La storia più recente è un insegnamento ancora “negletto”. I risultati di un’indagine
“… qual è il mezzo pratico per misurare la nostra cultura storica?
Eccolo, è semplicissimo: la nostra capacità di intendere il presente.
Recatevi nelle mani i giornali dell’ultima quindicina […].
Capite l’ultima notizia? E di quanto bisogna retrocedere e di quanto
bisogna addentrarsi per risolvere i fatti politici nei momenti e nei moventi?”
(Antonio Labriola, 1900)
La capacità d’intendere il presente è il “mezzo pratico” per misurare la cultura storica dei giovani: questo è il concetto che sta alla base degli interventi normativi che negli ultimi tre lustri hanno inteso riformare i programmi di storia; tuttavia l’esigenza di monitorare, in modo non episodico, l’efficacia di tali innovazioni non sembra essere ugualmente sentita.
A tale lacuna ha cercato di sopperire un’indagine empirica della ‘Sapienza’, condotta con lo scopo di contribuire al dibattito scientifico sugli studi sperimentali in ambito educativo, in particolare su quelli riferiti a specifici ambiti disciplinari.
Iniziata nel 2008 con lo studio del complesso statuto epistemico della storia contemporanea e dei “curricula” di studio vigenti nei principali Paesi europei, la ricerca – conclusa nel 2012 – approfondisce il problema della conoscenza della storia del Novecento posseduta dagli studenti a conclusione della scuola secondaria di secondo grado. Si tratta di una “survey research”, basata sull’elaborazione statistica dei dati raccolti attraverso la somministrazione di appositi strumenti di rilevazione (un test e un questionario) a un campione rappresentativo di studenti neo-diplomati.
Il nodo problematico da cui muove la ricerca risiede nella constatazione che gli studenti, alla conclusione del ciclo scolastico, conoscono poco la storia del Novecento, specie quella della seconda metà del secolo. Ciò costituisce un vuoto di conoscenza quantomeno sorprendente, se si considera non solo la vicinanza temporale, ma anche e soprattutto le forti ragioni ideali sottese all’intervento legislativo (DM 682/96) che ha riformato i programmi di storia al fine di “rendere meno indebitamente negletto” lo studio del XX secolo “sino ai nostri giorni”.
La scelta del campo d’indagine e degli obiettivi di ricerca discende quindi dalla percezione del divario tra il “curricolo praticato”, ovvero i programmi di storia realmente svolti, e il “curricolo ufficiale”, costituito dalle vigenti direttive ministeriali. Da tali premesse è maturata l’esigenza di misurare “sul campo” l’ampiezza del cono d’ombra [1] gravante sulla conoscenza della storia del Novecento, quella che interessa di più gli studenti e che gioca un ruolo insostituibile per il raggiungimento delle principali finalità formative ascritte all’apprendimento della storia.
Gli strumenti di rilevazione, costruiti con il concorso di un “panel” di storici contemporaneisti e validati attraverso procedure d’analisi di tipo statistico, sono stati assegnati nell’autunno 2010 a un campione di 793 studenti iscritti al primo dell’Università “La Sapienza”, di cui 621 matricole neodiplomate, in larghissima misura provenienti da indirizzi liceali.
I risultati della ricerca hanno posto in luce un ampio deficit di conoscenza in relazione alle vicende storiche riferibili alla seconda metà del Novecento: il numero di risposte sbagliate ha infatti raggiunto il 57,3% del totale, con un tasso di omissioni molto elevato (15,7%).
Di contro, gli studenti hanno dato mostra di possedere un bagaglio cognitivo più adeguato sugli eventi relativi alla prima metà del secolo (41,1% di risposte errate; 8,3% di risposte omesse).
Questi esiti sono peraltro coerenti con quanto dichiarato dagli studenti in ordine al programma svolto nella classe terminale delle scuole superiori: sulla base dei dati raccolti, il 52% non ha studiato a scuola gli eventi storici successivi all’inizio della Guerra fredda, mentre oltre l’80% ha iniziato il programma con argomenti antecedenti la storia del XX secolo.
Si tratta di un riscontro importante, sulla cui base è possibile affermare che la normativa scolastica, che prevede di riservare “esclusivamente” al Novecento l’insegnamento della storia nell’ultimo anno delle scuole superiori, viene disattesa in modo alquanto diffuso.
I risultati della prova di profitto appaiono ancor più deludenti se posti in relazione ad alcune importanti caratteristiche del campione di ricerca rilevate attraverso il questionario, quali l’elevata provenienza socio-economica e la positività del profilo in uscita dalle scuole superiori: la votazione media conseguita agli Esami di Stato risulta superiore di quasi 14 punti al voto medio nazionale e, oltre a essere positivamente correlata al profitto, si mostra capace di spiegare da sola circa il 34% della varianza dei punteggi.
In controtendenza alla tradizionale superiorità femminile in prove concernenti materie umanistiche, la ricerca ha evidenziato una significativa differenza nei risultati d’apprendimento a favore degli studenti maschi e confermato l’esistenza di un notevole gap nelle prestazioni a vantaggio di quelli provenienti dal liceo classico. Tra le variabili risultate maggiormente esplicative degli esiti di apprendimento spicca la preferenza accordata dagli studenti al Novecento rispetto ad altre epoche storiche, l’alto consenso dato alla presenza della storia tra le materie curricolari, l’utilizzo di fonti d’apprendimento di tipo non scolastico, l’importanza assegnata alla storia del pensiero e della cultura.
L’analisi mette in luce una domanda di formazione sulla storia più recente che chiama direttamente in causa la scuola, assegnandole un ruolo decisivo nell’acquisizione di un sapere orientante, aperto alla considerazione delle problematiche che investono il mondo contemporaneo; decisamente in controtendenza con il diffuso convincimento secondo cui i giovani non amano la storia, la subiscono come materia scolastica, non le ascrivono particolari finalità formative, i risultati della ricerca attestano che non solo la storia suscita interesse, ma possiede anche un’importanza direttamente proporzionale alla sua capacità di fornire un supporto al bisogno d’orientamento nella complessità del reale.
È anche in tale direzione che deve essere letta la frequenza con cui il rammarico per non aver potuto studiare adeguatamente a scuola la storia del Novecento si associa in molti studenti alla denuncia delle inadeguate metodologie adottate dai docenti nell’insegnarla. Eppure, il giudizio complessivo sugli insegnanti di storia non è negativo, se è vero che il 70,5% del campione ha giudicato soddisfacente il profilo complessivo del proprio docente.
Fiducia di fondo, dunque verso l’istituzione scolastica, ma non fiducia generica: l’analisi delle risposte evidenzia un nesso forte tra la positività del giudizio sul docente e l’intensità del rapporto che lo studente sviluppa con la disciplina. I punteggi migliori sono infatti conseguiti da studenti che non giudicano la storia “una materia di studio tra le altre”, né “qualcosa di morto e passato”, bensì “una fonte di avventura ed emozione” alimentata dal carisma del docente.
Nella parte conclusiva della ricerca trova perciò posto una disamina puntuale – e per certi aspetti anche “puntuta” – di un bisogno di formazione che necessita di trovare ascolto mediante più incisive scelte di politica e di prassi educativa.
Note:
[1] Paolo Concetti, “La storia del presente”, 1940-1990: un insegnamento negato, in G. De Luna, “Insegnare gli ultimi cinquant’anni”, Firenze, La Nuova Italia, 1992.
Per approfondire:
In Milena Rombi, “La conoscenza della storia del Novecento in uscita dalla scuola secondaria di secondo grado. Indagine empirica su livelli di conoscenza, rappresentazioni” (Nuova Cultura, Roma 2013).
Milena Rombi