I primi 150 anni italiani alla maturità

Molto opportunamente il Ministero della Pubblica Istruzione ha proposto agli studenti che affrontano l’esame di Maturità una traccia per argomentare i problemi della storia italiana degli ultimi 150 anni. E non è stato inutile sottolineare come cruciali i momenti di passaggio dal regime monarchico-liberale al fascismo e, successivamente, quello che ha dato avvio alla nostra fase democratica e repubblicana.

orse non sarebbe stato del tutto improprio suggerire come momento di snodo anche gli anni aurorali dell’Unità italiana: poiché proprio in quella primissima fase l’Italia scontò la sua tradizionale frammentarietà regionale e il suo difficile adattamento alla forma statuale. Fin dal 1861, infatti, si delinearono aree geografiche, culturali, sociali e politiche di resistenza al nuovo edificio unitario. E non è un mistero che il Mezzogiorno in particolare fu teatro di rivolte, di insorgenze, di episodi di brigantaggio e comunque di alterità rispetto a ciò che veniva identificato come una propaggine coloniale del vecchio Piemonte sabaudo. Né può rimanere sottaciuto il rifiuto della Chiesa a riconoscere il nuovo Stato, militarmente piegato soltanto nel 1870. Ma certo è tema fertile, oggi in particolare, quello che propone un aggiornamento dei termini storiografici relativi a un percorso di 150 anni lungo i quali l’Italia ha avuto grandi momenti di inclusione, di aggregazione delle sue molte realtà particolari, e insieme non pochi momenti di esclusione, di frattura, che hanno segnato in profondità società nazionale. Nella prima fase, in effetti, al telaio amministrativo si sono via via aggiunti pezzi istituzionalmente forti in direzione di un ricucitura dei frammenti sparsi della realtà italiana: dalla scuola, alle forze armate. Ma non solo: sono quelli della seconda metà dell’Ottocento, gli anni delle prime grandi imprese infrastrutturali – strade, ferrovie, trafori – e della prima importante industrializzazione. Fenomeni che hanno contribuito a rinsaldare un mercato interno e di conseguenza una economia che non avrebbe altrimenti potuto reggere – anche al livello delle regioni più forti, la Lombardia, il Piemonte, la Toscana e alcune realtà del precedente Regno di Napoli – la concorrenza europea. Peraltro, come in altri paesi, anche l’Italia visse in quegli anni momenti di fermento sociale, che si risolsero in alcuni momenti di frattura – spopolamento originario delle campagne, povertà delle plebi rurali, lotte contadine, emigrazione – e in speculari momenti di embrionale partecipazione alla vita politica locale e nazionale – nascita di una opinione pubblica, prime organizzazioni sindacali, comparsa dei partiti politici, diffusione della stampa.

Né è superfluo ragionare oggi sul significato che ebbero per la storia italiana le due guerre mondiali, con le relative traiettorie di un nazionalismo che da un lato fu parte costituente del primo interventismo e quindi del movimento fascista; ma, sia prima che dopo la prima guerra mondiale, motore anche delle ambizioni coloniali italiane in Africa. E nel biennio successivo all’8 settembre ’43, l’ambiguo collante patriottico su cui venne imbastita la Repubblica Sociale italiana.

D’altro canto, persino il ventennio fascista si presterebbe oggi ad analisi meno appesantite dai toni della propaganda politica: giacché accanto al volto liberticida, antidemocratico, poliziesco e persecutorio, non mancò di intenti di modernizzazione di cui l’Italia si avvalse e fece tesoro anche in periodi successivi. D’altronde è evidente il tesoro valoriale di quell’Italia minoritaria, plurale nella sua composizione politica e sociale, che fu spesso esiliata e confinata dal regime fascista e che trovò nei mesi della Resistenza e nella data simbolo del 25 Aprile 1945 lo sbocco di una vicenda nazionale che si sarebbe aperta a un futuro democratico: di lì a poco affiancando a quella prima data, quella della Liberazione, nel pantheon cronologico nazionale, il 2 giugno 1946, con l’avvento del regime repubblicano, e il 27 dicembre 1947, giorno della promulgazione della Costituzione.

La nostra non è stata una storia nazionale lineare. E anche gli anni successivi alla seconda guerra mondiale ne sarebbero stati testimoni: da un lato, riproponendo momenti di integrazione del tessuto sociale nazionale, con la nuova fase dell’industrializzazione e l’avvento della società dei consumi, con l’allargamento del suffragio e la attività dei partiti di massa; e, dall’altro, rimettendo in gioco la stabilità istituzionale del Paese con nuovi momenti di tensione e di frattura interna, di cui gli anni di piombo, i fenomeni del terrorismo rosso e nero, e l’episodio altamente simbolico legato al nome di Aldo Moro ne furono i sintomi più evidenti.

Oggi, di fronte alle nuove frontiere della globalizzazione da un lato, e della rimessa in valore delle risorse locali dall’altro, il tema di una storia nazionale come quella italiana è un laboratorio non solo di grande valore storiografico, ma di forte densità morale per una buona educazione alla cittadinanza.

Per approfondire:
www.italia150.it

Foto di Michele D’Ottavio

Walter Barberis