Scuola e Costituzione, tra autonomie e mercato

Dopo la crisi politica d’agosto può considerarsi ormai disinnescata l’esplosiva reazione a catena che l’autonomia differenziata avrebbe provocato soprattutto nella scuola?

Diciamo che, per fortuna, le lancette del timer sono tornate indietro, tanto da poter ora affrontare il tema con maggiore ponderatezza e con tutto il realismo costituzionale necessario.

Ecco allora che Scuola e Costituzione, tra autonomie e mercato della costituzionalista Roberta Calvano, pubblicato alla vigilia dell’esplosione e che suonava come un ultimo disperato allarme, assume i contorni dell’analisi approfondita sul tema dell’attuazione dell’art. 116 della Costituzione, che prevede di attribuire alle Regioni interessate “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” complessivamente in 23 materie.

E, com’è noto, le Regioni Lombardia e Veneto, con un referendum consultivo alle spalle, e l’Emilia Romagna, con diverso percorso, hanno avviato da tempo l’iter previsto per un’estensione dei poteri regionali in molti settori, inclusa l’istruzione, a normativa costituzionale invariata, reclamando la riduzione della quota dei trasferimenti allo Stato delle entrate tributarie riferite ai settori decentrati, con l’inevitabile conseguenza di una diminuzione della distribuzione della ricchezza su base nazionale.

Il libro della Calvano parte dalla considerazione che il nesso tra istruzione e welfare sia per molti versi fuorviante e che, se assunto in toto, porti a dirottare il diritto all’istruzione su un binario, come dire, solo per treni merci. Infatti la compressione dei diritti sociali rischia di procedere in maniera proporzionale alla contrazione delle risorse finanziarie impegnate, senza considerare debitamente che per i temi dell’istruzione e della sanità prioritari sono i livelli essenziali delle prestazioni e la qualità dei servizi erogati ai cittadini. In capo allo Stato deve rimanere la garanzia di unità del sistema tramite la fissazione delle norme generali in tema di istruzione e la tutela dei diritti fondamentali, senza le quali gli squilibri educativi territoriali già purtroppo presenti verrebbero ulteriormente approfonditi.

La Calvano richiama a tal proposito la sentenza della Corte Costituzionale n. 309 del 2010 in cui è precisato che «l’obbligo di istruzione appartiene a quella categoria di ‘disposizioni’ statali che definiscono la struttura portante del sistema nazionale di istruzione e che richiedono di essere applicate in modo necessariamente unitario e uniforme in tutto il territorio nazionale, assicurando, mediante una offerta formativa omogenea, la sostanziale parità di trattamento tra gli utenti che usufruiscono del servizio di istruzione».

Le norme contenute negli articoli 33 e 34 hanno dimostrato una valenza che è andata ben oltre la rotta scolastica indicata nei primi decenni della Repubblica e il sistema educativo ha saputo ampliare le proprie connotazioni sia in tema di diritto all’istruzione che in tema di obbligo all’istruzione, con l’estensione ai minori stranieri presenti nel territorio nazionale e con la ridefinizione, operata dal decreto legislativo n 76/ 2005, del diritto-dovere “ per almeno dodici anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età.”

Il libro della Calvano pone anche l’accento sull’intreccio delle competenze che, dopo il 2001, ha ridisegnato in parte il sistema educativo del nostro Paese: oltre ai principi e ai diritti fondamentali previsti negli artt. 33 e 34, ci sono le “norme generali sull’istruzione” riservate, come detto, alla competenza esclusiva statale dall’art. 117, dato che il mosaico del sistema nazionale di istruzione e formazione è ripartito tra la potestà legislativa esclusiva dello Stato, relativamente, appunto. alle norme generali sull’istruzione, la potestà legislativa esclusiva delle Regioni, relativamente all’istruzione e formazione professionale, e la potestà legislativa concorrente di Stato e Regioni, quest’ultima potestà definisce una competenza a legiferare dello Stato e delle Regioni con diversa intensità. Un rafforzamento dei poteri organizzativi in capo alle Regioni interessate, fino, ad esempio, alla competenza sullo stato giuridico ed economico del personale della scuola, ridurrebbe l’intervento dello Stato a quello di configurare una semplice cornice di disposizioni per un quadro regionale sulle tematiche educative.

Nell’orizzonte di regionalismo asimmetrico che si riproporrà inevitabilmente (e diversamente?) in questa legislatura c’è una concreta asimmetria dei diritti perché l’invocato principio di proporzionalità del finanziamento dei servizi di ciascuna delle tre Regioni al rispettivo gettito fiscale rischia di provocare, come conseguenza difficilmente evitabile, il disallineamento dei livelli essenziali delle prestazioni in tutto il territorio nazionale. Un vulnus costituzionale all’omogeneità delle prestazioni tra Regioni abbienti e Regioni meno abbienti e all’eguaglianza dei diritti sul territorio che può determinare una frattura di sistema, che le eventuali garanzie di perequazione non potranno ricomporre. Infatti per la perequazione nei confronti delle altre Regioni, venendo meno i relativi trasferimenti delle tre Regioni con maggiore capacità contributiva e che generano da sole il 40% del PIL italiano, è difficile ipotizzare una solidarietà suppletiva dello Stato, considerato che la spesa per l’istruzione in Italia è tra le più basse d’Europa, un punto percentuale sotto la Spagna e due sotto il Portogallo.

Parafrasando Orwell potremmo dover dire “Tutte le scuole sono uguali, ma alcune scuole sono più uguali delle altre”!

Infine il libro tratta ampiamente del nesso fondamentale tra istruzione e cittadinanza, credo che tale tema debba essere debitamente esplorato, dalla primaria alle superiori, nel contesto del nuovo insegnamento trasversale di educazione civica che decollerà nel prossimo anno scolastico, perché è senza dubbio l’occasione per accendere un faro sulla funzione della scuola e sui diritti di cittadinanza, mi viene da dire in maniera non scolastica, ma con la viva consapevolezza dei valori democratici del nostro contesto sociale e culturale.

Giuseppe Fiori