La tecnologia retorica e i misteri dell’educazione
Gli antichi, al contrario di certi moderni, hanno sempre considerato le argomentazioni retoriche agganciate a un pubblico e all’immaginario collettivo del pubblico. Il concetto di multimedialità e d’interazione sul pubblico e il suo immaginario, quindi, non è una scoperta del mondo contemporaneo. Allargando il discorso al mondo della scuola contemporanea, a proposito in particolare della formazione classica, ma in parte anche di quella medioevale sia occidentale che orientale, ci pare che proprio quelli che vorrebbero difenderla o proteggerla come un orto concluso o un Paradiso perduto o peggio ancora come un pozzo di S. Patrizio da cui attingere pesci miracolosi o pepite preziosissime, la uccidono senza misericordia. Infatti, in una società come la nostra, la riproposizione della retorica letteraria e non, della logica e della filosofia antica come della storia antica e medioevale, ha un senso e uno scopo se ricondotta alle esigenze del pubblico e del suo immaginario collettivo, che, pur cambiando le forme, per le necessità e le urgenze che pongono, non sono poi tanto diverse da quelle antiche.
Ovviamente le esigenze, o se si vuole, le richieste del pubblico contemporaneo scolastico, sono esigenze e richieste di una società di massa. Gli antichisti, certi antichisti, quando si parla di società di massa, storcono il naso, ma non capiscono o non vogliono capire che società di massa e scuola di massa non sono necessariamente termini di bassa qualità (Basso Impero? Tardo Antico?). Al contrario presuppongono da parte loro una riconsiderazione, direi neorinascimentale, del valore e dell’incidenza delle loro discipline, che è poi, mi sembra, il valore originario e originale di partenza, prima che esse fossero fraintese per mummificarle nel sacro e inaccessibile santuario dell’Accademia liceale.
E nel nostro Rinascimento la filologia, venendo a riconnettersi alle scienze empiriche e sperimentali per il suo intrinseco valore di scienza dell’uomo tanto teorica quanto positiva, perché alla ricerca critica delle fonti materiali del sapere, diveniva proprio essa il medium per eccellenza della ricomposizione e della ricompattazione delle scienze, di tutte le scienze sia umane che sperimentali.
Allora studiare l’antico e medioevale significa studiarlo in modo interdisciplinare e critico e di aggancio alla realtà storica successiva cronologicamente, il moderno, per legarlo a una contemporaneità che non è soltanto cronologica, ma anche e soprattutto critica.
Per l’antichistica e la medievistica occidentale, ma non per l’orientale poco nota e studiata, credo che ci sia la stasi e il rifiuto del cambiamento per le obbiettive difficoltà del settore iperatrofizzato. D’altra parte proprio in questi settori la ricerca teorica e quella didattica scontano una situazione di partenza di estrema complessità e complicazione. Si era avviata una rivisitazione del mondo classico, ma si è fermata da anni sia nelle aule universitarie che in quelle scolastiche.
Invece la medievistica bizantina, proprio perché legata più di tutte al ricordo ancestrale della propria monotematicità filologico-dogmatica, ha dovuto reinventare la propria logica disciplinare ed epistemologica per porsi all’avanguardia o, quanto meno, per porsi al passo con i tempi anche per tentare di divenire appetibile nel mercato globale della cultura.
Al contrario, in molti casi, i nostri professori di liceo sono rimasti nel solco della tradizione classica ancorata all’essenzialismo o sostanzialismo grammaticalistico-letterario, accentuando il carattere esclusivista e isolazionistico di tali discipline.
Per approfondire:
• Perelman-Olbrechts Tyteca, “Trattato dell’argomentazione”, Torino, 1989
• S. Mac Cormack, “Art and Ceremony in Late Antiquity”, Berkeley-Los Angeles-London, 1981.
Gennaro Tedesco