Gli inattivi convinti
Le cronache giornalistiche nazionali in occasione degli esiti degli esami di maturità hanno pubblicato alcuni dati molto significativi, che nessuno ha collegato con altri dati venuti allo scoperto negli stessi giorni. Cito, per comodità, solo due fonti nazionali, anche se di questi argomenti ne hanno parlato tutti i media (La Repubblica del 14 luglio e il Corriere della sera del 16 luglio). Ecco i dati:
• respinti con il 5 in condotta: oltre diecimila;
• respinti o non ammessi all’esame di maturità: 41.941 (contro i 32.164 del 2008, i 31.830 del 2007 e i 15.630 del 2006);
• non ammessi all’esame di terza media: 4,4% (contro il 2,1% del 2008);
• respinti negli istituti secondari di 2° grado: 23% nei Professionali, 16,3% nei Tecnici, 16% negli Artistici; tra il 4 e il 6,5% nei Licei
• ragazzi tra i 25 e i 35 anni che non studiano e non lavorano in Italia: 1.900.000 su 8.000.000;
• “Inattivi convinti”, non studiano e non lavorano e non intendono farlo: 700.000
Ho fornito questi dati apparsi in forme separate in un’unica soluzione perché tra questi dati vedo la connessione in grado di spiegare il grave problema della scuola e della società italiana: produce dispersione, ma non ha idea di come combatterla. Più volte ho ricordato che l’Italia ha firmato nel 2000 il Protocollo di Lisbona impegnandosi a migliorare sei punti programmatici, uno dei quali riguardava la diminuzione del tasso di dispersione. Questo tasso di dispersione (abbandoni, bocciature, insuccessi) in questo decennio è, invece, sempre aumentato e con la reintroduzione dei voti nel primo ciclo dell’istruzione e i richiami a una maggiore severità sta avendo una vera impennata. L’opinione pubblica e gran parte dei docenti condivide con il Ministro Gelmini l’idea che un maggiore rigore nella valutazione, non nella didattica, da solo riuscirà a migliorare la scuola. Credo che questa interpretazione sia miope e destinata a produrre un ulteriore peggioramento del sistema d’istruzione nazionale.
L’Italia non vede il rapporto che io vedo in modo molto chiaro tra l’alto tasso di dispersione scolastica e gli “inattivi convinti”, cioè quei 700.000 “bambocci”, “figli di papà”, “disillusi”, “disadattati”, “parassiti”, “disperati”, “depressi” ecc. che vogliono continuare a non fare niente. Ricordo a tutti che nelle scuole secondarie si insegnano le materie che si riferiscono alle classi di concorso, non ai bisogni della società. Ricordo, ancora, come gli Ipsia che sindacati e docenti difendono e producono quasi esclusivamente disoccupati e sottoccupati. Ricordo che la vena umanistica della scuola italiana sta raggiungendo dei livelli paradossali, per cui agli esami di maturità gli alunni vengono interrogati senza alcuna distinzione formale e sostanziale sulle materie di indirizzo e su quelle generali, quasi che da un Tecnico Chimico o da un Perito Elettronico noi dobbiamo aspettarci una spiegazione della poetica di Ungaretti.
Bisogna valutare la didattica italiana e le competenze dei docenti, prima di accanirsi sulla poca voglia di studiare degli studenti. I dati che ho riportato di sopra sono dati pubblici e fotografano l’Italia di oggi: quello che mi inorridisce è che su quei dati non si inserisca un dibattito approfondito sulle cause di questo disastro, ma semplicemente si lodi il ritorno al rigore antico, quello dell’Italia nozionistica e arretrata, che ha saputo riformare solo la scuola elementare e dell’infanzia, ma da quelle scuole non ha mai voluto imparare nulla.
Se una scuola e una società producono 1.900.000 persone che tra i 25 e i 35 anni non fanno nulla vuol dire che le politiche verso la dispersione (scolastica e sociale) qualche errore lo hanno compiuto, ma vuol dire anche che questo bearsi pubblicamente per l’aumento delle bocciature non è altro che il ballo sul Titanic.
Stefano Stefanel