Sesto seminario nazionale sul curricolo verticale
I lavori proposti sono, nella maggior parte dei casi, il risultato di attività di ricerca e sperimentazione condotte, in questi ultimi dieci anni, dal Cidi di Firenze nelle scuole toscane. Alcuni di questi lavori verranno presentati nelle prossime settimane in questa sede. Dalle presentazione delle esperienze è emerso in modo particolarmente evidente che la scuola del curricolo costituisce la realizzazione della più significativa teoria culturale e pedagogica costruita nel Novecento per la democratizzazione della scuola. Per le interpretazioni prevalenti, invece, curricolo è sinonimo di programma, o di programmazione disciplinare, o di adempimenti formali che ogni scuola deve ottemperare. Oppure, curricolo viene inteso come attenzione ai soli aspetti cognitivi disciplinari, dimenticando la dimensione affettivo-relazionale e le esigenze educative. Ciò fa sì che il curricolo diventi oggetto di animate discussioni, legate a visioni diverse di scuola. Appare naturale l’opposizione o l’indifferenza dei sostenitori della scuola tradizionale, di destra e di sinistra. La loro visione è quella della scuola del programma. I sostenitori della scuola del programma hanno ragione a opporsi alla scuola del curricolo, perché la visione pedagogica e culturale della scuola del curricolo considera centrale l’apprendimento di tutti gli studenti, la loro motivazione, e non lo svolgimento del programma delle varie discipline.
Mentre è difficilmente comprensibile l’opposizione o l’indifferenza alla scuola del curricolo da parte dei sostenitori di una scuola innovativa, di una scuola educativa, attenta alle varie soggettività, alle loro esigenze socio-affettive e comunicativo-relazionali. Si rimane sconcertati perché questi aspetti sono costitutivi della scuola del curricolo. Sono talmente costitutivi che la scuola del curricolo si propone di caratterizzare tutto il progetto di scuola in questo senso, e non soltanto nei tempi dei vari progetti. Scuola dei progetti (quando sono sensati) e scuola del curricolo sono antitetici non nelle intenzioni pedagogiche, ma nella capacità di innovare la scuola effettivamente e non solo per tempi molto limitati. La scuola del curricolo si propone di fare star bene a scuola gli studenti con la cultura, si propone il loro reale successo formativo, la loro istruzione, la loro educazione, e ciò è possibile con un’organizzazione dei saperi diversa da quella tradizionale.
Dewey aveva indicato in modo magistrale che le discipline, nella loro organizzazione tradizionale, non potevano svolgere un ruolo formativo nella scuola di tutti; finivano infatti con lo svolgere un ruolo selettivo ed elitario piuttosto che emancipatorio. Nel 1960 Bruner, in “Dopo Dewey. Il processo di apprendimento nelle due culture” criticò la pedagogia di derivazione dewyana perché aveva trasformato la scuola americana in una scuola senza cultura, senza competenze disciplinari di base, per la maggior parte degli studenti. Tuttavia nel 1938 Dewey, in “Esperienza ed educazione” aveva già preso le distanze da molti suoi seguaci che avevano perso di vista le finalità della scuola; Dewey ci ricorda che le esperienze sono fondamentali, sono uno strumento imprescindibile, ma non sono il fine della scuola. Dewey indica che “l’attitudine che più importa sia acquisita è il desiderio di apprendere” e che “la meta dell’educazione è la creazione del potere di autocontrollo”.
In conclusione, la scuola del curricolo si propone di connettere aspetti che spesso procedono in modo separato, perché solo in questo modo, assumendo il paradigma della complessità, è possibile riuscire ad essere efficaci; se si vuole una scuola di qualità per tutti occorre connettere nella progettazione e nel lavoro in classe tutti i giorni saperi essenziali e significativi anche per gli studenti, modalità relazionali innovative e metodologie attive e non attivistiche. In questo modo, istruzione ed educazione diventano un’unica cosa. Questa è l’educazione alla cittadinanza, come Rey ci ricorda: “Se si accetta di chiamare istruzione non un insieme di informazioni, ma la formazione di un’intenzione a capire, allora essa è in se stessa un’educazione, perché insegna il controllo di sé. Questo interesse morale è anche un interesse politico… Essa prepara l’accesso all’universalità che condiziona l’acquisizione dell’interesse generale. Saper resistere alle emozioni e alle influenze per poter giudicare da soli: ecco la condizione di accesso alla cittadinanza, ovvero allo stato di colui che, in una Repubblica, detiene una parte di sovranità collettiva” (B. Rey, Ripensare le competenze trasversali, Milano, Angeli, 2003, p. 228).
Fiorentini e Piscitelli