La scuola: luogo o non luogo?
Purtroppo anche quelli che vengono ritenuti esperti nell’architettura della scuola, persino a livello internazionale, non scampano alla globalizzazione degli stereotipi e forse anche di una certa superficialità. Nell’ennesimo seminario “internazionale” sulla scuola si è parlato di architettura scolastica. La delusione professionale e umana è stata fortissima e si è spinta anche a un esplicito moto di noia. Bisognava scomodare un seminario internazionale con personalità accademiche sicuramente note per far sapere che l’edilizia scolastica in Italia è un disastro, conoscendone perfettamente le cause e immaginandone con chiarezza anche i rimedi? Era necessario ripetere e far passare come una nuova scienza concetti lapalissiani come il fatto che negli spazi scolastici occorrano illuminazione e acustica adeguate, microclima compatibile, studi cromatici, arredi flessibili e adatti alle diverse attività? Sarebbe una novità quella della necessità di mettere finalmente al centro della progettazione di scuole l’apprendimento e la ricerca dell’allievo piuttosto che la gerarchia d’insegnamento?
Le proposte apparentemente più avanzate emerse dal seminario, accanto all’enfasi sulle nuove tecnologie digitali, sono stati gli open space per superare le aule, la compresenza di attività e di segmenti scolastici diversi negli stessi ambiti, mostrando come esempi di virtù le scuole progettate e costruite in contesti geografici ricchi, demograficamente sostenibili o quelle che in Italia appaiono piuttosto come monumenti al narcisismo di qualche architetto di turno prevalentemente incolto di cose di scuola.
Si è evidenziato, con sgomento, come l’idea architettonica della scuola dei paesi ricchi e della globalizzazione assomigli sempre di più e pericolosamente, negli spazi e nella forma esteriore, a quella dei centri commerciali!!!
Quella dell’edilizia scolastica in Italia è una vecchia storia come peraltro quella della scuola stessa che nessuna pseudo-riforma è riuscita ancora a rinnovare. La qualità delle pochissime buone pratiche cui si può attingere porta con sé sempre tre elementi: investimenti adeguati, organizzazione della didattica rivoluzionata, gestione delle scuole in mano a un unico Ente, obbligo nella progettazione di un team multidisciplinare con anni di esperienza sul campo della scuola.
Gli edifici per l’educazione debbono essere nelle città e non nelle periferie ed essere riconoscibili dentro e fuori proprio come dovrebbe essere un monumento: una chiesa, un municipio, un teatro…
Da qui la riflessione sugli architetti che non fanno tesoro dell’insegnamento della creatività e dell’amore per i luoghi importanti della nostra vita come quelli dedicati all’educazione privilegiando la funzione tecnica e le evoluzioni tecnologiche.
Altra è la connotazione umanistica dell’architettura che si contrappone a quella del funzionalismo ingenuo che elude ogni valenza di natura formale e non soddisfa nemmeno i bisogni di funzionamento, se è vero che l’esigenza di dare significato ai luoghi dell’apprendere è interamente assorbita dalle banali ma ineluttabili questioni di sicurezza. Il luogo infatti sarebbe di per sé sicuro e “protettivo” se lo si pensasse avendo chiara l’idea di scuola e l’idea di architettura insieme legate dalla voglia di costruire spazi accoglienti, inclusivi e al tempo stesso stimolanti, mai completamente “scoperti” e “spiegati” per essere ogni giorno “nuovi” a chi li abita e li usa.
È tempo di una nuova “scuola dell’arte” e di un’“arte della scuola”: questo accadrà quando la mente sarà libera da burocrazie quotidiane e pianificazioni scolastico-aziendali e si riuscirà a pensare che la “memoria” dei veri maestri del fare “poeticamente” l’architettura della scuola anch’essa ahimè divenuta preda del mercato, è la stessa del “fare scuola”.
Progettare con la storia, con l’amore per i luoghi e con quell’idea dell’imprevisto prevedibile e poetico, dell’immaginazione e della creatività è l’agire più prossimo alla relazione umana che della scuola deve essere il fondamento.
La scuola è infatti spazio fisico e intellettuale autonomo culturalmente e giammai asservibile a una efficienza meccanica: un ambito della scoperta e dell’introspezione, della comunione, del dialogo come della esigenza di solitudine e di riflessione che non è più l’aula e il corridoio ma forse la piazza e la strada, il portico e il cortile.
Oggi gli spazi si sono progressivamente chiusi all’educazione, per radicalizzare i soli significati di istruzione e formazione e rinunciare alla vera creatività, confinando il “fare arte” tra le “poetiche” e i linguaggi accessori e gli spazi al funzionalismo e al tecnicismo esasperato, come se l’aula con un computer su ogni banco trasfigurasse e sublimasse il suo valore banale di spazio fisico e “cablato” in un vero “luogo”.
Nella scuola come in qualsiasi azione presente fin dall’origine dell’uomo che si è evoluto con l’apprendimento e la relazione non sono indifferenti i segni tangibili dell’“intorno” in cui si apprende: poteva essere una foresta o una caverna, una capanna, un portico e un cortile, un chiostro, una basilica o un’abbazia: oggi può essere, altrettanto significativamente, uno spazio “nuovo” anche perché “antico” e ricolmo dei segni della storia dell’insegnare e dell’imparare a vivere.
Per approfondire:
• ADOLF LOOS (Brno 1870-Vienna 1933): Architetto austriaco protagonista dell’avanguardia artistica europea del ‘900. “Ornament un Verbrechen”, Vienna 1908: teoria per una architettura formalmente semplice ed essenziale.
• ALDO ROSSI (Milano 1931-Milano 1997): Architetto, teorico dell’architettura, docente universitario, primo “Premio Priztker” a un italiano; capostipite dell’ultima vera “corrente” architettonica italiana per la costruzione di uno stile fondato sulla storia e sulla poetica della composizione in architettura. “L’architettura della città”, Editore Marsilio, Padova 1966; “Autobiografia Scientifica”, Editore Pratiche, Parma 1990.
• PINO PARINI: Pittore, docente di Teoria della Percezione all’ISIA di Urbino, promotore e Coordinatore nazionale dei Gruppi di Didattica Operativa, collaboratore di Silvio Ceccato presso il Centro di Cibernetica e Attività Linguistiche dell’Università degli Studi di Milano, ricercatore nel settore dell’educazione e della fruizione artistica. “Dallo stereotipo alla creatività”, Artemisia Edizioni, Catania 2000.
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Le immagini, di proprietà di Giuseppe Campagnoli, illustrano il Progetto per una scuola del futuro, Concorso per “Open Architecture Network” 2009.
Giuseppe Campagnoli