La tecnologia a scuola, perché?
Gli strumenti tecnologici: utili, certo, e già conosciuti in sistemi scolastici di altri Paesi. In Canada è partita una interessante sperimentazione con le scuole, ma sapete perchè vengono considerate un investimento in aula le lavagne elettroniche? Perché rispondono a questioni pedagogiche, docimologiche e psicologiche, cioè solo marginalmente ad esigenze diverse che avrebbero appeal da noi, come l’ urgenza di possedere dotazioni tecnologiche: mi raccontava un “viceprincipal”, di una highschool nell’ Ontario, del pulsante per ogni studente, il quale a fine spiegazione dovrà dire così se necessita che l’insegnante ripeta e chiarisca. Risulta già evidente la preoccupazione per un passaggio di informazione in aula che superi “Shannon e Weaver” ma anche l’handicap rappresentato dal rischio di pagare lo “straordinario” in termini di figuraccia, o al momento della votazione, quando al professore non sfuggirà di rammentare chi abbia rallentato la corsa verso la fine del programma. Da qui il sottotitolo: “Quando la lezione a distanza è quella senza la tecnologia”.
Ascoltare i classici e dialogare grazie alle possibilità multimediali, se lo scopo della scuola non è che gli allievi studino bensì che imparino, si dovrebbe avere il coraggio di far entrare tutti i sensi in questa attività: l’olfatto, depresso dall’aria cattiva che tira nella scuola, il gusto, per cosa si incontra, il tatto degli insegnanti per “una scuola su misura”, la vista, sul mondo, l’udito se possibile è il più trascurato. Non si sente l’ esigenza del confronto, così nessuno oggi ascolta. Che venga una ventata innovativa, si producano epistolari degni di rilevanza letteraria per e-mail, si diffonda l’uso degli audio-book, libri parlati. Trovare spazio anche per questa proposta, che va a sconvolgere i canoni dell’editoria, l’obbligo con cui si concepisce lo studio, “il senso”.
E parlare anche delle materie a scelta nelle scuole, come variante anziché come indirizzi.
Benedetta Cosmi