In ricordo di Matilde Vicentini
Cara Matilde,
mi dispiace, per di più in questo ultimo periodo, che ci siamo sentite e viste meno, ma le mie visite a casa tua sono state per tanto tempo l’occasione per parlarsi, anche se tu a poco a poco sei diventata sempre più distante dal mondo intorno a te, ma lucida e attenta, solo disinteressata. E ora?
Ho cominciato a frequentarti nel ’78, ’79 in occasione di un fantastico corso di aggiornamento sulla termodinamica: frequentarti, o meglio frequentarvi, perché salendo al secondo piano dell’edificio nuovo di fisica ( mi sembra che in realtà si chiami edificio Enrico Fermi, ma per me resta l’Edificio nuovo) si entrava in contatto con il gruppo del Laboratorio di didattica delle scienze ove oltre alle competenze scientifiche, ma erano rappresentate anche quelle degli psicologi e dei pedagogisti; collaboravano tutti e si organizzavano in corsi di aggiornamento per gli insegnanti in vari campi, dai vulcani alla genetica, dalla chimica alla zoologia. Questo era uno spazio che avete inventato tu e Giulio Cortini, per la fisica, in particolare per la termodinamica, e Franco Duprè per i fenomeni elettrici. Di questo laboratorio facevano parte insegnanti di scuola che venivano distaccati per tre anni al laboratorio e che in quegli anni partecipavano alla ricerca didattica, organizzavano corsi d’aggiornamento insieme a voi docenti universitari. L’Accademia, legata ancora all’equazione una bella lezione = buon apprendimento, ha guardato con una certa sufficienza a questo vostro tentativo. Per me è stato lo spalancarsi di un mondo. Hai cominciato a coinvolgermi con le rappresentazioni mentali, un vero punto di partenza per riorganizzare il lavoro didattico. Partire considerando che la persona che hai di fronte non è tabula rasa ma usa già le parole ‘scientifiche’ nella sua vita quotidiana, quindi in contesti diversi che condizionano il significato che si attribuisce alle parole forza, lavoro; solo arrivando all’esplicitazione dei significati sottintesi si può arrivare a utilizzare correttamente le parole già note nel nuovo contesto.
Poi lavorammo sulle mappe concettuali: a partire da alcune parole chiave, si individuano nessi e legami che si connettono con altri concetti. Mappe faticose da costruire ma estremamente utili per introdurre un nuovo concetto e poi per ritornare successivamente sull’argomento già svolto. Queste mappe servono a darti la sensazione del punto in cui hai portato la classe, capire se hai costruito correttamente la rete concettuale intorno al nuovo soggetto.
Da ultimo ricordo gli esperimenti ‘mostrativi’ che sono stati un momento di grande presa per i discenti: mi ricordo alla SSIS, quando eseguivi le tue provocazioni, gli studenti erano attentissimi e molto coinvolti. Arrivavi in aula e proponevi una situazione, un fenomeno e chiedevi ai presenti di spiegare quello che vedevano, di azzardare ipotesi, di discutere collettivamente; le sue proposte più note sono state le ombre colorate, gli ovetti Kinder, il cucchiaio immerso nella bacinella sulla bilancia e tante altre. In tutti i casi l’effetto sull’uditorio era l’attenzione catturata e la voglia di mettersi in gioco.
Questo mi è rimasto del tuo insegnamento: la fisica non è qualcosa di estraneo alla nostra vita ma qualcosa che serve per capire. Il tuo lavoro è stato molto apprezzato anche all’estero con i tanti inviti a convegni e collaborazioni con i grandi della didattica delle scienze.