Dopo Gentile ancora Gentile?
Ascoltando opinioni che circolano sulla riforma dei licei ci si trova di fronte a chi invoca il ritorno a Gentile e chi cerca di salvare il salvabile nelle bozze di regolamenti governativi. Cosa sia quello da salvare non è chiaro, perché non sembra che gli opinionisti abbiano preso sul serio le sperimentazioni, poche per la verità, che in questi ultimi anni i licei hanno realizzato, nel tentativo di ammodernare gli indirizzi e la didattica. Sembra piuttosto di riscontrare l’idea che almeno Gentile vada ancora garantito, soprattutto per un ordine di studi ad alta vocazione accademica, che si distanzia sempre di più dagli altri, che devono rilasciare il diploma di “perito” nell’arte del “vil meccanico”.
Per fortuna che la programmazione del servizio territoriale è in mano alle regioni, alle quali speriamo non sfugga il valore pedagogico di un istituto scolastico pluriindirizzo, tra i licei o tra questi e altri tipi di istituti, evitando il ripristino di un sistema a canne d’organo, che aveva lo scopo di difendere l’élite, per un luogo “democratico”, che favorisca l’orientamento, aperto ai passaggi e all’integrazione dei sistemi, compreso quello lavorativo.
I vari ordini di scuola, pur tutti quinquennali, sono sganciati, la formazione critica è prerogativa dei licei, mentre gli altri assumono un valore funzionale. Il mondo del lavoro però si è evoluto più degli ordinamenti scolastici, e anche a causa dell’internazionalizzazione dei sistemi, oggi non c’è formazione professionale senza una più alta e innovativa preparazione generale.
I primi due anni sembrano più figli di Bottai che dell’obbligo di istruzione secondo il decreto Fioroni. C’è infatti da chiedersi se qualcuno si è accorto che secondo quest’ultima disposizione la programmazione e la valutazione devono ricalcare la metodica delle competenze, ed è la certificazione di queste ultime che dovrebbe sancire l’assolvimento dell’obbligo (ma forse c’è anche chi è convinto che nei licei tutto ciò sia inutile in quanto non c’è il rischio della dispersione, ma un più solido paracadute familiare rispetto ad altre scuole), oltre a verificare il raggiungimento di obiettivi di cittadinanza sanciti addirittura dall’UE. Ma questo, che potrebbe avvicinare i vari ordini scolastici, nonostante che gli apprendimenti vengano declinati in modo attivo dalla bozza di regolamento, è lasciato in ombra da provvedimenti di tipo valutativo più generale che esasperano la competitività sul modello cognitivo.
I percorsi di alternanza scuola-lavoro potrebbero determinare una svolta, sia nel modo di contestualizzare il curricolo liceale: si pensi alla frequentazione di saperi contemporanei, sia per la possibilità di far compiere esperienze dirette, che possono oltre che motivare la necessità di ulteriori conoscenze, far toccare con mano l’utilizzo delle discipline scolastiche nell’analisi della realtà. Ma è il cambiamento più deciso da far compiere all’organizzazione della didattica, per cui non basta il semplice adeguamento tecnologico, e soprattutto non è favorito, come si è detto, dalle modalità di valutazione.
È una grida manzoniana il continuo richiamo agli standard europei, i risultati ottenuti dai liceali nelle prove internazionali sono forse dovuti più all’autoselezione dell’utenza che non a una vera innovazione dell’insegnamento, che continua a rimanere legato al trasmissivo a fronte di richieste di tipo operativo e applicativo.
Due osservazioni in chiusura. Sul piano della elaborazione normativa, queste ipotesi di regolamento, anche per gli altri ordini di scuola, soddisfano il principio delle “norme generali sull’istruzione” indicate dalla Costituzione, vecchia e nuova, o rappresentano ancora un governo centralistico della scuola, più interessato a imporre gli stessi comportamenti piuttosto che favorire l’autonomia per perseguire gli stessi risultati.
Il medesimo profilo in uscita tra tutti gli ordini di scolarità medio-superiore sarà realmente in grado di garantire l’equità dei curricoli, oltre ad assolvere per tutti l’adempimento dell’obbligo di istruzione, compresi coloro che a causa dell’insuccesso, a cominciare dai licei, e a scendere negli altri ordini, arrivano alla formazione professionale.
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Gian Carlo Sacchi