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Il debate come strumento civile di discussione

Pubblicato il: 17/02/2017 14:48:09 -


Massimo Tommolillo, formatore in materie manageriali e psicosociali adesso in pensione, ci racconta come è nato il suo interesse per la disciplina del debate, un interesse così profondo che lo ha portato a scrivere sull’argomento il libro “L'arte di (con)vincere senza urlare: Il Debate come judo dell'intelletto”.
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Alla fine del 2016 ho pubblicato, grazie ad una nota azienda di commercio, un libro sulla disciplina del debate che è poco praticato nelle scuole italiane ma che in altri paesi – principalmente in quelli di lingua inglese – è fulcro di attività scolastica ed oggetto di veri e propri campionati studenteschi.

Se il libro ha visto la luce è grazie per merito, o forse responsabilità, di Paolo Vergnani, un caro amico che oltre a convincermi a scriverlo, ha provato con me alcune delle sperimentazioni pratiche che mi hanno convinto delle potenzialità di tale disciplina sia nel mondo scolastico sia in quello lavorativo.

Ma partiamo dall’inizio….

Tempo addietro mi chiesero se sapessi qualcosa in merito al “debate” ed io, confessando la mia totale ignoranza, promisi che mi sarei documentato.

Come ormai è consuetudine per molti, il mio primo istinto fu quello di rivolgermi a Google: la bussola, il portolano, la stella cometa dei nostri giorni.

Questo quello che scoprì in rete. In primo luogo che, a parte poche eccezioni che hanno pionieristicamente abbracciato per i propri studenti questa disciplina, in Italia (almeno nelle scuole) si parla ancora poco di “debate” e poi che, nella mia ignoranza – a quanto pare – ero in buona compagnia. Ma soprattutto, per singolare che possa apparire, mentre studiavo le caratteristiche del debate, sentii nascere una forte attrazione che potremmo definire amore, intellettuale se volete, ma pur sempre amore.

Ma di cosa si tratta? Cosa è il debate?

Sostanzialmente si tratta di un dibattito tra due squadre che intendono provare, a suon di argomentazioni, la fondatezza o l’infondatezza di un assunto. Per raggiungere il proprio scopo i contendenti useranno le inossidabili armi della dialettica, della retorica, della citazione di fonti credibili e autorevoli: cercheranno di convincere gli ascoltatori con elementi oggettivi rendendo le loro argomentazioni più efficaci grazie utilizzo del tono della voce, della gesticolazione, del linguaggio del corpo per essere ancora più persuasivi.

Il debate è quindi uno scontro dialettico, un match con tanto di arbitri e di spettatori. È terreno per il naturale sano agonismo dei giocatori e per il divertimento di chi vi assisterà…..se i giocatori saranno bravi e se useranno bene le suddette armi.

Niente di nuovo – si potrà pensare – poiché, già centinaia di anni fa, nell’antica Grecia così come nell’antica a Roma, gli oratori ingaggiavano in dibattiti accesi a suon di sofismi e sull’arte e l’importanza della dialettica sono stati scritti numerosi trattati.

Il più moderno debate è oggi regolamentato in modo rigoroso ed ogni “giocatore”, debater se vogliamo usare la dizione anglosassone, si esprime cosciente che, in conclusione, prevale la regola aurea secondo la quale:

“non si argomenta per avere ragione ma per capire”.

Il debate enfatizza il potere della parola nel modo più nobile e questo non può non fare innamorare un vecchio formatore come me.

Si potrà obiettare che, in questi tempi, quando si discute su un argomento, di parole ne sentiamo fin troppe: volgari, manipolative, urlate, offensive. Non nel debate! Qui le parole devono essere piene di valore, di contenuti e più che altro di utilità, affinché chi ascolta si faccia un’idea più chiara dell’argomento trattato.

Ecco dunque spiegato il mio amore per il debate. Un sentimento rafforzato sempre di più da un contesto sociale di urlatori offensivi, di petulanti da talk show, di sgomitatori sociali (come li chiamava Pasolini): un mondo nel quale la menzogna di oggi fa dimenticare quella ascoltata ieri e la manipolazione diviene regola. Un mondo che mi fa credere che il debate possa assurgere ad antidoto in un’epoca travagliata.

Questa disciplina ci insegna a provare ciò che dichiariamo, a parlare dopo esserci documentati, ad ascoltare ciò che dice il nostro avversario e a contestarlo correttamente perché di un avversario si tratta, non di un nemico da distruggere. Un insegnamento sociale prima ancora che di pratica della dialettica, un concetto che mi piace esprimere con le parole di Gary Gillespie, docente di “Communication” alla Northwest University in Kirkland, adesso in pensione:

“Oggi in queste nostre Olimpiadi intellettuali, noi possiamo godere di un gioco fondato sulla dialettica progettato per insegnare una delle più importanti lezioni di civiltà: come trasformare ciò che è peggio della natura umana in quello che è meglio ovvero come sostituire i simboli dell’aggressività privilegiando il dialogo alla violenza, la ragione alla forza.”

Mi sono appassionato a questo modo privilegiato di esporre le proprie opinioni e non ho potuto fare a meno di raccogliere il frutto dei miei sforzi (non solo intellettuali) per comprovare l’efficacia di questo metodi in un volume. Ildebate ci insegna a usare la cultura, la ragione, la dialettica e l’ascolto oltre che a giocare pulito: come non amarlo?

Per approfondire:

Tomolillo M., L’arte di (con)vincere senza urlare: Il Debate come judo dell’intelletto link

Massimo Tommolillo

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