Io scelgo? Come? La situazione attuale dell’orientamento scolastico
La complessità odierna è determinata dalla ricorrente variabilità delle situazioni. È difficile elencare le ragioni di tale complessità, alcune sono a sfondo generale e sono quelle che devono essere comprese da chi si occupa di formazione e orientamento alla scelta:
• l’aumento delle acquisizioni di nozioni richieste al singolo;
• la strategia dei modi di impiego delle conoscenze possedute;
• la diminuzione dell’impiego fermo;
• il cambiamento frequente delle cariche attive;
• la competizione a livello europeo;
• l’importanza di confronto sempre più richiesta con culture diverse.
Fra i suddetti punti elencati, agli studenti interessa solo sapere qual è la richiesta, da parte del mercato del lavoro, di personale che il territorio richiede e di cui ha bisogno per ricoprire attività emergenti nuove.
Si profila quindi una complessa situazione sociale che da una parte richiede alla scuola un innalzamento della qualità dell’istruzione per evitare lo spreco delle intelligenze, cosa che si verifica dal momento in cui da parte di un’istituzione non vi è il giusto riconoscimento per valorizzare le menti; dall’altra emerge il bisogno di saper curare la formazione delle nuove generazioni e orientarle, senza perdere d’occhio i problemi derivanti dal cambiamento delle sollecitazioni esterne. Ma anche se sappiamo come sia importante saper fare un buon orientamento, l’atteggiamento dell’istituzione scolastica a tutt’oggi non è cambiato di molto.
“Purtroppo, anche le statistiche mettono in luce la non perfetta efficienza della scuola pubblica e quello che più preoccupa è che, passando dalle elementari alle medie e quindi alle superiori, sul piano degli apprendimenti, i risultati, sia qualitativi che quantitativi, decrescono vistosamente” (dal catalogo Simone per la scuola).
È chiaro che da quanto emerge dai dati INVALSI le conoscenze e le competenze degli alunni sono inadeguate, sia se confrontate agli obiettivi fissati dai programmi, sia se confrontate con quelli che hanno ottenuto gli alunni, di pari livello d’istruzione, degli altri Paesi europei, e non solo. Le statistiche mettono in luce le pecche di una scuola incapace di orientare i giovani che devono saper scegliere e che rappresentano il nostro futuro. Si parla sempre più d’altro e non di cose vere, si fa della realtà una realtà virtuale.
Con l’alternanza scuola -lavoro si è cercato di orientare i ragazzi delle professionali verso un modello condiviso (da tutti gli istituti professionali) che ha il compito di far conoscere il complesso rapporto che si realizza tra tre grandi operatori:
• le famiglie che forniscono al sistema delle aziende persone con diversi profili formativi, dopo che queste hanno trascorso un periodo all’interno della struttura di formazione;
• la struttura di formazione, costituita da una galassia di enti e istituti, sparsi sul territorio, che offrono una molteplicità di corsi aventi differenti finalità e contenuti; attraverso detti corsi gli utenti possono giocare un ruolo sul mercato del lavoro;
• le imprese, o l’insieme delle unità produttive da cui scaturisce il reddito nazionale.
Ma dopo lo stage? Lo stage, che da un primo bilancio risulta uno dei canali migliori per trovare occupazione, serve per completare la formazione e avvicinare i giovani alle aziende. Ogni anno in Italia vengono attivati 300mila stage. Sono rare e parziali le ricerche e poiché si sa poco della percentuale degli stage che si trasformano in lavoro l’Isfol si è attivata per avviare un sondaggio a tal proposito.
E per i ragazzi che vanno al liceo? Cosa sarà del loro futuro? Perché sempre più studenti scelgono un percorso liceale che professionale? Chi orienta, come orienta? Con quali strumenti e metodi?
Quello che può sembrare il titolo di un reportage scontato in realtà nasconde uno spaccato di realtà scolastica italiana preoccupante e per niente incoraggiante che dovrebbe animare gli orientatori che operano nelle scuole secondarie di secondo grado in sinergia con il mondo universitario e gli enti locali. Sappiamo tutti che la metamorfosi del lavoro se da una parte ha generato buoni e utili cambiamenti, dall’altra, tuttavia, ha generato anche “insicurezza, percorsi professionali atipici non sempre certi” e una gran disponibilità a svolgere lavori che non competono o che altri colleghi non vogliono fare; in molti casi accade che si fanno esperienze lavorative “solo riempitive del proprio curriculum” senza alcuna utilità sul piano personale e professionale (si veda “Signore e Signori va di scena il precariato: nuove emergenze cliniche”).
Una situazione difficile quella italiana, in tema di occupazione e lavoro, fatta di contratti che scadono, occupazioni provvisorie, scarso riconoscimento di meriti, perdita di motivazione, difficoltà a programmare il futuro.
Emergenza lavoro, numeri, statistiche, indagini di mercato su cosa accade e accadrà sono i temi che occupano la maggior parte dello spazio-informazione di Anna Lucia Lombardo sull’orientamento scolastico professionale.
Si può intuire perché i ragazzi, quando raggiungono l’età della ragione, cominciano a mettere seriamente in discussione l’utilità della scuola: “non serve a nulla”, “il latino è una lingua morta”, “la matematica non aiuta a capire come va il mondo”, “la storia è troppo passata”.
La scuola, in particolare quella dell’obbligo, dovrebbe contribuire a formare ragazzi in condizione di affrontare la vita adulta, come cittadini, lavoratori, persone responsabili. Ma chi esce da tredici o diciassette anni di studi, possiede queste caratteristiche? È in grado di svolgere una professione? Ha tutti gli strumenti necessari per scegliere? La risposta spesso è negativa, ma risolvere il problema non è affatto semplice.
Americani ed europei, per esempio, litigano da decenni su quale modello universitario sia migliore. “Da noi – sostengono negli Stati Uniti – un laureato è pronto per trovare un lavoro, in Europa invece no”. “È vero – è la replica –, ma uno studente americano conosce solo la sua materia e per il resto…”.
Insomma nessuno è perfetto. Mentre dappertutto si discute, il problema si aggrava. La disaffezione nei confronti della scuola, considerata non all’altezza del suo compito, cresce a dismisura e i danni si cominciano a vedere, a partire da regioni ricche del Nord dove un numero sempre maggiore di adolescenti abbandona gli studi per andare a lavorare in fabbrica.
Forse i ragazzi ci anticipano, loro che il mondo lo conoscono, preferiscono un “uovo” oggi, (il lavoro) che una “gallina” domani.
Maria Pia Ester d’Angelo