L’occasione mancante

Il dibattito sulla riforma del secondo ciclo dell’istruzione stenta a decollare e per il momento determina delle sacche di contestazione su singole situazioni (gli Iti che perdono il Liceo tecnologico, alcune sovrapposizioni tra Iti e Ipsia ecc.). Credo che in autunno riesploderà la contestazione, allorché sarà chiaro a tutti in che modo le modifiche andranno a regime.

La proliferazione di sperimentazioni, piani, corsi ecc. che aveva frantumato il sistema dell’istruzione secondaria di secondo grado determinando una sorta di polverizzazione degli indirizzi ha creato tante piccole o grandi enclave che diranno la loro nel momento in cui verranno toccate. La ricaduta sulle classi di concorso, sugli indirizzi e sulla consistenza numerica soprattutto degli Ipsia troverà in autunno uno spazio di dibattito destinato a espandersi con l’avvicinarsi del momento in cui le scuole dovranno presentare la propria offerta formativa agli alunni delle classi terze della scuola secondaria di 1° grado.

Dire oggi nello specifico se la riforma del secondo ciclo sarà migliorativa sembra piuttosto difficile, anche se una certa razionalizzazione nei percorsi e negli indirizzi non credo porterà a una situazione più problematica di quella attuale, visto che l’aumento della professionalizzazione del ciclo secondario non comporta anche una sistematicità comprovata degli sbocchi lavorativi.

Credo che con questa riforma si perda però l’occasione per riformare il sistema dell’istruzione in modo da renderlo più simile possibile ai sistemi di istruzione europei più efficienti. La questione che questa riforma non affronta è quello della didattica del secondo ciclo e del rapporto quasi tutti di tipo seriale con gli apprendimenti. I sistemi scolastici più efficienti prevedono, quasi sempre, a partire dai 15 anni un sistema scolastico in cui l’apprendimento venga valutato e certificato modulo per modulo, costituendo così un credito certificato e non più perdibile in funzione della validazione dell’anno scolastico o del percorso formativo o professionalizzante. Concentrandosi solo sugli indirizzi e sui quadri orari anche questa riforma continua a dare per scontato che gli alunni si siedano sui banchi per 27 o 30 o più ore alla settimana e che vadano avanti con lo stesso orario settimanale per tutto l’anno o quasi e rimangano ancorati al sistema spiegazione-verifica-valutazione, che alla fine testa e valuta prodotti e non processi.

Se è fondamentale certificare le competenze sarebbe anche necessario avere una parte consistente del curricolo definito attraverso moduli validati, come avviene all’Università. Si tratta insomma di rendere la secondaria di secondo grado un luogo di formazione e scelta, in cui la valutazione non sia rigorosa perché applica la media matematica, ma sia rigorosa perché riesce a certificare il reale percorso di apprendimento dello studente.

L’accanimento a ridefinire gli ordinamenti non tiene conto che nei Licei o negli Iti la scelta viene fatta per sezione, mentre sarebbe più logico che un alunno potesse seguire oltre a corsi base anche corsi modulari orientativi per i percorsi universitari o certificanti specifiche competenze e specifiche predisposizioni e affinità. Negli Ipsia questa credo sarebbe l’unica strada per non avere percorsi di apprendimento professionalizzanti che non riescono a professionalizzare e percorsi di apprendimento in cui è difficile scorgere la competenza e la specializzazione.

I ragazzi dai 15 ai 20 anni sono troppo adulti per venir costretti dentro una modalità di apprendimento propria dell’inizio del secolo scorso, ma che nessuno è mai riuscito a modificare. La lezione frontale o laboratoriale che non produce apprendimento certificato è un lusso del passato che non possiamo più permetterci.

Questa riforma era l’occasione per intervenire in questo delicato snodo, ma mi sembra che nessuna voce indirizzi in tal senso. Si sprecherà un’altra occasione e si permetterà a tutte le rivendicazioni localiste e consolidate di fare la propria resistenza, indipendentemente dall’esito reale di quel processo di apprendimento.

Stefano Stefanel