“Televoto” in collegio docenti
Qualche giorno fa dovevo introdurre in Collegio docenti una discussione sintetica e operativa su possibili meccanismi di flessibilità didattica, compensazione oraria e classi aperte per cercare di costruire nel prossimo anno scolastico meccanismi un po’ efficaci di recupero della dispersione. Temendo di ingenerare sonnolenza e noia per cose sentite tante volte (anche se mai pienamente metabolizzate ed attuate) ho deciso di far precedere l’illustrazione della proposta con un breve sondaggio empirico sullo stile del “televoto”.
Ho chiesto ai docenti del Collegio di alzare la mano in modo informale per verificare tendenze, non per valutare posizioni:
• La prima domanda che ho posto è stata la seguente: “il tempo scuola della Scuola secondaria di 1° grado (media) è troppo o troppo poco?”: il Collegio docenti un po’ imbarazzato non ha detto né sì, né no e io ho concluso dicendo: “Possiamo concordare che il tempo è quello giusto?”, e qui, pur senza particolari entusiasmi, c’è stato accordo pressoché unanime.
• La seconda domanda che ho posto è stata la seguente: “Pensando alla materia insegnata alzi la mano chi pensa che le ore attuali siano poche”: hanno alzato la mano quasi tutti.
La contraddizione è palese e ingestibile, perché se tutti i docenti ritengono che l’attuale tempo scuola è corretto e la propria disciplina ha poche ore ogni azione compensativa, flessibile o a classi aperte viene vissuta come una semplice decurtazione. Questo disciplinarismo “ossessivo” lo si riscontra nelle battaglie che vengono messe in atto oggi dalle varie categorie in riferimento alla Riforma della Scuola secondaria di 2° grado, attuando quel rapporto stretto, ma letale, tra tempo scuola e occupazione intellettuale. Mi sembra che l’Italia di oggi abbia perso totalmente interesse per i risultati dei propri allievi e si sia posta come obiettivo l’attivazione di politiche del lavoro partendo dagli organici delle scuola: c’è chi lo fa per mantenerli inalterati e chi per tagliarli, ma sempre in una logica di numeri e non di contenuti.
Qualche tempo fa mi sono trovato davanti a una situazione analoga, nata quasi per caso. In attuazione della Riforma Moratti avevo chiesto a un Consiglio di Interclasse della Scuola primaria di definire il tempo scuola annuale di ogni materia. Illustrando in Collegio docenti la proposta ho dovuto precisare che per attuarla la nostra scuola non doveva terminare il 10 luglio, ma il 12 agosto. Ogni gruppo di maestre aveva inserito per la disciplina insegnata la sua idea ottimale e tutte le idee insieme avevano creato un tempo scuola che non poteva essere contenuto in quello naturale e che dunque avrebbe richiesto altri due mesi di scuola.
Credo che in Italia a tutti i livelli ci sia la convinzione che esista un rapporto diretto tra la quantità di ore e la qualità dell’insegnamento. Con questo pensiero generalizzato è difficile poi spiegare perché i risultati del sistema non sono ottimali. Probabilmente l’idea centrale è che ci vorrebbe ancora più tempo scuola per risalire la china, anche se il nostro tempo scuola dal 7 ai 14 anni è il più alto dei Paesi Ocse.
La situazione è molto complessa perché ogni intervento di ristrutturazione del sistema finisce per passare attraverso lo scontento della classe insegnante, che ritiene intoccabile la sua disciplina e oggettivamente necessaria per tutti. Per questo quando un docente organizza un’attività aggiuntiva o una gita si offende sempre se i suoi colleghi la considerano come una di quelle attività che fanno “perdere ore”.
Si pensi al mio empirico “televoto”: le ore sono giuste, ma tutte le materie hanno poche ore. Fa il paio con l’altra: un milione di lavoratori della scuola (me incluso) ritengono di essere ottimi professionisti e sono contenti dei risultati ottenuti. E il sistema scolastico è al collasso.
Stefano Stefanel