Tecnologie e metodologie, l’integrazione è d’obbligo
Due recenti interventi apparsi su Education 2.0 hanno messo l’accento sull’utilizzo delle tecnologie nella didattica ordinaria della scuola italiana.
Sia “Cellulari per l’apprendimento” di Daniele Pauletto (18/03/2013), sia “La sfida dei nativi digitali” di Arturo Marcello Allega (06/03/2013) vanno nella stessa direzione che in più parti ho avuto modo di evidenziare (a cominciare da “Chi paga le classi 2.0” pubblicato su “Dirigere la scuola” n. 12/2012), ma che continua a rimanere minoritaria nonostante l’evolversi tumultuoso dei tempi.
Credo che non sia più in discussione l’importanza di armonizzare nelle scuole italiane l’utilizzo della carta con quello delle tecnologie, ma sta diventando sempre più necessario avviare ragionamenti e percorsi che non taglino fuori la nostra scuola dallo svolgersi del tempo.
Il punto cruciale del percorso che stiamo vivendo è un punto che non vogliamo affrontare in forma sistematica e che sta penalizzando il nostro sistema dell’istruzione rispetto a quelli di altri paesi dell’area Ocse.
Riguarda l’utilizzo della tecnologia di proprietà dello studente o del docente in forma ordinaria nell’ambito dell’attività didattica.
Le forme persecutorie sull’utilizzo personale dei mezzi di comunicazione durante l’orario scolastico spesso sfociano nel patetico tentativo di fermare il tempo e di contrastare l’espandersi dell’uso della tecnologia nella vita sociale attraverso meccanismi di controllo che da un certo momento storico in poi non sono stati più padroneggiati neppure dalla Stasi o dal Kgb o dalla Cia.
Quello che stupisce è constatare come venga ritenuto normale utilizzare quaderni, diari o altra carta di proprietà personale, mentre venga ritenuto pericoloso organizzare una forma ordinaria di utilizzo della multimedialità di proprietà.
Per far diventare la Scuola 2.0 lo Stato dovrebbe acquistare almeno otto milioni di tablet o smartphone diventando proprietario di tecnologia di dare in comodato che dopo poco sarebbe già obsoleta.
Ritengo che la soluzione più semplice sia quella di prendere atto che i nativi digitali hanno bisogno di imparare a utilizzare il web in forma didattica e a gestire un archivio on-line.
In questo momento, infatti, la cosa che stupisce maggiormente è questo “statalismo di ritorno” che unisce docenti e studenti, per cui si ritiene che sia lo Stato a dover acquistare e distribuire tecnologie che già ognuno possiede.
Anche il ragionamento sulle disparità sociali che nascono dalla tecnologia ormai non può più avere cittadinanza, perché un soggetto che non è in grado di connettersi sempre e con facilità ha problemi di socialità non da poco, che non possono non ripercuotersi sul suo curricolo scolastico.
Il rapporto tra tecnologia e metodologia non può essere considerato come un elemento extra-curricolare o addirittura extra-scolastico, in quanto quel rapporto condiziona tutto il meccanismo degli apprendimenti.
Non siamo di fronte a semplici opzioni metodologiche, ma al tentativo implicito di ritardare l’avvento delle tecnologie nella didattica attraverso metodi repressivi inefficaci e privi di consistenza.
Invece di insegnare a utilizzare lo strumento, se ne vieta il “possesso” durante una parte della giornata, creando un’altra scissione tra la vita e la scuola.
È necessario integrare tecnologia e didattica dentro il curricolo ed evitare che il mare di carta da cui siamo sommersi si trasformi a breve in PDF illeggibili perché troppo dilatati.
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Immagine in testata di Jim Sneddon / Flickr (licenza free to share)
Stefano Stefanel