L’educazione cade dalla rupe. Una questione di scuola e informazione
Su una cosa sono d’accordo con il docente di teoria dell’armonia che, circa due settimane fa, si è fatto prendere con le mani nella marmellata… e con la testa tra le rupi. Infatti, sviluppando, o avviluppando, il suo celebre discorso, che passerà alla storia come quello “della Rupe Tarpea” (beh, certo sempre meno noto di quello “del predellino”…), scrive: “D’altronde la funzione della scuola oggi non è di infondere conoscenza, ma di normalizzare/standardizzare la testa della gente. Amen”.
Sottoscrivo, dal momento che sul rischio standardizzazione e impoverimento cui va incontro a vele sempre più spiegate l’offerta formativa ed educativa della scuola pubblica italiana mi sono espresso più volte, molto di frequente negli ultimi due anni. È un argomento a cui tengo in particolar modo, anche perché attribuisco agli anni della formazione scolastica un ruolo fondamentale per la mia crescita e per il raggiungimento del grado di autonomia attuale (autonomia che è in primis intellettuale, sentimentale, culturale, affettiva, perché, questo è certo, non potrò mai prepararmi una frittata da solo). Un ruolo che, se è essenziale per tutti, lo è a maggior ragione per una persona con deficit.
Diciamo che i punti di contatto e di condivisione tra me e il dott. Pini terminano qui, perché a fronte della stessa diagnosi prescriveremmo due cure del tutto opposte. Però, non fa già ridere che io, frutto ed esempio vivente del rallentamento o dell’arresto del “processo di selezione naturale” (non c’è più quella di una volta…), possa confrontarmi alla pari con un normodotato, questo davvero sì, molto grave e portatore sano di idee insane? Per lui sarei già in fondo al dirupo (“altro che balle”, le sue parole…), e invece, gli tocca sorbirsi le reprimende di un esercito di disabili (e non solo) in stile “Azione Mutante”…
Si sono moltiplicate, infatti, le risposte polemiche, indignate, allarmate e consapevoli, a partire dalla lettera a lui indirizzata di Franco Bomprezzi (firmata insieme a Fulvio Santagostini e Giovanni Merlo, rispettivamente presidente e direttore della LEDHA), fino a quelle di tanti altri volti “meno noti” che si sono espressi pubblicamente e di centinaia e migliaia che l’avranno fatto nel loro intimo o discutendone informalmente. Una sorta di primo, evidente smacco e di smentita sostanziale e, direi, fisica di quanto affermato dal docente del Conservatorio di Milano.
Non dimentichiamo, peraltro, che le infauste parole del prof. Pini giungevano a commento (sarebbe meglio dire con funzione di parafrasi “potenziatrice”) di un’uscita altrettanto inopportuna da parte di un assessore all’istruzione di Chieri, il quale si era espresso a favore del non inserimento nelle classe normali degli alunni con disabilità. Se in questo caso, come scrive il presidente nazionale dell’Anffas, Roberto Speziale, “la prima preoccupazione riguarda il fatto che una persona che dovrebbe rappresentare e tutelare i propri concittadini possa dimostrare tale completa e totale ignoranza in merito a quelli che sono i principali e più fondamentali diritti di tutti, tra cui ovviamente, anche le persone con disabilità”, non deve sfuggirci che entrambi operano e agiscono in un ambito così importante quale quello dell’educazione, anche se con ruoli e competenze diverse. Il punto, e questo commento in realtà mi ha fatto sorridere, non è tanto capire quale tipo di “armonia” possa insegnare una persona che si esprime in tal modo (anche Hannibal Lecter aveva gusti culturali sopraffini e sicuramente Pini eccellerà nel suo campo), quanto rilevare che entrambi, assessore e professore, appartengono in qualche modo all’universo dell’educazione. Per cui, se è vero che, come scrivono Bomprezzi, Santagostini e Merlo, “È evidente che Lei non sa nulla di cosa sia la disabilità, non ha avuto modo di conoscere in che modo l’inserimento e l’inclusione dei bambini con disabilità ha fatto crescere la qualità della scuola di tutti e per tutti in Italia”, deve preoccuparci che chi riveste ruoli educativi possa manifestare una carenza simile a livello teorico, intellettuale, legislativo, oltre che a livello esperienziale.
Comunque, e senza ignorare il canale per cui si sono diffuse le parole del prof. Pini, ovvero il controverso Facebook, non proprio un’autorità e un modello di limpidezza, quello che può consolare è che sia lui che l’assessore abbiano in qualche modo sentito il dovere di ritrattare (il secondo sporgendo anche denuncia al giornale che ha riportato le sue prime dichiarazioni), di dare una versione diversa delle loro parole, di averne avvertito, se non appieno la fallacia sostanziale, almeno l’“imprecisione” formale. E questo racconta, ancora una volta, dell’importanza di mantenere alta l’attenzione e del potere che può avere l’informazione quando è vigile e si pronuncia in modo “informato” (passatemi il gioco di parole), quando sa controbattere senza timori e con toni che non sono solo di indignazione, ma mirano ad aumentare consapevolezza e conoscenza.
A maggior ragione, se, come credo, le parole dell’assessore e il commento del professore esprimono qualcosa in più di un pensiero personale e si fanno in qualche modo rappresentanti di un sentimento comune, di un clima diffuso, di un sentire in crescita.
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Claudio Imprudente