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Preliminari a un paradigma per Education 2.0

Pubblicato il: 10/06/2010 20:33:48 -


Cosa vuole esattamente Education 2.0? Quali obiettivi intende perseguire che costituiscano novità rispetto alla precedente education? È sufficiente sostenere che la nuova prospettiva mira a riprendere il discorso del fare scuola e istruzione a partire dal basso senza mettere in discussione le prassi precedentemente usate e che in gran misura si riprenderanno nella prospettiva perorata, sia per gli aspetti positivi che gli aspetti ripetitivi?
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Forse non è possibile fuoriuscire dalle didattiche replicanti e preformate senza mettere in crisi il paradigma che li rende possibili e che tendenzialmente è di durata imperitura. In ogni caso, la didattica dei contesti operativi che partano dal basso hanno bisogno di mostrare alcune coerenze. Prima di tutto devono significare qualcosa di diverso dal solo fatto che siano gli insegnanti e le scuole a fare didattica. Perché in tale dominio di azione si giustificano tante creatività ma anche tantissime banalità di metodo.

Partire dal basso può implicare, invece, una prospettiva rivoluzionaria: quella della didattica enattiva derivata da Francisco Varela. Cosa è, in cosa consiste? Diciamo subito che alcune esperienze presentate al Convegno del 23 aprile 2010, per quello che ho potuto comprendere a distanza, avevano le caratteristiche della didattica enattiva e vareliana: una produzione localmente specificata e costruita in stretto legame con gli alunni, oltre che tra docenti: la fenomenologia dell’accoppiamento strutturale. Ma la didattica enattiva è a fondazione etica: da essa si parte e a essa si ritorna. Insomma dimostrando che quella didattica, oltre a produrre magnifici ripetitori di nozioni o di iperattivismi di maniera, ha sortito qualche cambiamento nel sistema di costruzione personale nell’orizzonte dei vincoli etici. Non tener conto di questo partire dal basso significa razzolare per le aie dei cortili delle mere nozioni, invece che far sognare progetti di vita e di esistenza in cui a guidare siano non solo saperi interiorizzati, ma le competenze umane formate da quei saperi.

Esiste un modo per dimostrare che questa prospettiva di reale partire dal basso sia possibile? Esiste. Ma occorrono occhi e orecchi per vedere e sentire. E qui è come urlare al vento. Tanto è più forte il sistema delle precognizioni che fa “sfondo”, nel senso di Searle, anche alle prassi che si presentano con i caratteri dell’innovazione.

Innovare ha senso però se si recupera una dimensione essenziale, strutturante, che si è indebitamente trascurata; altrimenti innovare riguarderà aspetti formali o di superficie. Esiste un interesse a parlare di queste cose? Se c’è qualcuno, batta un colpo. Si faccia promotore di iniziative che pongano al centro la questione etica, di una didattica solo strumentalmente disciplinare, ma che solo attraverso le discipline sia capace di determinare cambiamenti nell’etica personale. Qui c’è da lavorare molto e l’esercito degli insegnanti viziati senza più saperlo dall’ideologia si guarderà bene dal provarlo.

Quello che non si capisce è perché persone che amano molto la scuola e che spendono tante risorse si lasciano trascinare sempre sui sentieri delle didattiche tecnologicamente affascinanti ma formativamente dubbie o insufficienti. O, almeno, non si hanno verifiche sull’andamento formativo secondo quanto previsto da quelle finalità che sono sistematicamente ignorate. C’è qualcuno che possa mostrare l’infondatezza di tali asserzioni. Se c’è, batta un colpo.

O, almeno, possiamo provare a stendere una scaletta dei punti o dei passaggi che una educazione che parta dal basso non possa evitare, rispetto all’altra educazione nelle cui prassi ci si è dimenticato dell’asse portante di ogni educazione: la dimensione etica e quanto ciò implica proprio nella definizione di quei passaggi?

Fortunato Aprile

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