Per una pedagogia interculturale

I pedagogisti interculturali osservano attentamente la diversità e la avvistano non quale barriera da eliminare, bensì quale risorsa da utilizzare al meglio. Salpando, da un pluralismo etnico si dovrebbe arrivare a raggiungere il principio estremo della pedagogia interculturale, ovvero quello dell’accoglienza del minore straniero, sia nella famiglia sia nella scuola. Studiare le differenze tra i vari modi di vivere significa promuovere una multimodalità cognitiva, utile a eludere l’uso di stereotipi culturali, in un’ottica di decentramento etnico.

L’accoglienza di un minore di un’altra nazionalità, deve essere una ricerca autentica di se stessi negli altri; per tale congettura sia la famiglia sia la scuola hanno l’obbligo inevitabilmente di cronometrarsi con cosiffatta fenomenologia, per raccoglierne la presa concreta, attraverso l’agnizione dell’alterità.

Tutto ciò presuppone che i docenti predispongano adeguatamente se stessi e la classe al confronto, all’attenzione e al rispetto degli altri, attraverso due strumenti significativi: il gioco e la fiaba. La fiaba si offre quale strumento ideale, nell’ambito della didattica interculturale; attraverso di essa i bambini acquisiscono graduali notizie circa la realtà che è fuori, percorrendo presumibilmente viottoli di sbigottimenti, di illusioni e apparenze, che ciò nonostante li rinforzeranno, nel controllo delle valenze ansiogene. Cosiffatti elementi antropologici sono nondimeno comuni a tutte le culture e ciò rinforza, considerevolmente, il ruolo dell’educatore. Si possono immaginare forme di animazione, congiunte al racconto, che non rincorrono uno schizzo predisposto, ma cedono spazio alla fantasticheria e alla creatività dei bambini. È necessario puntare su progetti cooperativi, nei quali implicare tutte le componenti della comunità educativa: gli operatori scolastici, i sindacati, le associazioni familiari e gli altri interlocutori associativi, che congiuntamente hanno l’obbligo di adottare politiche di apertura, per far sì che la pedagogia interculturale non diventi una pedagogia a benevolenza dei rifiutati, ma un suggerimento scientifico, efficace allo sviluppo di un’identità integrata.

Maria Anna Formisano