La favola di Alice
C. L. Dodgson, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Lewis Carroll, era un matematico, fotografo e filosofo. Credo che a tutti sorga il dubbio di come uno studioso delle scienze pure possa avere scritto un testo come “Alice nel paese delle meraviglie”. Per chiarire questo dubbio è necessario inquadrare la produzione letteraria di Carroll nel contesto storico in cui è vissuto e aprire una finestra sul costume dell’epoca. Il periodo vittoriano fu connotato da forti moralismi, ricordiamo che il puritanesimo si sviluppò proprio in quegli anni; il rigore dei costumi ma soprattutto il rispetto del conformismo erano gli elementi che caratterizzavano la società influenzandone il modo di agire e di pensare. Nel 1800 circa iniziò la rivoluzione industriale che, con le prime scoperte scientifiche, trasformò l’assetto economico esistente con l’introduzione di innovazioni tecnologiche importanti. In questo scenario di profonde trasformazioni economiche e sociali l’opera di Carroll appare un momento di transizione e di passaggio, una cartina al tornasole che rivela il desiderio di guardare la realtà con occhi diversi. Carroll narra il viaggio immaginario di Alice nelle profondità della terra, viaggio che rappresenta la ricerca di una propria identità e consapevolezza in un mondo animato da mille pericoli e insidie. Per questo motivo la protagonista del racconto deve “trasformarsi” diventando piccola o grande, mettere a dura prova le sue capacità di comprensione e di adattamento in un mondo che risulta “capovolto”. La favola di Alice rappresenta la metafora della vita e dei suoi cambiamenti che sono spesso sofferti e dolorosi (in quell’epoca i bambini erano tenuti in scarsa considerazione e l’ubbidienza e il rispetto per gli adulti erano manifestazioni di sottomissione e sudditanza). Nel mondo immaginario Alice incontra oggetti e persone che rompono gli schemi ordinari della comunicazione usando un linguaggio strano e misterioso, circondati da una fantastica e variegata scenografia. Oggetti e animali buffi, regine con sudditi che sono carte da gioco, tempo che scorre e che non può essere misurato (“è sempre l’ora del tè, e negli intervalli non abbiamo il tempo di lavare le tazze”), spazi angusti e misteri da interpretare. Alice deve cercare di comprendere i suoi interlocutori, deve soffrire, reagire e andare avanti superando le difficoltà che incontra per la strada. Il mondo della sua infanzia è una fuga dalla realtà che gli adulti hanno per lei prestabilito e di cui sono gli unici padroni. L. Carroll fissa le istantanee di un percorso lento e difficile affidando alla logica del nonsenso tutto ciò che la società aveva relegato a rigidi contenuti di convenienza e formalità. Accusato dalla critica di avere atteggiamenti morbosi verso le bambine che spesso ritraeva (soprattutto le sorelle Liddell, tra cui Alice) Carroll rifiutò quello che gli altri avevano forse progettato per la sua vita futura e infatti non diventò né matematico come lo era il padre né portò a termine la carriera religiosa fermandosi solo al diaconato. Il suo carattere introverso e anche la balbuzie gli impedì di affrontare il pubblico e di fare oratoria nella ristretta cerchia della borghesia dell’epoca. Si dedicò così alla scrittura dando libero sfogo alla sua immaginazione : “Capitava che un’idea mi venisse di notte, e allora mi alzavo e accendevo il lume per appuntarmela; talora durante una gelida passeggiata d’inverno, per cui dovevo fermarmi e, con le dita intirizzite dal freddo, scarabocchiavo poche parole per evitare che quell’ idea appena nata dovesse perire; ma dovunque e comunque venissero, ciascuna idea veniva da sè. Non sono come un orologio che, per farlo funzionare, basta caricarlo quando si vuole”. E la spontaneità di Alice è il frutto di questa fantasia illuminata che rende un viaggio immaginario la metafora di una crescita fisica e psicologica in cui il tempo e lo spazio si deformano e sfuggono alle loro leggi diventano armi fantastiche per conoscere e liberare quella dimensione del sogno infantile che il mondo degli adulti ignora e di cui spesso non ne riconosce l’importanza e il significato.
“La favola di Alice rimane
come un sogno di cose lontane,
come un dolce ricordo gentile
chiuso nella memoria infantile,
come l’odore di rosmarino
che è nella veste del pellegrino”.
Laura Alberico