Parliamo di Socrate…

Socrate, figlio dello scultore Sofronisco e della levatrice Fenarete, visse ad Atene nella II metà del V secolo a.C. e aveva preso in moglie Santippe, donna buona e onesta ma oltremodo brontolona e petulante.

Il suo precipuo interesse era la filosofia, ma non quella che indagava la natura, bensì quella che aveva come oggetto di ricerca e speculazione l’uomo.

Egli sosteneva che la verità si trovasse dentro ogni essere umano e che il compito del filosofo, la sua missione, fosse esclusivamente quella di aiutare, ponendo continue e incalzanti domande, ognuno dei suoi concittadini e tirar fuori, a “partorire” la verità nascosta dentro di sé: con molta arguzia sosteneva quindi di esercitare la stessa arte di sua madre, quella della “maieutica”!

Come tutti i filosofi era distratto e aveva la testa tra le nuvole: il primo a sostenerlo in un suo dramma fu il suo concittadino e contemporaneo Aristofane che nella commedia “Le nuvole” rappresenta causticamente Socrate intento a volteggiare, sospeso nel cielo, tra le nubi.

Questa sua distrazione e la sua abitudine di andare in giro per la piazza principale di Atene a fare domande a destra e a manca, (“agoràzein” corrisponde al nostro “andare a spasso, a zonzo”), era motivo di continuo rimprovero da parte della moglie Santippe, che gli rinfacciava anche il fatto che per i suoi insegnamenti Socrate, a differenza dei Sofisti, non si facesse pagare dai suoi discepoli, costringendo la sua famiglia a vivere quasi nell’indigenza.

Seguiamo Socrate in una sua tipica giornata di “lavoro”: si alza presto, svegliato dagli strilli di Socrate junior, l’ultimo nato della nidiata e dal continuo brontolio di Santippe; si lava in modo molto approssimativo: a lui interessa la pulizia dell’animo, non quella del corpo!

Dopo aver fatto una sobria colazione, cerca di uscire, sgattaiolando per la porta secondaria, ma viene “placcato” da Santippe che lo apostrofa minacciosa:

“E dove credi di andare, Socrate, con quella tunica sporca, sgualcita e infrittellata? Le donne di Atene penseranno che io, tua moglie, sia molto trascurata e pigra, lasciandoti andare in giro così conciato! Se vuoi uscire, devi prima cambiarti: ecco una tunica lavata e stirata: mi raccomando, non sporcartela subito, come al tuo solito…”.

Socrate, remissivo e paziente, risponde: “Va bene cara, mi cambio subito, ma tu per favore non urlare!”.

Santippe: “…e ricorda che stasera viene a cena da noi mia madre, perciò arriva puntuale, sei sempre in ritardo! E non dimenticare di lavarti i piedi e le mani prima di sederti a tavola con noi…”.

Socrate: “D’accordo, mia cara, me ne ricorderò! Posso andare ora?”.

Santippe: “… e non dimenticare di farti pagare da quel tuo allievo ricco, come si chiama, Cretino… Cretone… non vedi come siamo ridotti? Non porti a casa una dracma bucata e se non fosse per me che vado di qua e di là a fare servizi alle ricche ateniesi, i tuoi figli morirebbero di fame…”.

Socrate: “Si chiama Critone… mai e poi mai mi farei pagare da lui o da qualunque altro mio discepolo… Chaire, Xantippe!”.

Detto questo, esce in tutta fretta, evitando per un pelo il mattarello che la moglie, inviperita, gli lancia dietro!

E così, contento e spensierato, se ne va in giro per Atene ad “agoràzein”, a chiacchierare con questo e con quello, a fare continue, imbarazzanti domante a quello e a questo…

A un certo punto vede all’angolo della piazza il venditore ambulante di pesce in salamoia e s’avvicina, guardando golosamente le sardelle che galleggiano invitanti nell’orcio… il pescivendolo lo invita: “Suvvia, Socrate! Assaggia le mie sarde… dimmi se sono abbastanza salate!”. E così Socrate tuffa le dita nell’olio, pesca due sardelle succulente e se le ficca in bocca, masticando gioiosamente a bocca aperta… poi senza pensarci si pulisce le dita unte sulla tunica!

Tra chiacchiere e assaggini passa la giornata e il sole sta per tramontare: Socrate passeggia guardando su nel cielo: Espero, la prima stella della sera si è accesa e gli ricorda che la cena lo attende… ma chi guarda in cielo spesso non vede dove mette i piedi e così il nostro filosofo finisce in una pozzanghera e s’imbratta il lembo inferiore della tunica, i sandali, i piedi… e cercando di rimediare… si infanga anche le mani…

Gli viene incontro Critone, quello che Santippe sua moglie chiama Cretino, e…

Critone: “Che fai ancora in giro, o Socrate? Si fa sera, e tu sarai affamato… vieni a cena da me: ho fatto preparare un succulento banchetto e Aspasia, l’etèra [1] più bella di Atene, ci allieterà col suo canto e danzerà per noi…

Socrate, accarezzandosi il mento (e sporcandosi anche quello!), incomincia a pensare che cosa gli convenga fare:

1. Affrettarsi a tornare a casa (è già molto in ritardo per la cena, la moglie e la suocera saranno furiose…), quindi accettare di buon grado i rimbrotti sacrosanti per la tunica unta e infangata, i piedi, le mani, il viso sporchi, ed, esercitando la divina arte della pazienza, mangiare tra gli strilli dei bambini e le urla della suocera e della moglie, coalizzate contro di lui;

2. Accettare il gentile invito di Critone, cenare con lui, parlando beatamente di massimi sistemi, allietato dal canto e dalla danza di Aspasia, che non è avara delle sue grazie, cosicché la serata potrebbe avere anche una gradevole, imprevedibile conclusione…

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[1] Le etère nell’antica Grecia erano come le nostre “escort”, o anche come le geishe giapponesi!

M. Antonella Perrotta