Le eccellenze nella scuola esistono davvero!
Tra le commissioni della mia scuola, una commissione ha deciso di pubblicare (su http://www.corrieredelsannio.it/), la prima prova scritta di un mio studente, che ha scelto la tipologia del saggio breve. Il giovane studente ha saputo provare che il saggio breve si configura come l’ideale punto di incontro tra la “vita reale” e le forme della didattica contemporanea. Il lavoro di Gianclaudio Malgieri, dal titolo “L’estremità che dà senso”, per la grande capacità di analisi e di sintesi, dimostra come il saggio breve possa esprimere in modo coeso e coerente un’articolazione complessa, e allo stesso tempo chiara, di forme e contenuti della nostra civiltà. Dalla volontà di pubblicare questo lavoro risultano chiare almeno due cose: la prima è il valore formativo ed espressivo di una tipologia di prova come il saggio breve. Non solo il tema tradizionale, dunque, è la forma espressiva in grado di valutare le qualità razionali e la maturità di uno studente, ma altre forme, introdotte per la prima volta dalla Riforma degli esami di stato del 1997, consentono di mettere in luce pienamente la complessità cognitiva e metacognitiva dei ragazzi; la seconda è il ruolo della scuola, che in questo caso ha saputo intercettare il talento di un ragazzo che con grande senso di responsabilità si è distinto per il suo impegno sul territorio.
Ma ora, lascio a voi il piacere della lettura!
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Tipologia B – Redazione di un “saggio” breve o di un “articolo di giornale”
Consegne: Sviluppa l’argomento scelto in forma di “saggio breve” o di “articolo di giornale”, utilizzando in tutto o in parte, e nei modi che ritieni opportuni, documenti e i dati forniti. Se scegli la forma del “saggio breve” argomenta la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio. Premetti al saggio un titolo coerente e, se vuoi, suddividilo in paragrafi. Se scegli la forma dell’”articolo di giornale”, indica il titolo dell’articolo e il tipo di giornale sul quale pensi che l’articolo debba essere pubblicato.
Ambito artistico-letterario
Argomento: Amore, odio, passione.
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Titolo: L’estremità che dà senso
“Impeto e virgulto della storia dell’umanità, croce e delizia, ristoro e prigione, slancio virulento di un mondo che vibra… Dalla passione di Adamo, alla violenza di Caino, amore e odio sono stati sin dai germogli del genere umano la linfa che accende e distrugge, l’anelito ineludibile “che move ’l sole e l’altre stelle” (come dirà Dante nell’ultimo verso della sua Commedia), quel guizzo instancabile tra “la noia e il dolore” (Arthur Schopenhauer). L’arte di ogni quando e di ogni dove, dunque, ha sempre oscillato spasmodicamente nei meandri della passione e negli avversi slanci di amore e odio che colorano di tanto in tanto homo amans di ieri e di oggi. L’odio e l’amore, opposti eccessi del compromesso passionale non sono, però, incanalabili in rigidi schemi ma continuamente altalenanti tra visioni idealistiche, corporali ed antisentimentaliste. Già nella tragedia greca, primo bagliore dell’Occidente, si può assistere all’oscillazione febbricitante della tragica Medea di Euripide, ad esempio, che fa trionfare la morte sull’amore carnale e filiale. Questa visione ambigua che lega l’amore all’odio, in un valzer consequenziale e instancabile, ha segnato trasversalmente gran parte della produzione occidentale. Basti pensare al sensibile Catullo latino che sembra quasi incredulo del suo “odi et amo”, al quale riesce ad opporre solo un misero “excrucior”: la sua croce è questa incomprensibile miscellanea di odio e amore. Già dalla contrapposizione tra la tragedia greca e la sensibilità latina è evidente una duplice visione della passione: la passione carnale e catartica di greca memoria e la tribolante passione intellettuale, che dall’amore platonico a quello agostiniano, fonda sull’intoccabile le fondamenta moralistiche dell’Occidente. È il viaggio tra apollineo e dionisiaco di cui parla Nietzsche. La passione tragica di Dioniso trafigge tutto il cuore della storia dell’arte, fino a riflettersi, nella decomposizione formale post-romantica, che porterà ad un ribaltamento dell’odio di Medea. “Ammazzami […] ma senza di te non voglio starci” farà dire il Giovane Verga alla sua Lupa, sottolineando il rapporto morboso tra passione e morte e aprendo ad uno scenario di amore sia carnale che cerebrale, un “amo” che diventa “odi” nel momento in cui l’amore è visto come tentazione da cui resistere. La stessa tentazione che, al contrario, spingerà sulle porte della libido la Gertrude manzoniana, il cui futuro amante è addirittura “allettato […] dall’empietà dell’impresa”. Sembra ascoltare l’eco ridondare del Bembo che nelle sue “Prose della Volgar Lingua” metteva in luce il legame tra azione e proibizione: “la grande liberalità era massimo freno”. Tale odio-amore metafisico si riflette ampiamente nel dipinto “Ettore e Andromaca” di De Chirico (1917), dove la modernità ha stravolto e sfigurato ogni forma, lasciando però intatto il legame basilare tra i due amanti. Un legame in cui riecheggiano i pilastri platonici insormontabili di un amore puro e formale, ben tastabile nel recupero della tradizione dell’ultimo Picasso (Gli amanti, 1923). A rompere tale formalità sarà Freud, che nella libido oscillante tra Eros e Thanatos riconoscerà proprio il legame erotico tra amore e odio, due facce di una stessa medaglia. Una libido che fa riscoprire sotto una nuova luce l’epilogo di Medea, l’“Ammazzami” della Lupa di Verga, trionfo instancabile del nulla sul disordine sconvolgente della passione ultrasensoriale. Perché all’excrucior di Catullo di fronte alla voragine tra l’odio e l’amore, D’Annunzio risponderà così: “E precipitarono nella morte avvinti”. La stessa morte che colpirà il Dorian Gray di Oscar Wilde, come il Narciso della mitologia, per l’eccessivo amore (e odio) di sé e i due corpi gaudenti di Paolo e Francesca nel V Canto dell’Inferno dantesco. Soluzione all’irrazionale spasmo che lega due menti può essere dunque la morte, ma anche l’unione assoluta degli opposti, come nel violento dipinto “Il bacio” di Klimt (1907- 1908) in cui i due corpi si fondono in una dorata forma apotropaica, oppure nell’omonimo quadro di Munch (1892), così come nell’ancestrale Ermafrodito platonico, completamento spirituale di due metà materiali. Tuttavia, il mondo moderno ha scolorito gli accenti angoscianti dell’amore e del disprezzo, riducendo sia l’eros intellettuale sia il Thanatos corporale ad uno stinto compromesso del “per sé” (per dirla con Sartre). Se i moralisti conducono al trionfo dell’auto-limitazione e i decadenti conducono al trionfo della morte, i modernisti conducono al trionfo dell’indifferenza. “Non sognerò mai più” chioserà Emilio Brentani in “Senilità” di Svevo, perché di fronte ad un amore indifferente spinto soltanto da una “sconsolata inerzia”, anche l’odio e il disprezzo saranno altrettanto fiacchi e nullificanti: “erasi anche annullato l’entusiasmo che l’aveva fatto singhiozzare”. Così come è indifferente il Prufrock di T.S. Eliot che nella sua “Love Song” riporta l’amore disprezzato di due amanti dei giorni moderni, svilita dalla corporeità gretta del consumismo moderno. Odio e amore, passione e sforzo si inchinano dunque da sempre ai tre colossi: auto-castrazione, morte e indifferenza. Il nulla e il tutto si completano in questo viaggio traboccante di vita, perché in fondo l’uomo, da sempre, non è altro che un asintoto che insegue instancabilmente l’estremità che gli dà senso.
Gianclaudio Malgieri, classe V sezione D – Telese Terme – BN”
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Nell’immagine: “Medea”, particolare da un dipinto di Henri Klagmann, 1868, Nancy, Musée des Beaux-Arts.
Domenica Di Sorbo