Fare scuola secondo la logica del curricolo

Fare scuola secondo la logica del curricolo attiva una serie di istanze che introducono fattori di complessità innegabili nel lavoro docente. In altre sedi si è avuto modo di argomentare l’interrelazione necessaria, nella progettazione curricolare, tra saperi, metodologie e relazioni. Cosa insegnare, come insegnare e quale contesto attivare perché l’insegnare generi l’apprendere costituiscono ancora oggi i fondamentali del lavoro didattico, e non vi è chi non riconosca come l’accellerazione indebita su uno dei tre versanti rischi di ridurre la complessità del fare scuola a favore di soluzioni trasmissive (quando prevalgono i contenuti), attivistiche (quando prevalgano le procedure), banalmente socioaffettive (quando prevalgono gli aspetti relazionali).

Proprio in tempi di forte riduzione del tempo-scuola, è importante invece non tradire la necessaria circolarità tra i tre versanti, in quanto essa rimane l’unica attivabile per fronteggiare il pericolo selettivo insito in una scuola in cui bisogna far presto e coloro che hanno bisogno di tempo rischiano di restar tagliati fuori dal processo di insegnamento-apprendimento.

Ora, se è vero che il versante delle metodologie e quello delle relazioni necessitano di tempi distesi per potere dispiegare il loro potenziale formativo – perché predisporre un contesto di apprendimento è diverso dal mero fare lezione -, il versante dei saperi troppo spesso invoca tempi lunghi per potere depositare una maggior quantità di “materiale” nella mente degli studenti. Ma già le Indicazioni per il primo ciclo emanate nel 2007 prendevano le distanze dal modello trasmissivo della conoscenza, volto all’accumulo del sapere e incapace, per sua stessa natura, di generare competenze culturali proprio perché l’uso delle discipline da esso presupposto esclude approcci euristici, laboratoriali, cooperativi, gli unici capaci di sollecitare la motivazione allo studio. Sappiamo bene infatti che gli studenti, ormai fin dalla più tenera età, amano esser coinvolti nel loro stesso apprendimento e risulta sempre più incongruente, per far solo qualche esempio, un insegnare lingua che non si misuri con gli usi reali (e informali) dei linguaggi, un insegnare scienze che rinunci a qualsiasi approccio sperimentale, un insegnare matematica incapace di trarre le sue mosse da questioni di realtà, un insegnare storia che non faccia toccare con mano il metodo storiografico.

La didattica trasmissiva, che si basa sull’accumulo di conoscenze e affastella capitoli e paragrafi – e che per questo chiede più tempo -, fa a pugni con la logica curricolare perché privilegia la conoscenza delle discipline rispetto alla conoscenza della realtà dal punto di vista delle discipline, finendo per creare eserciti di bambini e studenti demotivati e attratti da altre esperienze conoscitive.

Il rischio è che, con un tempo-scuola più limitato che fatalmente rischia di frustrare l’attenzione alle procedure e ai contesti didattici, il trasmissivo possa acquistare ulteriore forza e candidarsi come la scorciatoia pedagogica più appetibile, ma la scuola è chiamata qui a una resistenza culturale seria non solo per scongiurare la deriva selettiva (il trasmissivo seleziona per sua natura), ma soprattutto per non seppellire definitivamente il curricolo per competenze. Occorre infatti scavare nei saperi alla ricerca delle piste metodologiche che meglio si prestano a una didattica per competenze, rinunciando a inutili enciclopedismi e lavorando piuttosto sulle emblematicità, ovvero su quelle scelte didattiche che consentono agli allievi di impadronirsi della logica euristica di una disciplina. L’insegnamento della storia si presta bene a un’esemplificazione di quanto qui osservato, perché la disciplina espone spesso gli insegnanti alla tentazione della trasmissione e dell’accumulo. Risulta più praticabile invece un approccio didattico capace di selezionare quei temi storici che, per la loro cifra di emblematicità, possono consentire ai ragazzi di cogliere le tendenze fondamentali di un’epoca.

Proviamo a scardinare dunque il catastrofismo incombente e a ridelineare gli spazi di fattibilità di una scuola del curricolo a partire proprio da una rimessa a fuoco della cultura della scuola in tutte le sue articolazioni disciplinari e nelle sue intersezioni con il sapere sociale. Proprio la capacità di produrre feconde contaminazioni tra il sapere-dentro e il sapere-fuori potrà forse costituire la cifra di maggior qualificazione per il sapere professionale dei futuri insegnanti.

Per approfondire:
• M. Muraglia, Curricolo e competenze culturali, Rivista dell’Istruzione 4/2008, pp.33-38.

Maurizio Muraglia