Troverà mai, anche l’Italia, il suo Steve Jobs?
Troppa burocrazia, scarso legame del sistema istruzione con il mondo produttivo, poca meritocrazia e insufficienti finanziamenti mirati sono le cause che incoraggiano la “fuga dei cervelli”, creando una situazione dove molti dei nostri ricercatori migliori emigrano all’estero, ma vederne arrivare in patria da altri Paesi è cosa molto difficile.
Da uno stimolante scambio di riflessioni, avuto, qualche giorno fa, con il preside Gianni Zen, mi sono soffermato su alcune imperdonabili e ingiustificabili carenze di sistema nel riconoscimento dei talenti scientifici italiani. Prendiamo, ad esempio, il caso degli scienziati Pier Giorgio Perotto e Federico Faggin.
Oggi, sia l’impianto complessivo dell’istruzione italiana, sia quello dell’industria dell’innovazione tecnologica, devono, in stretta sinergia, sostenere sforzi economici, organizzativi e scientifici per non ripetere errori di strategia tecnologica, come sono stati il mancato sviluppo produttivo, negli anni Sessanta, della Perottina, o l’emigrazione intellettuale dall’Italia di un personaggio come Federico Faggin, ideatore del microprocessore Intel 4004.
Nel campo delle applicazioni tecnologiche, le innovazioni costituiscono una rottura col passato; le nuove tecnologie, infatti, operano come tecnologie killer rispetto a quelle tradizionali, rappresentando la base di nuovi paradigmi. La leadership dell’Olivetti, nella meccanica dei calcolatori e delle macchine per scrivere, aveva attenuato, negli anni Sessanta, la capacità di intuire quei deboli segnali, premonitori dell’imminente rivoluzione microelettronica che avrebbe in poco tempo trasformato il mondo dell’elettronica applicata.
Ricordo che l’ingegner Perotto realizzò, nel 1965, la “Programma 101”, meglio conosciuta come la “Perottina”: si trattava di una macchina da tavolo con stampante e tastiera incorporati, del peso complessivo di 30 Kg, che usava una scheda magnetica come ingresso e uscita, e la cosiddetta “linea magnetorestrittiva”, al posto dei nuclei ferritici, come memoria – sostituzione, quest’ultima, da ricordarsi come il simbolo di un livello scientifico di assoluta avanguardia mondiale –.
Questo prodotto informatico, precursore degli attuali pc, adottava un nuovo linguaggio di programmazione, antenato del Basic, basato su sedici istruzioni, e stampava su una striscia di carta alla velocità di 30 caratteri al secondo. Nel 1965 la Perottina fu esposta al “Bema Show” di New York, che rappresentava una delle più importanti fiere per l’innovazione tecnologica.
Il pubblico di esperti e appassionati, trovandosi di fronte al primo computer da tavolo, si entusiasmò a tal punto che ne furono venduti 44000 esemplari. Esemplificativo il fatto che alcune Perottine furono acquistate anche dalla NASA, a quel tempo impegnata con le missioni Apollo alla conquista della Luna. La Hewlett-Packard, con la sua proposta “HP-9100”, costruì solo un clone della “Perottina”, certificandone l’indiscusso primato di originalità progettuale e creando, così, i presupposti del successo informatico statunitense.
Altro esempio di miopia nel riconoscimento del talento scientifico è quello di Federico Faggin: trasferitosi proprio dall’Olivetti, che aveva abbandonato gli investimenti nel settore elettronico dei pc, alla Silicon Valley, nei primi anni ‘70 sviluppò il primo microprocessore (Intel 4004), contribuendo a una rivoluzione storica per l’informatica di quei tempi.
Oggi la necessità di imporre nuove tecnologie è collegata al riconoscimento e al consolidamento del talento scientifico, che inizia nelle aule delle nostre scuole, particolarmente nei laboratori degli istituti tecnici e professionali.
La ricerca del talento scientifico può essere conseguita in ambiente scolastico attraverso il tentativo di soluzione, da parte degli studenti, dei problemi di matematizzazione, ovvero problemi di difficile soluzione basati sulla conoscenza delle sole quattro operazioni aritmetiche.
Un esempio di queste problemi di matematizzazione, adottato nel progetto “Le nanotecnologie“, coordinato da chi scrive in collaborazione con il “National Nanotecnology Laboratory” dell’Università di Lecce, diretto dal prof. Roberto Cingolani, è riportato di seguito:
“Un treno parte da Messina. Al momento della partenza il macchinista controlla il cronometro e nota che la lancetta dei secondi è sullo zero. Dopo aver percorso 8 chilometri, il macchinista controlla di nuovo il cronometro e nota che la lancetta dei minuti copre esattamente quella delle ore. La velocità media del treno per gli 8 chilometri percorsi è di 33 Km/h . A che ora è partito il treno da Messina?”
Aldo Domenico Ficara