La passione di Borsellino
“Sono diventato giudice perché nutrivo grandissima passione per il diritto civile ed entrai in magistratura con l’idea di diventare un civilista, dedito alle ricerche giuridiche e sollevato dalla necessità di inseguire i compensi dei clienti. La magistratura mi appariva la carriera per me più percorribile per dare sfogo al mio desiderio di ricerca giuridica non appagabile con la carriera universitaria per la quale occorrevano tempo e santi in paradiso”. Questo è un estratto di una lettera che Paolo Borsellino scrisse in risposta a una professoressa che lo invitò a Marsala per un dibattito.
Mi vorrei soffermare su quel passaggio perché forse ci aiuta a denunciare con forza quanto anche la non mafia tarpa le ali, chiude le bocche, spegne i sogni, uccide istituzioni.
Certamente per certi versi una Università così “generosa” che rinuncia a cuor leggero ad appassionati suoi laureati, poi regala eroi a molti altri settori; in questo caso a una lotta faticosa e lunga come quella dei giudici Falcone e Borsellino. Quindi anche la miopia del sistema concorsuale accademico ha il vantaggio, quello di non approfittare del diritto di prelazione sulle eccellenze. Ma quanto dolore nel leggere “mi appariva la carriera per me più percorribile per dare sfogo al mio desiderio di ricerca giuridica non appagabile con la carriera universitaria per la quale occorrevano tempo e santi in paradiso”.
Ecco individuati i torti: lo spropositato “tempo” di attesa e assenza di responsabilità in cui si versa nelle fasi di resistenza nel percorso verso la carriera universitaria. Quanti “porta valori” si perdono per strada? Parlo di quante persone “giuste”? E così chi sarebbe il più adatto a governare gli ambienti accademici con i propri ideali è proprio il primo che è costretto per non rinunciare alla propria integrità a rivolgersi altrove, a “voltare le spalle”?
Si legge in un intervento di un cittadino indignato riportato in questi giorni dal vice direttore del Corriere della Sera Giangiacomo Schiavi: “Chi è arrivato in alto con gli intrallazzi, può avere soprassalti morali?”.
Se la regola è che i concorsi per lo più si vincono per “nomina”… tanto varrebbe ufficializzare la pratica; del resto non si sono mai visti incarichi di alta dirigenza pure nei settori pubblici con concorsoni: Presidenza Rai, Direttori Generali Poste, Ferrovie, Telecom ecc. Viene il dubbio che più agli incarichi si riconosca peso specifico e più ci si allontana dal rischio che criteri insensibili al merito, alle competenze, come quelli dei concorsi determinino le scelte. E io invece sui docenti voglio crederci, voglio puntarci, voglio pensarli come quelli che più di tutti hanno il polso del Paese, sulle risorse umane del futuro e sui valori e i saperi con cui far venire su il domani.
Quindi? Se un concorso nasce per mettere tutti alla pari ma non c’è una sola persona che non ammetterebbe che per vincerne uno servono “santi in paradiso”… quale ingiustizia atroce si sta perseguendo?
Invece, inizia ad attribuire come punteggi ai docenti quegli stessi che reputi utili per valutare lo studente: cosa fa nel tempo libero? Guarda film, legge classici, ascolta Tchaickovsky, fa escursioni, compone musica. Scrive articoli? Saggi? Un libro di esercizio di matematica, o problemi di logica? Partecipa a dibattiti? I suoi ex studenti cosa fanno ora?
Esagerato… non aver mai preso in considerazione che far arrivare in cattedra persone dopo così tanti anni significa forse selezionare coloro che per un motivo o per l’altro non hanno saputo fare altrove? Magari persone che ci hanno messo secoli a fare punteggio e forse a questo punto era il caso di ammettere tutti che neppure erano tagliati per la professione, che se fin qui non ce l’hanno fatta non è giusto che solo per il merito di avanzare con gli anni approdino; senza sogni, senza la possibilità di essere di esempio per giovani che vorrebbero vedere persone soddisfatte e persino che se la tirino, che si sentano “fighi” con un libro in mano, che propongano cioè un modello da seguire, da osservare per lo meno. Da quanto tempo i nostri docenti non vanno in una biblioteca? A un concerto di musica classica?
Ecco pretendiamo queste frequentazioni. Altrimenti non stupiamoci neppure troppo se i giovani scelgono altro. Non è la distanza tra il gergo antico e quello giovanile oggi che fa danni a scuola, ma il fatto che sembra in declino e senza ancoraggio la mission. I docenti che hanno passioni, hanno ancora molto da darci. E sono tantissimi, alcuni già mi mancano; perché la società non è pronta a un passaggio ulteriore: certi insegnanti vorresti poterli ascoltare anche fuori dalle mura, anche fuori dal coro.
Per approfondire:
• La lettera completa che Paolo Borsellino scrisse a una insegnante nel giorno del suo assassinio
Benedetta Cosmi