”, che esprimono bisogni e chiedono strumenti e condizioni per esercitare i propri diritti (come la stessa UE spesso ci ricorda), un conto è abbandonare, ovvero dimenticare alcuni temi, deludendo attese e spesso provocando, per inerzia, l’accentuarsi di incertezze e trascuratezze.
Appare doveroso premettere queste considerazioni presentando un interessante documento prodotto dalla Rete CPIA (Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti) – Piemonte, a conclusione del primo anno scolastico di funzionamento a regime del sistema di educazione degli adulti nel nostro paese. Non ritorno sul ruolo, ormai consolidato, delle reti attive da molti anni in questo settore (V.Gallina, F.Farinelli in SD n. 3 2014), mi interessa solo evidenziare l’importanza di una riflessione e di una proposta che affronta un nodo cruciale di qualsiasi intervento EDA (Educazione Degli Adulti): la necessità di dar vita finalmente a un sistema solido e fortemente caratterizzato, capace di dialogare con la scuola, da un lato, e con l’insieme della collettività sociale dall’altro, superando in modo definitivo la logica che finora ha visto l’Eda come attività di compensazione, riparazione, recupero per chi ha mancato, per ragioni varie e diverse, l’appuntamento con i percorsi della formazione iniziale.
Il documento della rete dei CPIA del Piemonte entra nel merito del nodo di fondo che, in questo primo anno di applicazione della legge 59/del marzo1997 ( …se 15 anni vi sembrano pochi…) è emerso con grande chiarezza: la confusa e ambigua modalità con cui l’amministrazione, pur producendo circolari, normative, linee guida e quant’altro, ha abbandonato una progettazione calibrata e efficace dei percorsi di secondo periodo del primo livello della Eda ( i percorsi rivolti a chi, concluso nel primo periodo il primo ciclo di scuola obbligatoria, fino alla terza media, si orienta a completarla per orientarsi verso attività lavorative e/o a proseguire gli studi verso una qualifica o un diploma).
Il richiamo ai dati relativi ai livelli di istruzione e di competenze evidenziati dalle statistiche nazionali e dalle indagini internazionali dimostrano chiaramente che l’impegno del nostro paese deve essere teso a colmare la distanza dalle situazioni “più virtuose” di altri paesi, che non solo garantiscono a quasi tutta la popolazione qualifiche e/o diplomi, ma soprattutto riescono a coinvolgere in attività di studio, chi ha competenze molto limitate.
Il 50% della popolazione italiana 16-65 anni non ha un diploma contro il 27% della popolazione dei 28 paesi partecipanti Ocse Piaac (Programme International forAssesseent Adult Competences) , il37% ha un diploma contro il 43% Ocse Piaac, e solo il 13% ha un titolo post diploma contro il 29 % Ocse Piaac ( dati Istat e Ocse Piaac). Il dato più preoccupante è che, in Italia, solo il 24% degli adulti partecipa ad attività di studio ( nei paesi Ocse Piaac è il 56%) e che questa limitata percentuale riguarda chi ha livelli di competenza medio/ alti, mentre solo il 4% di chi non raggiunge il livello 1 di competenza in literacy e numeracy e il 10% di chi non supera il livello 1 partecipa a qualche attività formativa ( contro, rispettivamente, il 26% ed il 33% della media Ocse Piaac).
Il documento della rete CPIA Piemonte mette in luce ostacoli da rimuovere e le condizioni da creare per “accostare” la popolazione adulta alla formazione e punta il dito soprattutto, tra gli altri, su due aspetti( vedi appresso il documento completo): la modalità ormai obsoleta con cui si presenta ogni volta la contrapposizione tra “cultura generale” e abilità professionali e la persistente timidezza con cui si interpreta e si realizza quanto in vari modi è contenuto e ripetuto in ordinanze e circolari sul tema, a partire dalla circolare .455/1997, che insistono sulla necessità di coordinare le offerte di istruzione e formazione organizzandole verticalmente nel sistema scolastico e orizzontalmente con le altre agenzie.
Non si tratta di una lacuna riguardante l’organizzazione, ma di una cultura della formazione incapace di integrare competenze generali e situazioni d’impegno socio- lavorativo, che nella “Cultura” devono trovare un serio riferimento e non un ostacolo insormontabile. Le finalità del secondo periodo del primo livello d’istruzione fornito dai CPIA (Circolare n. 6 del 27/ 02/ 2015) dovrebbe essere lo strumento nuovo, volto a “potenziare negli adulti le competenze di base connesse all’alfabetizzazione funzionale” e ancora, recitano i testi ufficiali, “……il secondo periodo didattico dei percorsi di primo livello, è finalizzato in modo specifico al conseguimento delle suddette competenze”.
L’affermazione è incoraggiante, ma per realizzarla si dovrebbe procedere a una sua completa riorganizzazione, che, per dirla in estrema sintesi, non può essere una fase di selezione e adattamento verso il percorso della secondaria di secondo grado, ma un percorso, calibrato sulle necessità e potenzialità dell’adulto che impara (per richiamare una formula di M. Knowles). Il documento su questo punto articola con molta precisione le caratteristiche di percorsi che hanno bisogno di sperimentazioni lunghe, approfondite e monitorate, in cui, dal punto di vista organizzativo, la scuola secondaria di secondo grado deve essere coinvolta completamente, definendo in modo innovativo un organico funzionale, per i CPIA, che collochi al suo interno dei docenti della scuola secondaria di secondo grado, secondo lo schema del tutto inapplicato del DPR 263/12: oltre a 2 docenti di scuola primaria e a 4 docenti di scuola secondaria di primo grado, 4 docenti di scuola secondaria di secondo grado – uno per ciascuno degli assi disciplinari previsti dal regolamento di cui alla legge n. 296/06, art 1, comma 622, in materia di saperi e competenze relativi all’obbligo di istruzione. La Buona Scuola , legge 107/2015, affronta in termini molto generici il tema del processo di costruzione dei CPIA, ma, nello stesso tempo impegna l’Indire in un monitoraggio, di durata triennale, volto a fornire elementi atti a consolidare questo importante settore di scuola. Sarebbe interessante sapere, dopo il primo anno di funzionamento, che cosa sta producendo questo monitoraggio e se, come e in quali forme saranno promosse e seriamente studiate sperimentazione valutabili e trasferibili. La proposta della rete CPIA del Piemonte potrebbe essere un utile banco di prova.
Vittoria Gallina